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LETTERATURA: I MAESTRI: Frammenti senza costrutto

22 Aprile 2017

di Tommaso Landolfi
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 28 marzo 1969]

– Perché diavolo sei venuta? – urlai come invasato. (Era giunta poco innanzi, ed era stata da me accolta con una violenta scenata, con tuoni che tuttora brontolavano).

– Perché, – rispose tranquillamente.

– Cioè, t’è sembrato che io avessi bisogno della tua presenza?

– Non so se proprio della mia presenza: di me.

– E di dove è sembrato?

– Così.

– L’hai sentito, dunque?

– Mettiamo.

– In tal caso, perché non sei venuta prima?

– Perché prima non l’ho sentito. E tu eri partito cosi in fretta, pareva volessi star solo per un po’ di tempo… Ad ogni modo, che bello!

– Cosa?

– Tu non discuti il punto principale: sicché è vero che avevi bisogno di me?

– Chi ha detto questo! â— gridai mordendomi le labbra e ridivampando. â— Di’ tu, in ­vece: ammesso e non concesso, saresti venuta soltanto perché io ho bisogno di te?

– No, anche perché io stessa a mia volta…

– Brava; perfetta, come ri ­sposta.

– Ma, â— replicò con un certo buon senso, â— se io non avessi avuto bisogno di te, a poco ti sarebbe servito l’aver bisogno di me.

– Senti senti: un libro stampato! In generale, â— sof ­fiai, â— ti trovo più buona: più comprensiva, più pazien ­te. E come mai?

– Non potrei essermi cal ­mata, in questo tempo che son rimasta lontana da te?

– Io ti ricordo vipera.

– Può darsi, può darsi; ma alfine eccomi qui.

– Qui in qualche modo; ma non basta, e io non ti vo ­glio!

– Via, me la spiego, la tua reazione: tu sei ricascato nella tua vita da scapolo, per certi riguardi più comoda; e natu ­ralmente, prima di riabituarti a me o a chicchessia…

– Anche le interpretazioni, e benigne per giunta! Stai peggiorando le cose, bada: ché donde viene, torno a chie ­dere, la tua inusitata mitezza?

– Oh beh, si direbbe che appunto e in modo speciale ti dispiaccia la mia mitezza: non è singolare?

– no, maledetta! Tu m’hai ridotto a tale che, se per un caso non mi tartassi e ingiurii, io subito rizzo gli orecchi, su ­bito entro in uno stato d’allarme.

– In altri termini, sospetti al mio buon essere una causa ignominiosa?

– Non è sospetto, è cer ­tezza!… Uhm: quasi, certezza.

– Oh Dio, forse me lo me ­rito per i miei peccati. E con ­tinua.

– Sicuro che continuo. Te lo   dirò io perché sei tanto buo ­na con me: perché mi tradi ­sci!

– Sì, più o meno quanto immaginavo che tu immagi ­nassi.

– Non ti trincerare dietro le stupide frasi. E’ vero?

– No.

– No? Vieni in piena luce, guardami… E’ vero?

– No. E permettimi di do ­mandarti con chi avrei dovuto o potuto farlo.

– Che sciocca, che malde ­stra: con Ambrogio.

– Chi è?

– Lo sai benissimo! Am ­brogio è il marito della tua diletta amica Anna.

– Già. Difatto lo sapevo; ma mi pareva così assurdo…

– Assurdo?

– Che tu lo pensassi: ha un visino piccolo, raggrinzito, una bocca da topo.

– E questo che vuol dire?

– Io amo i visi di costru ­zione generosa, grandiosa: co ­me il tuo.

– E credi che io la beva? Per una volta ogni donna è di- sposta a… anzi, meglio se… Ma s’intende che un semplice capriccio non basterebbe a renderti quale ti ritrovo: no, se tu sei tanto agnellina, è che senti o ti figuri di dovermi delle riparazioni; è perché, sa il cielo, sei stabilmente felice con lui; è per ­ché, daccapo, mi tradisci!.. E ciò posto, com’è che sei qui, torno a chiederti? Per pietà, per dovere?

*

Ecco: era solo un qualunque appiglio, secondo avviene al caldo dell’ira, al massimo un remoto sospetto; nondi ­meno mi avvidi ora d’un trat ­to, e non senza sgomento, che esso mi stava divenendo, mi era già divenuto una cosa importante, urgente. Mi pareva, ormai, che non avrei trovato pace se non avessi chiarito questo punto: mi aveva tradito, mi tradiva ella?

Cercai di ragionare: una tale eventualità, mi dissi, era nell’ordine dei possibili, cioè non aveva consistenza più che sistematica; era pertanto delle meno probabili. E a nulla val ­se (il tentativo di ragionamen ­to). In pari tempo andavo ri ­flettendo che in nessun modo avrei potuto ottenere una pro ­va documentale o sperimentale e che dovevo al massimo contentarmi di un’analisi stilistica o del testo. Sicché insomma afferrai la donna per le fra ­gili spallucce, tanto tenere e duttili che si sarebbero richiuse a libro sul seno; e, guardandola nel bianco degli oc ­chi:

– Mi tradisci con Ambrogio?

– No, l’ho già detto.

– Con altri? â— (Ma con altri era ancor più improba ­bile: era turpe, pazzesco pen ­sarlo).

– No.

– Non aggiungi nulla?

– E che?

– Non ti giustifichi?

– Per cosa?

– Dunque sei colpevole!

– Al contrario, innocente.

– L’innocenza ha sempre paura; l’innocenza, si giustifica, non la colpa… Guarda ­mi, guardami diritto.

– Ti guardo. T’avverto pe ­rò che abbiamo già fatto que ­sto esperimento.

Ma cosa passava nei suoi occhi? cosa passava di… di frusto, di vile, di sordido? Da una parte, ossia per un certo verso, essi raggiavano casti e puri: dall’altra… E tuttavia, questa mistura di nobiltà, di libertà, quasi di magnanima sfida, e di abbiezione, quasi di terrore, non era quella di ogni occhio umano? E di nuo ­vo, era vero ciò che temevo (ma forse non è il verbo giu ­sto) con tutte le mie viscere, o no?

– Ambrogio? â— gridai.

– Ambrogio! â— rispose co ­me interiettivamente, ma in fondo senza una precisa into ­nazione; un po’ stanca, se mai.

*

E finalmente intesi che né dai suoi occhi né dalle sue parole, né da qualsivoglia mia sagace osservazione, avrei ca ­vato alcunché: la risposta non era in lei, era in me stesso. In me stesso, se non rispetto al particolare quesito che or ora mi assillava (e che già, nello svariare dei miei risentimenti, aveva perso quasi tutto il suo fiele), almeno rispetto al ge ­nerale contesto di cui, e della cui incertezza, esso s’era fatto spia… Cosa dovevo fare: dav ­vero scacciar questa donna lontano da me? o accettarla, con tutta la sua carica d’insicuro, di malsicuro, d’irrisolto (che d’altronde poteva essere una mia mera fantasia) ? A me, a me solo spettava decidere, non m’era dato sperare soccorso da nessuno e da nul ­la; ma, appunto, decidere non sapevo.

L’avevo respinta con vio ­lenza; la ricolsi al volo mentre stava per abbattersi sul mio letto; ero stato preso da una specie di riso isterico.

– Ah ah, Ambrogio! tu credevi… tu credevi… Che me ne importa, di Ambrogio!

– Meno male, â— ebbe la improntitudine di replicare.

– Eh no, cara. â— Poi mi avvidi che la mia voce era divenuta sommessa e ricomin ­ciai ad urlare: â— Ma possi ­bile tu sia tanto stolta o folle o maligna! Lo capisci che ad un sol patto e con un solo dono tra le mani avresti po ­tuto e dovuto venire? Sì: avrebbe avuto un senso, la tua venuta, solo se tu mi avessi portato amore!

– E chi ti dice che io non t’abbia portato amore?

Era una sua risposta dei tempi buoni: era troppo! Trop ­po come pretesa o come ar ­dire, ma anche troppo, cioè troppo facile, quale occasio ­ne. Mi spiego. Da un bel po’ meditavo, anzi mi studiavo, di annullarmi, di naufragare nell’oscura realtà, in altri ter ­mini di vivere alla giornata, debellando ogni mia supersti ­te esigenza d’ordine, interpre ­tazione, divinazione (bagaglio inservibile ed infesto) e se an ­cora non lo avevo fatto, o se fin qui non avevo potuto, era stato per mancanza di un’op ­portunità, diciamo, sufficientemente esemplare. Ebbene, ora tale invocata opportunità od occasione mi si presentava, e nuda in certo modo, risolutiva, come quella che coinvol ­geva la mia vita medesima, nella misura in cui si trovava impegnata, intricata in questa storia; salvo che soverchiamente agevole, cedevole… Coglierla, sicché, o sdegnosa ­mente rifiutarla?

Fu vile, lo so, ciò che feci. Oppure no, fu una buona ispi ­razione (difatto potrei avervi bruciato la parte più caduca di me, la parte sostenuta dal ­l’orgoglio). Staremo a vedere: ché quanto narro con affanno è cosa di mezz’ora fa… In po ­che parole, agguantai questa mia o non mia donna a mezzo corpo e presi a baciarla furiosamente. E lei si sciolse tra le mie braccia, come d’uso mormorò: « Sciocco, scioc ­co! » â— col resto.

Ma non sono convinto di esser stato e d’essere « scioc ­co »; né d’altro canto voglio dire che ella davvero mi tradi ­sca con quell’Ambrogio; vo ­glio dire… Cosa voglio dire? Forse, e per ribadire il con ­cetto, che sarebbe troppo fa ­cile così: se la rinuncia all’orgoglio fosse affidata a così compiacenti occasioni.

 


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart