LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario #1/11
27 Giugno 2008
di Carlo Cassola
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 4 aprile 1969] Â
«Hardy! Chi era costui? ». Se non proprio in questi termini, una domanda del ge Ânere m’è stata rivolta da più di un conoscente, a cui l’anno scorso era capitato di leggere alcuni miei articoli sul grande scrittore inglese. Né si tratta Âva d’ignoranti. Al contrario, erano persone provviste di una buona cultura letteraria. Perché dunque per loro Hardy era poco più che un flatus vocis?
Non si può certo dire che l’informazione letteraria sia oggi scarsa, o poco diffusa, o non aggiornata. Dalle riviste d’elite rimbalza nei quotidia Âni, viene riecheggiata dai ro Âtocalchi e dai giornali fem Âminili. Un nome entra in cir Âcolazione dall’oggi al domani. Era sulla bocca di pochi spe Âcialisti, e in un batter d’oc Âchio è diventato familiare alle masse.
Che differenza dai miei tem Âpi! Il Novecento era già nel suo quarto decennio, ma la cultura letteraria ufficiale continuava a esser quella ottocen Âtesca. Il nome di D’Annunzio bastava a far storcere il naso ai nostri padri e ai nostri pro Âfessori, rimasti fermi a Car Âducci (come Croce, del resto). Non parliamo del futurismo (già , con questo nome, erano soliti bollare in blocco l’ar Âte del Novecento). Da simili maestri non avremmo potuto aspettarci nemmeno la più elementare informazione sugli scrittori del nostro tempo.
Così, ce li dovevamo sco Âprire da noi: con l’aiuto ma Âgari di un amico di poco più anziano, che ci mettesse sulla strada. Non valeva abitare in una grande città , si era altret Âtanto isolati che in un buco di provincia. Sugli autori più importanti mettevamo mano quasi per caso. Ognuno face Âva le sue scoperte, magari sul Âle bancarelle dei libri usati, e si affrettava ad annunciarle ai due o tre amici che condivide Âvano la sua passione per la letteratura. S’intende che era Âno scoperte solo da un punto di vista soggettivo: oggettivamente parlando, nel ’36 Joyce, Proust, Lawrence, Gide o Kafka non erano certo autori da scoprire.
Era una formazione che ave Âva il vantaggio d’essere più personale. Non solo non si correva il rischio d’essere influenzati o suggestionati dagli altri: ma il fatto di aver sco Âvato da soli i « nostri » autori, ce li rendeva molto più cari. Ognuno covava gelosamente il tesoro messo insieme in mo Âdo tanto avventuroso. Negli amori come negli odii letterari nettevamo una passionalità che credo sia estranea ai giovani d’oggi. E se in seguito abbiamo potuto ripudiare o ridimensionare qualcuno dei nostri idoli giovanili, lo abbiamo fatto con riluttanza e c’è costato dolore.
Ma gli svantaggi non erano da meno. E sarebbe  certo segno di oscurantismo augurarsi una nuova frattura tra la cultura   letteraria   ufficiale   e   le nuove   generazioni.   E’   certo meglio così, che l’informazio Âne   letteraria sia rapida,  ab Âbondante, sollecita a esaudire le richieste della gioventù.
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Ma questo non ci deve im Âpedire di criticarne i difetti. Uno almeno mi pare che salti agli occhi: si propongono via via all’attenzione dei lettori, dei giovani in particolare, due, tre, cinque nomi; e nel giro di una stagione li si è bell’e accantonati per far posto ad altri ugualmente meritevoli o immeritevoli di essere messi in evidenza.
Non credo che la colpa sia solo della tendenza ai rapidi consumi: nella fattispecie, del Âla cosiddetta industria cultu Ârale, in caccia di novità da lan Âciare il più clamorosamente possibile, e da lasciar cadere in modo altrettanto repentino, appunto per far posto ai nuo Âvi lanci. Almeno una parte di colpa spetta alla critica, che asseconda questo andazzo, o non lo controbatte a suffi Âcienza.
A un’informazione superfi Âciale,   effimera,  nevrotica,   la critica dovrebbe contrapporre un discorso in profondità sullo stato della ricerca lettera Âria: rifacendosi ovviamente da lontano, dai primi del secolo o   addirittura   dall’Ottocento. Un  discorso  del  genere  mostrerebbe   che   i   libri   buoni non si sono affatto consumati; che rimangono attuali; e che continuano   a   indirizzare,   in modo  discreto e  sotterraneo, lo svolgimento della migliore letteratura.
Purtroppo la maggior parte dei critici rifugge da un discorso così impegnativo. Il se Âcolo è giunto a due terzi ab Âbondanti del suo cammino, certe linee di svolgimento do Âvrebbero essere ormai accer Âtate, certi valori assodati… Ma il critico nicchia: meglio so Âprassedere. Aspetta che la si Âtuazione si decanti (ma non dovrebbe essere lui a decantarla?).
Ogni  tanto, è vero, la critica e l’editoria si trovano d’ac Âcordo nel tentare qualche rilancio. Nel  ’65, il centenario della nascita offrì il destro per il rilancio di D’Annunzio. Oggi mi pare di capire che sia in atto un rilancio di Marinetti.
Mi viene da ridere ripen Âsando che D’Annunzio e il futurismo erano le bestie nere dei nostri padri e professori carducciani: mentre per noi giovani, D’Annunzio era re Âmoto quanto Carducci, e il fu Âturismo ce lo lasciammo su Âbito alle spalle, come una esperienza che non avrebbe potuto insegnarci nulla.
In realtà questi rilanci non vogliono affatto contribuire alla creazione di una prospettiva letteraria. Sono anch’essi il frutto della rincorsa dell’at Âtualità , e della lotta per il potere letterario. L’anno prossimo sarà il cinquantenario del Âla morte di Tozzi. Vorrei sbagliarmi, ma temo proprio che passerà sotto silenzio: un rilancio dì Tozzi non farebbe il gioco di nessuno.  Â
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Si può capire che nell’epoca umbertina il futurismo apparisse ai giovani come una ventata di modernità . Comunque i più intelligenti fecero presto a rendersi conto che il rappor Âto tra l’artista e il mondo moderno era meno semplicistico di come lo delineava un Marinetti.
«La semplicità pastorale non ha relazione con lo stato  attuale. La sua falsa naturalezza è una convenzione lettera Âria, un artificiale manierismo, un fenomeno libresco: non na Âsce dalla campagna, ma dagli scaffali delle biblioteche accademiche.   Il   linguaggio  vivo, nato sul vivo, che corrisponde, allo  spirito  d’oggi,  è  il   linguaggio dell’urbanesimo…  La strada che  rumoreggia  senza tregua giorno e notte, è strettamente legata all’anima contemporanea,   come   le   prime note di un’ouverture richiama Âno l’immagine del sipario ancora  abbassato, pieno di  mistero e di penombra, ma già acceso dalle luci della ribalta. La città che fruscia e risuona incessantemente, senza requie, al di là delle porte e delle finestre, è per ciascuno di noi la grandiosa ouverture della vita ».
Chi scrive è Pasternak: che per suo conto ha tratto indifferentemente ispirazione dalla campagna come dalla città . Né s’è contraddetto per questo. Pasternak infatti raccomanda solo l’adozione di un linguaggio che corrisponda alla sensibilità d’oggi.
Contrariamente a quanto credeva Marinetti, non esiste un repertorio di temi moderni (la grande città , le macchine, la velocità ). Esiste solo una sensibilità moderna, un linguaggio moderno. Quanto ai temi, ognuno deve individuare i propri. Uno scrittore non è certo più moderno di un altro per il fatto che parla di Nuova York invece che di Roccacannuccia.
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Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario - Il blog degli studenti. — 28 Giugno 2008 @ 18:50
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