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LETTERATURA: I MAESTRI: Giangiacomo Micheletti. Il vento della quinta stagione

26 Gennaio 2012

di Carlo Bo
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 28 febbraio 1969]

Enrico Vallecchi propone all’attenzione dei lettori di buon gusto una novità che indubbia ­mente susciterà molto interes ­se. Si tratta dell’opera postuma di uno scrittore degli anni Qua ­ranta, peraltro completamente sconosciuto e morto di ventitré anni nel 1945: Giangiacomo Micheletti.

Le notizie, della sua vita so ­no pochissime: era nato a Fi ­renze e in quella città aveva cominciato gli studi. Poi, per il trasferimento della famiglia in Africa, era rimasto a Bengasi fino al 1934. Rientrato in Italia proseguì gli studi a Fi ­renze, prima al Liceo e poi al- l’Università. Il Micheletti è stato uno dei numerosi allievi del de Robertis e il libro che viene pubblicato oggi (Il vento delle cavalle, Nuove Edizioni Enrico Vallecchi) mostra segni evidenti di quell’ottima scuola. Micheletti fu stroncato da una malattia allora incurabile nel maggio del ’45. Ha lasciato, ol ­tre questo libro, dei saggi e sa ­rebbe interessante conoscerli per avere un quadro completo di una intelligenza letteraria fuor del normale.

Il libro di un giovane che, dopo venticinque anni, conser ­va gran parte della sua forza originale è di per sé un do ­cumento importante. Là dove uno avrebbe potuto aspettarsi tutt’al più indicazioni del gusto comune e del clima artistico del tempo, che era poi quello dell’ermetismo già stanco e prossimo ad esaurire la sua ca ­rica, il lettore con sorpresa tro ­va qualcosa di più di una bella esercitazione ed è costretto a riconoscervi una forza autenti ­ca e una capacità di far coin ­cidere il senso della realtà e il rapporto di una fantasia poe ­tica veramente trasformatrice. In una nota dello stesso Miche ­letti che serve da giustificazio ­ne sono spiegate le origini di questo romanzo. Origini criti ­che; e il giovane scrittore spie ­ga con rara perizia come da una frase di Poe gli sia nata questa invenzione: «â€¦ io da tempo pensavo al romanzo, al suo fenomeno ed alla sua for ­tuna: dunque criticamente e storicamente. Un romanzo, che io con vecchio nome dicevo ‘ regionale ‘ intendendo non una ricerca od una caratteristi ­ca di ambiente, di costume e di uso, bensì una speciale in ­fluenza della terra. Immedia ­te ed urgenti influenze della terra che muovono gli uomini, ed uomini, per questa possibili ­tà e sensibilità, veramente ele ­mentari, espressi in una loro essenziale figura. Allora, e per una lettera di Poe, io trovai un nome avvertito a queste in ­fluenze, cioè: ‘passioni’. Fu proprio l’incontro di un nome, che mi conduceva il preciso senso di quella influenza, la sua umana e più immediata reazio ­ne. E sono passioni che le terre nutrono e conservano, insieme violente e tenaci, improvvise ed antichissime, note e linee rigo ­rose della loro natura e della loro sorte…

« Ora Poe ancora diceva: ‘ La passione richiede una familia ­rità ‘. Così astraendole dal testo le parole ponevano una nuova condizione, e cioè di una fedel ­tà, di una abitudine, d’una estre ­ma vicinanza con quelle terre e quelle passioni.

« Uomini perciò ‘ primi ‘ â— così li chiamavo â— riferendo ­mi non ad un ordine di tem ­po, ma d’anime. Anime pri ­me, fedeli e pronte ».

Questo per lo spirito del li ­bro; resta da vedere quali sia ­no state le scelte degli stru ­menti. E Micheletti spiega che, dopo aver fissato l’anima stes ­sa del romanzo, gli fu facile abbandonarsi a delle immagi ­ni, meglio al ricordo e alla va ­lutazione della realtà. « Erano veramente delle immagini, una cavalla, una donna, una terra di febbri: venute dapprima così staccate ed improvvise dopo per una non pronuncia ­ta rinuncia e stanchezza al ragionare, ed una vaghezza del ­l’immaginazione: collegate. E legate da una sorte assoluta e precisa, definita come i nume ­ri, precisa come i loro inter ­valli. Così, naturalmente, io dissi: ‘passione’. E mi ricor ­do che cercai subito dei nomi a quella cavalla, a quella don ­na, una stagione a quella ter ­ra ».

In effetti, nel romanzo si avverte una soluzione forte ­mente poetica, tale da decide ­re nel senso del poema vero e proprio questo intelligente rap ­porto critico. Dire che il gio ­vane scrittore abbia saputo ottenere un impasto semplice non intellettualistico, come sa ­rebbe stato in un certo senso logico, non è affatto abusivo E questo perché il Micheletti non si è mai scostato da una equazione di base che è poi quella di un suo personag ­gio: « Noi siamo antichi e que ­sto è il mondo: l’uomo e la bestia. Allevarle e ucciderle. Ma una cosa vi voglio dire, che mi riesce strana. Io quan ­do uccido mi sento più d’uno che giudica, perché il mio non è lavoro di giustizia e forse nemmeno di utilità ».

Sull’altro versante, il senso della morte: «Sara… allora pensava subito a corpi gonfi e neri, con un puzzo atroce: Quando pensava al suo corpo morto le pareva di impazzire e pensava ad un morire diver ­so, più bello… ».

La terra, le stagioni, il ma ­re e il giuoco delle passioni che altro non sono se non pre ­se di possesso della vita. La vicenda resta in qualche modo appannata da questi richiami a una disposizione critica. Ec ­co perché partito per scrivere un romanzo regionale, il Mi ­cheletti si è trovato coinvolto in una storia quasi anonima, dove la partecipazione assolu ­ta libera i suoi personaggi dal ­la condizione del momento e ne fa dei protagonisti di un’altra vicenda. Il pericolo sarebbe stato di cadere nell’emblematico e nel letterario e l’averlo saputo evitare è una riprova della forza di rappresentazione dello scrittore. Il risultato è singolare, nuovo per il tempo in cui è stato scritto il libro e nuovo perché in que ­sti venticinque anni nessuno si è sentito di portare avanti un esperimento del genere, al di fuori di qualsiasi suggestione culturale.

Naturalmente non sarà dif ­ficile al lettore riconoscere de ­gli echi (da Tozzi a Bilenchi da d’Annunzio a Vittorini, da Alvaro a certi americani che erano stati abbondantemente consumati fra il trentasei e il quaranta) ma si tratta di mo ­tivi ben digeriti e che non arrivano mai a bloccare le soluzioni poetiche che sono alla base dell’operazione. Quel ­la che è la passione della vi ­ta, accettata e sofferta fino al ­la tragedia, risalta in tutta la sua luce ma senza amplifica ­zioni, senza un filo di rettorica.

Documento singolare â— lo ripetiamo â— e non tanto per ­ché ci arriva per una strada ben particolare o perché testi ­moni l’intelligenza di uno scrittore ‘ nuovo ‘ con ogni di ­ritto ma perché è il frutto di una coincidenza sfruttata con sottili accorgimenti critici. « A me bastavano una terra, degli uomini, delle bestie, in questa successione e vicinanza. Certo quella terra mi è divenuta fa ­volosa e prodigiosa. Pure le terre scaldano e conservano le antiche ed elementari passioni che, a volte, in simboli natu ­rali alludono, come febbri e terremoti, e colori ed acque e boschi. Per loro come una quinta stagione, che, al suo tempo, muove e governa le anime degli uomini ».

Che è come dire, la realtà e l’immaginazione â— quando sia data una felice situazione poetica â— possono dare alla nostra vita animale un senso e una giustificazione d’ordine superiore. Proprio nell’attesa interpretata il Micheletti ha potuto risolvere un problema così arduo, senza incertezze né paure.


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Bart