Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario #3/11

7 Luglio 2008

di Carlo Cassola
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 30 luglio 1969]  

Anni fa mi capitò di leg ­gere che in Inghilterra un re ­ferendum sui più bei roman ­zi di ogni paese aveva dato il seguente risultato: primo Don Chisciotte; secondi ex aequo I viaggi di Gulliver e Guerra e pace. Ricordo che rimasi scandalizzato, e non per l’idea del referendum e della conseguente classifica. Al contrario, le classifiche mi affascinano per il loro carat ­tere sportivo: ne faccio di continuo, anche al di fuori dello sport. Anche tra gli scrittori, appunto. Sì, lo so, i valori letterari sono incom ­mensurabili, e in fondo non ha importanza stabilire se uno scrittore è maggiore di altri (importa solo stabilire se è uno scrittore o non lo è). Ma a una gerarchia di valori, si attengono inevita ­bilmente gli stessi critici e sto ­rici della letteratura: traccian ­do un profilo o un panora ­ma, bisogna bene che operino una selezione, e che fra gl’inclusi ripartiscano varia ­mente lo spazio a seconda dell’importanza. Insomma, sti ­lano anch’essi una classifica, anche se non la rendono espli ­cita.
L’iniziativa di quel giornale inglese non aveva dunque in sé nulla di scandaloso. Fu il risultato a scandalizzarmi. Com’era possibile che Cervantes, Swift e Tolstoj fosse ­ro messi sulla stessa bilancia? Che razza di cocktail era quello? Una classifica è pos ­sibile solo dove i valori sono omogenei. Si potrà sostenere che Coppi era superiore a Binda, non che Coppi era su ­periore a Nuvolari o a Ber ­nardini. Per me mettere sul ­lo stesso piano un romanzo del Cinquecento, uno del primo Settecento e uno della seconda metà dell’Ottocento era come fare un parallelo tra un ciclista, un automobilista e un calciatore.
Non ricordo se il referen ­dum fosse stato condotto so ­lo tra gli specialisti, critici e storici della letteratura, o se fosse stato esteso ai semplici lettori. Quel secondo posto ex aequo mi fa però suppor ­re che le persone consultate fossero poche: nel caso di una consultazione più difficilmente due romanzi avrebbero potuto avere lo stesso numero di voti.
Dunque in pieno Novecen ­to, critici e storici   della let ­teratura   continuano   tranquil ­lamente a ritenere che esista una continuità tra il romanzo rinascimentale, quello settecentesco e quello ottocentesco. La cosa non mi sorprende, ho sempre avuto il sospetto che la cultura letteraria continui a essere affetta da classicismo.
 

*

Per   un   classicista,   tutto è  già stato   scritto:   nell’antichità.     Da     allora     lo     scrivere è scaduto a esercizio letterario: all’imitazione dei classici, appunto. La classicità offre mo ­delli     insuperabili     in     tutti i campi: nell’epica, nella dram ­maturgia,     nella     lirica, nella storiografia eccetera. Chi po ­trà far meglio di Omero, di Eschilo, di Saffo o di Tucidide?
Ovvio che una cultura im ­pregnata di classicismo si adoperi a ricondurre tutto sotto il segno dell’antico, del già detto, del già scritto; che non riconosca carattere di no ­vità a niente; che si accani ­sca contro il moderno e il contemporaneo. Qualche scrit ­tore di incontestabile gran ­dezza, che so, un Dante, un Petrarca, un Ariosto, col tem ­po viene assunto nell’olimpo dei classici: incoronato d’al ­loro, troverà posto fra i bu ­sti al Pincio, diverrà venera ­bile e polveroso come gli an ­tichi. Conservatrice all’estre ­mo, la mentalità classicista si deve a volte adattare a opera ­zioni trasformistiche: non viene comunque mai meno alla sua vocazione imbalsamatrice e mortuaria.
È con la persistenza di questa mentalità che mi spie ­go perché si parli tanto, e in modo tanto compiaciuto, di crisi del romanzo e addirittu ­ra di morte del romanzo. È logico che il classicista chieda la testa del romanzo, che è creazione originale del mon ­do moderno. S’intende che anche la lirica dell’Ottocento e del Novecento ha caratteri originali: ma una qualche parentela è sempre possibile trovarla, non solo col petrar ­chismo, anche con la lirica greca. Mentre con buona pa ­ce di coloro che risposero co ­sì malamente al referendum indetto da quel giornale in ­glese, non esiste parentela al ­cuna tra il romanziere mo ­derno e contemporaneo e il novellatore rinascimentale, medioevale, latino e greco.
È proprio il romanzo che ha rotto le uova nel paniere ai classicisti, infrangendo il mito che l’antichità abbia modelli per ogni tipo di espressione letteraria. L’an ­tichità avrà prodotto tutto, ma non ha prodotto il romanzo come noi l’intendiamo. Sarebbe inutile ricercare tra i classici il modello di Madame Bovary.
Il romanzo è stato un guastafeste anche in un altro senso, perché ha vanificato il pre ­giudizio classicistico che l’e ­spressione in versi sia supe ­riore all’espressione in prosa. Non è che io voglia ora ro ­vesciare il pregiudizio: ma è certo che nel suo insieme e anche nelle sue punte massi ­me, il romanzo nell’ultimo se ­colo e mezzo ha dato più del ­la lirica. Facessero un refe ­rendum sui tre massimi scrit ­tori moderni, credo proprio che indicherei Tolstoj, Dostoievskij e l’Hardy romanziere: sacrificando poeti indub ­biamente grandi e che mi so ­no molto cari.
Logico, ripeto, che il ro ­manzo sia inviso a certa gen ­te. Spacciato il romanzo, qui da noi il carduccianesimo tor ­nerebbe a imperare sovrano (impera già largamente).
Ho dovuto usare circonlo ­cuzioni quale « il romanzo co ­me noi l’intendiamo » per non usare le solite definizioni di « romanzo borghese » o « ro ­manzo psicologico ». La pri ­ma è da rigettare perché impropria: « borghese » è un ter ­mine sociologico, e come tale non serve a definire un fe ­nomeno artistico. La seconda vale al più per il romanzo settecentesco inglese e france ­se, che non è ancora il roman ­zo moderno. Il romanzo mo ­derno nasce intorno al 1830, giunge a maturità nella se ­conda metà del secolo, entra in crisi ai primi del Novecen ­to: ma non si tratta affatto di una crisi mortale, come quei signori si augurano.
 

*

Il romanzo moderno rom ­pe con la tradizione del no ­vellare   (per questo, come di ­cevo, è impossibile vedere una linea di svolgimento che, par ­tendo dal poema epico e dal romanzo   dell’antichità,   attra ­verso il poema cavalleresco e la     novellistica    medioevale     e rinascimentale,     arrivi     al     ro ­manzo dei nostri tempi). Il ro ­manziere dei nostri tempi non si cura più di tener desta l’attenzione del lettore col rac ­conto di casi       straordinari; rompe altresì con l’aneddotica della   novellistica.   Non   tiene più in sospeso l’animo dell’in ­genuo     lettore     con     la     paura che il malvagio abbia la me ­glio;   né salva l’eroe o l’eroi ­na all’ultimo momento, facen ­do arrivare i nostri come nei film     western.     Non     presenta nemmeno più le due schiere dei buoni e dei malvagi:   ai caratteri incarnanti un vizio o una   virtù, posseduti   da una sola passione, coincidenti con una     definizione     morale,     ha sostituito i personaggi: esseri complessi,       contraddittori,       a cui non si può applicare una etichetta, che rimangono sempre al di là di ogni esplicazione. Come la Gruscenka dei Fratelli Karamazov, ogni personaggio di un romanzo moderno potrebbe dire: «Siamo abbietti e buoni, abbietti e buoni a un tempo… ».
Giacché il vero fine del romanziere non è più quello di moraleggiare, come non è più quello di novellare. Egli è spinto solo dal bisogno di rappresentare.
Certo, continua a raccontarci qualcosa: un romanzo, com’è impensabile senza un personaggio, è im ­pensabile senza una vicenda. Si deve per forza raccontare qualcosa di qualcuno. Ma nel romanzo moderno tutti gli ele ­menti della narrazione concor ­rono in uguale misura a raccontare la vicenda. Non c’è una sola notazione a cui lo scrittore rinuncerebbe. Ai suoi occhi quella notazione, per marginale che sia, è indispen ­sabile quanto tutte le altre. Per cui, se proprio dovessi appiccicare un cartellino al romanzo dei nostri tempi, lo chiamerei « esistenziale ». In senso lato, l’intera narrativa moderna è mossa da questo bisogno di ricupero dell’esi ­stente.
Il romanziere potrà anche mirare a raccontare una sto ­ria, ma tutto ciò che le sta intorno, l’atmosfera, l’ambien ­te, il paesaggio, la collocazio ­ne temporale e così via, sarà per lui d’importanza vitale. La storia in ogni caso è solo lo scheletro, l’ossatura: ci vuo ­le intorno polpa, molta polpa.
La crisi a cui accennavo prima, e il cui inizio risale ormai a sessant’anni fa, è ori ­ginata dalla presa di coscien ­za della crescente o addirit ­tura della esclusiva importan ­za della polpa rispetto all’ossatura.

 

 


Letto 1739 volte.


1 commento

  1. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario #3/11 - Il blog degli studenti. — 7 Luglio 2008 @ 13:41

    […] proiettilixscrittori: […]

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart