LETTERATURA: PITTURA: I MAESTRI: Galleria31 Agosto 2017 di Virgilio Lilli Il momento più avvilente della vita del pittore,trascorre in galleria. Trascorre nella cosiddetta « galleria d’arte » quando egli di tanto in tanto vi tiene una personale. Inten do parlare di quelle speciali botteghe che espongono qualche volta vendono una merce abbastanza opinabile, una merce piuttosto arbitra ria, di fondo emotivo, a seconda dei casi raffinata o ba nale, non raramente enigma tica o addirittura incompren sibile: tele o tavole o cartoni coperti di figure, segni, disegni, linee, macchie, emblemi e altro, colorati, genericamente detti quadri. Botteghe, anco ra, dai nomi allegorici e a mo do loro ambigui: « L’inchio stro », per esempio, o « L’iri de », o « Il passepartout », o « Il collage », o « La tinta ». Dentro tale bottega che ha allo stesso tempo un tenue ri verbero di museo, d’accade mia e di atrio di teatro; fra pareti popolate di campagne, di donne nude, di pere e me le, di vasi di fiori, di boschi e di marine, tutte immagini quasi sempre deformi, vibran ti di colori poco credibili, chiuse dentro cornici vistose ma di poco prezzo; (fra pa reti, dico, gremite di segni anche allucinanti, di sbaffi, di freghi, di sgorbi, di chiaz ze); in una luce cruda e arti ficiale da acquario; gonfio di sbadigli e stremato di impa zienza, letteralmente assedia to dai quadri che gli incom bono intorno come mostri; seduto in atteggiamento al quanto provvisorio su un di vanetto che è l’unico mobile di quella sala o di quelle sale; apertamente incerto se andare o stare, estraneo a tutto (alla sala, ai quadri, a se stesso); sta il pittore. Laggiù, in un localetto ri cavato in fondo alla sala (o alle sale), affondato a sua volta in un bailamme di quadri e cornici, il telefono e la ri vista enigmistica a portata di mano, altri quadri, altre stam pe, altre cornici alle pareti, l’impiegato o l’impiegata o lo stesso proprietario della galle ria, scrive lettere, risponde al telefono, sbadiglia, guarda nel vuoto per suo conto. E’ l’uni co compagno del pittore e di vide con lui la galleria, come una zattera in mezzo al mare dopo un naufragio. Appunto simili a due naufraghi, l’uno e l’altro non hanno più paro le, quel che dovevano dirsi se lo sono detto il primo e il secondo giorno. Dal terzo, ognuno d’essi vive la sua vita, e le due vite vanno ognuna per la sua strada, in direzioni opposte: quella del gallerista nella direzione dei traffici del negozio, quella del pittore in direzione del disgusto per la sua opera. Tratto tratto, nella galleria, entra qualcuno dalla strada, come in una bottega. Ma non è il consumatore, l’acquirente delle botteghe comuni. Non è la massaia che cerca carne, bottoni o detersivo; non è un pensionato che cerca un paio di scarpe; non è il padre di un bambino con la tosse in cerca di una bottiglia di sciroppo. E’ un personaggio tra sognato, perditempo, è una creatura che non ha nulla di preciso nella testa. Deve « fare ora », forse. Va curiosando, ciondola, pensa e non pensa, ama e non ama, vuole e non vuole. Ha l’aria d’essere in attesa d’un treno (che probabilmente non partirà neanche; e non arriverà), d’avere un appuntamento con una perso na (di cui ignora, oltre il viso, il nome). Si interessa all’ar te? Non se ne interessa? La capisce? Non la capisce? Co nosce il nome del pittore o non lo conosce? Si direbbe fosse entrato « in mancanza di meglio ». E’ il Visitatore Della Galleria. Il pittore non desidera che il nuovo venuto si accorga di lui, che trasporti lo sguardo da uno dei suoi quadri al suo viso e dal suo viso a uno dei suoi quadri; che cerchi di leggere, dico, nel suo viso la luce degli alberi, o delle pere, o dei nudi, o degli sbaffi che egli ha messo sulla tela. Que sta eventualità lo disturba e lo offende. Egli non potreb be sopportare che quel tale gli rivolgesse la parola: « E’ lei l’autore?… Potrei chieder le perché le donne le vede così grasse?… Perché fa i cieli così gialli?… E che cosa sono quei circoli rossi con quei ganci blu?… ». Non soppor terebbe che quel tale gli di cesse addirittura stringendogli la mano: « Volevo tanto co noscerla… è un vero piacere… ». Nello stesso tempo vorreb be. Vorrebbe che lui, il visi tatore (l’osservatore, il pub blico, il cliente) gliele po nesse quelle domande. Vor rebbe perfino giustificarsi, farsi perdonare della poca fe deltà al vero della sua opera. Dirgli: « Quella campagna si trova in provincia di… l’ho dipinta perché mia madre da piccolo… Quei triangoli viola attorno a quel cubo nero li ho fatti pensando a un caffè al mare, d’estate; sa, d’estate si vedono cubi, triangoli, avviene forse anche a lei… ». Dirgli: « Vede, il problema dell’espressione… ». E infine concludere: « Ma perché lei si interessa di pittura? Perché non va per esempio al cine ma ». E aggiungere: « Porco ». Eppure quei quadri li ha dipinti un poco per lui, per quel porco, che poi non è certo che sia veramente un porco, forse è un professore di oste tricia, forse un ammiraglio a riposo, forse il sottosegretario agli Esteri o un saltimbanco del Circo Svedese, forse un critico di Londra o un collezionista di Boston. E chi sa non stia per chiedergli: « Quanto costa questa natura morta?… Qual è il prezzo di questi fiori… », ma eviden temente non osa, attende un incoraggiamento, un invito, una spinta. E’ proprio lì lì per comprare, bisognerebbe soffiargli dietro le spalle una parolina mentre guarda il qua dro. Dirgli: « …interessante ehm?… quei grigi… quei marrone.. » Sussurrargli: « Il mi glior investimento al giorno d’oggi è un quadro.. ». Così il pittore sevizia se stesso mentre il visitatore fa il giro delle pareti. E pensa: « Questo gallerista non conosce il suo mestiere ». Pensa: « E’ lui che dovrebbe farsi vivo, invogliare il cliente… io faccio il pittore, non faccio il mercante… ». Uscito il visitatore la soli tudine sembra ingoiare tutto, proprio disintegrare la galle ria, i quadri, lui. Il gallerista, laggiù, telefona, agli orecchi del pittore arrivano le sue pa role come da un’altra casa, di un’altra città: « D’accor do… le mando il Sironi… mi faccia avere l’assegno con co modo… ». Fuori del vetro della porta la sera raffittisce. Il pittore pensa: « Doveva venire l’am miraglio Zeta, voleva assolu tamente un mio quadro… m’ha telefonato stamattina dicendo mi di farmi trovare in galleria alle sei, sono le sette e mezzo, non s’è visto nessuno… ». Pensa: « E quell’altro che mi ha assicurato “Torno a scegliere una natura morta con mia moglie… lei è un pit tore tutto personale… che co lori!… immagino non le ri marrà un solo pezzo “… ». Guarda le cornici, guarda i rossi, i gialli, le ocre, le biacche. Si domanda: « Ma non sarò un perfetto imbe cille? Un cane? ». Pensa: « Eppure la rivista *** mi ha dedicato un numero com pleto proprio una settimana fa… e il famoso critico *** ha scritto che l’arco della mia figuralità rinvigorisce il con nettivo del razionalismo evi denziale… ». Pensa: «Sono trenta anni di ricerche… tre quadri alla Nazionale… uno a Londra, due a Washington… e la periodica ultima mi ha dato una sala intera… e l’Enciclopedia degli Odierni una pagina intera ». Pensa: « Che avesse ragione mio padre? ». Si mette il cappotto, saluta il gallerista: « A domani ». « A domani, professore ». Mentre s’avvia all’uscita en trano tre signore in pelliccia, un profumo dolce, acuto, se guite da tre signori benevoli, devoti, improvvisamente la galleria si gonfia di un calore soffice, splendente. Ma or mai non può tornare sui suoi passi; non può. Gli arriva all’orecchio la voce di una delle signore: « …per me è il più grande pittore del seco lo… », e d’un’altra: « …io voglio quello col cavallo ver de… ». Esce sulla strada avvilito, disorientato, un peso e allo stesso tempo uno scatto nel petto. Si sente quasi male, ma quelle parole gli friggono nel l’orecchio, con tutta la loro ingenua retorica, ma anche con una vigoria pregna d’af fetto: « Il pittore più gran de… », Dice a se stesso senza convinzione: « Questa è l’ul tima personale che faccio quant’è vero Dio ». E già si propone, per la prossima, di sviluppare quel motivo dei ca valli verdi. Letto 1295 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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