di Manlio Cancogni
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 2 luglio 1969]
Cinquant’anni è l’età giu sta per farsi la casa (i figli sono sposati, vivon lontano), una casa che sia proprio la nostra, dove e come ci pia ce. I soldi ci sono, niente preoccupazioni, siamo liberi, veramente liberi, finalmente.
Non perdiamo tempo, si attacca con i lavori, e quan do i lavori sono a buon pun to (si trattava di rifare un vecchio appartamento acqui stato nel centro storico della città, un’occasione unica) si va a vedere come procedono. L’imprenditore, un galantuo mo (ce l’hanno assicurato gli amici), ogni volta ci propone qualche ritocco al piano ini ziale; ritocchi indispensabili, devo convenirne, e ringraziar lo, anche se fanno salire di molto il prezzo convenuto.
Ma che importa, quando ve diamo la casa che prende for ma, nuova, fresca, uscendo da quel muffito e tenebroso an tro che era prima!? Insieme all’imprenditore e al suo aiu tante osserviamo i muri, i soffitti, i pavimenti, gli sti piti, gli infissi, le porte, le fi nestre; si tocca, si liscia, si batte, e la visita finisce qua si sempre in cucina o in ba gno a discutere sulla qualità delle mattonelle.
Cosa strana, mentre all’ini zio si va per le spicce, quasi si trattasse di una formalità, man mano che ci addentria mo nell’appartamento, si ral lenta il passo, e l’occhio che prima sorvolava i muri, ora si sofferma sui minimi parti colari, come se provassimo un vero piacere in questo in dugio, e la casa a poco a po co, da quell’entità astratta che era (un tetto, sette stanze, dodici finestre, un balcone) di ventasse una realtà, che dico, una creatura vivente, una spe cie di figlio o d’opera d’arte. Un vero piacere, perfetto, an che se nello sfondo della con versazione sentiamo una pial la che scivola sullo stipite di una porta, un martellino che batte una mattonella fuori po sto, un pennello che fruscia, e questi rumori, chissà per ché, ci danno un’impressione di futilità, come se tutti i no stri progetti, quei lavori, e i discorsi che ci facciamo so pra, la casa stessa, non fossero altro che un passatem po per distrarci da qualcosa di più importante e irrepara bile che s’avvicina.
Via certi pensieri! Che la casa sia importante lo prova il fatto che anche i nostri amici se ne occupano, parlandocene persino al telefono, con interesse, entusiasmo, non mancando di darci ottimi consigli.
Vedi per esempio il nostro amico Lucio. Sono anni che vive Dio sa come, solo, rassegnato a farsi mantenere dai fratelli, inetto a qualsiasi la voro, incapace di normali rapporti con la gente; un paz zo diciamo, uno di quei paz zi lucidi che attraversano la vita come meteore, senza scopi, né ambizioni, e dopo che la giovinezza è diventata un ricordo lontano, inutili, sem pre più inutili. Ebbene l’al tro giorno lo incontro in una via del centro, lo fermo (non m’aveva visto, come al soli to) e alla mia consueta do manda (che cosa fai?), «mi sto facendo la casa », rispon de, guardandomi fisso, attra verso gli occhiali spessi, con un’espressione non so se mi nacciosa o disperata, come per dire: « sia ben chiaro, ci sia mo capiti ». Ed è inutile spie gare quanto sarebbe stato in discreto, stupido, chiedergli: « Sì, va bene, mais à quoi bon? ».
Tutti d’accordo comunque che debba essere bella, am pia, con molte stanze (non importa che siamo solo in due) per sentirci liberi, di simpegnati; una casa insom ma da potersela veramente godere. Non è più l’età, che diamine, per un’abitazione purchessia, di quelle che si hanno al principio, appena sposati, o coi bambini anco ra piccoli, e si è pieni di pau re, si fanno e si rifanno i conti. Quando ci stabilimmo per la prima volta a Milano, nel dopoguerra, era già dif ficile trovarne una, in mezzo a tante macerie. I padroni fa cevano condizioni esose, per non correr rischi volevano an ticipi che coprivano l’affitto di anni. Firmare il contratto, versare il denaro (preso in gran parte in prestito) fu co me gettarsi da una finestra. E appena si ebbero le chiavi corremmo ad occuparla, co me se avessimo paura che ce la portassero via. Stava al l’ultimo piano di un mezzo grattacielo, magro magro, in periferia. Di lassù si vedeva no i prati, e in fondo, nei giorni di bel tempo, le Alpi, piene di neve, bianche o ro sa. Venivano le vertigini ad affacciarsi al balconcino di ferro. Ma non c’era tempo, allora, di guardarsi intorno; ogni momento era occupato da un problema, le cose si vedevano, si può dire, di scorcio, in un lampo, un pezzo di prato, i monti, una nuvo la, mentre si trafficava per le stanze, o si mangiava in fret ta e furia, o ci si abbraccia va nel salotto disadorno.
Per quasi trent’anni abbia mo abitato dove ci capitava, in Italia, all’estero, sempre in affitto, mai per più di due an ni di seguito, sempre pronti a sgomberare. Si decideva all’improvviso, si spedivano due o tre bauli, ci stipavamo nell’automobile con le valigie, il cane, e oplà, si partiva. Era una festa; forse non per mia moglie, ma per i bambini cer tamente sì.
Finora dunque è stato co me un gioco. Ora bisogna far sul serio, questa è la casa no stra, e quindi è giusto averci speso tanto, scegliendo il me glio. E grazie agli amici che ci hanno seguito, consigliato, forti della loro esperienza, co me Tom e Nora ad esempio. Loro, cinque anni fa, se ne fecero una davvero splendi da. Presi da non so quale en tusiasmo, forse prodotto da una certa abbondanza di sol di, buttarono giù la villa che avevano (un po’ vecchiotta, ma sempre bella) e chiama rono un famoso architetto. Quello non era uno che si contentasse di tirar su quat tro muri e di coprirli con un tetto. Cercava l’abitazio ne ideale per l’uomo nuovo, e non tenendo conto che i suoi clienti erano più vicini ai sessant’anni che ai cin quanta, e senza figli, credeva d’aver trovato l’occasione buo na per realizzare il suo so gno. Insomma venne fuori uno di quei mostri, lo dico senza offesa, che non si sa se ammirare o deprecare, ma che, in ogni caso, fan par lare di sé. Non ho mai ca pito se Tom e Nora ne sia no rimasti contenti. Da allo ra mi pare che siano invec chiati più in fretta. Lui è tut to bianco, sta diventando sor do; lei dice delle stramberie. Proprio l’altro giorno mi con fidò che le sarebbe piaciuto piantar tutto, andarsene ad abitare in una città come Nuo va York, dove non si è, di ceva, che numeri spersi nel la massa, in una camera d’al bergo, come nel loculo di un colombario.
E’ venuta bene, grande, co moda, con una disposizione delle stanze abbastanza va ria. « E’ divertente », ci ha detto Alfredo, il nostro diret tore spirituale; e la stessa co sa hanno detto Tom, Nora, tutti gli altri che sono venu ti a vederla. Io non vedevo bene dove fosse il diverti mento, se non immaginando di essere dei ragazzi che avrebbero giocato a nascon dersi sfruttando i numerosi ripostigli. Anch’io però dice vo: « E’ divertente vero? ». Oggi d’altra parte il diver tente sta diventando una spe cie di categoria dello spirito che si applica a tutto, alla pittura, alla cucina, un lascia passare, una patente di buon gusto, intelligenza, modernità, etc. etc…. E allora avan ti col divertimento. Per ca rità, non si scelgano per le pareti quelle tappezzerie che sembrano un invito alla se rietà e alla riflessione. Anzi, niente tappezzerie. Si tinga no le pareti di avana, di ver de marcio, vernici che si pre stano a far da sfondo ai gio chi più arditi. Per esempio con un bell’avana intenso an dranno benissimo porte ver niciate in rosso. Troppo au daci? Non si abbia paura. Si lacchino tutte di rosso, da quella d’ingresso (l’interno naturalmente) a quella del bagno, avranno successo.
Quanto all’arredamento ab biamo avuto una bella trovata, molto spiritosa. Stufi di far traslochi e di avere sotto gli occhi cose troppo risapute, ab biamo comprato tutto nuovo, letti, poltrone, sedie, tavoli, divani, lampade, coperte, len zuola, asciugamani, piatti, bic chieri. In una mattinata, sen za economia, con la preghiera di far presto a mandarci tutto, prima di sera, abbiamo com pletato l’arredamento. Ora la stanno montando. E’ facile: i letti, certi tavolini, tutti in ros so, si scompongono e si ricom pongono in pochi minuti. Ro ba che viene dal Giappone, elegante, fresca, giovanile, e divertente, molto divertente. Anche le coperte sono rosse, of course. Bianche sono le se die, certe poltroncine di vimi ni, e il tavolo in sala da pran zo, un vero Saarinen, rotondo, su una gamba sola, leggera, a calice. La lampada in antica mera è bellissima, unica; col grande globo che pende dal l’antenna ricurva, somiglia a un lampione e fa venire l’idea di appoggiarvisi a fumare una sigaretta, prima di entrare. Di certo i miei amici l’approve ranno, rideranno.
Ora è finita, è tutto a posto, anche la biancheria è nei cas setti. E’ stata una fatica, ma che soddisfazione! Siamo nel la nostra casa. Facciamo scat tare gli interruttori da una stanza all’altra; tic, e il bel lampione s’accende facendo brillare il parquet; tic, tic, per tutta la casa s’accendono e si spengono le lampade; e forse perché le pareti sono nude e i mobili, come si usa oggi, scar si, quei tic hanno un’eco sec ca, strana. Si fa scrosciare l’ac qua, si aprono e si richiudono le porte, i cassetti. Bello, bel lissimo, si sorride. E ora? Ora si va fuori, a cena, e, dopo, al cinema, fino a tardi, almeno fin oltre la mezzanotte, l’una.