LETTERATURA: I MAESTRI: Giorgio Manganelli e il suo Don Chisciotte di carta26 Ottobre 2010 di Alberto Arbasino Forse nessun istituto appa riva fino a poco fa scre ditato e defunto come la Re torica, ridotta a funzionare unicamente come termine di spregiativo nel parlar volgare, sinonimo di « vuota ampollo sità », al fondo d’una scivo lata catastrofica, dopo gli abu si e le sventatezze di tante generazioni culturali troppo affidate al fremito dell’intui to… Eppure, certo, nessun altro istituto nella cultura oc cidentale ha effettuato in così breve tempo un « gran de ritorno » altrettanto im pressionante alle più alte di gnità della pratica lettera ria… Le figure Alla luce della teoria della letteratura avviata brillante mente dai Formalisti Russi e portata trionfalmente avanti dalla Nuova Critica francese, infatti, il minuto esame del funzionamento dei meccani smi interni dell’organismo letterario prevale presto su ogni altra forma di analisi o di giudizio culturale. E qui la pratica retorica si rivela subito non più un deposito abbandonato di sineddochi polverose e di litoti in disu so, bensì una cassetta di at trezzi indispensabili per verifi care gli interruttori e far funzionare i rubinetti: tecni ca privilegiata, insomma, e non già arsenale di balocchi insensati. Già Eliot e Valéry, natural mente, accordavano un privi legio « assoluto » alla Scrittu ra, a spese di ogni interesse per la trama (e per i fatti, per i personaggi), nonché per le buone intenzioni, e per qualunque nesso fra Libro e Realtà (o Natura)… Ma dopo lo strutturalismo il gusto squisitamente tecnico per il funzionamento degli « strumenti » sviluppa un fascino sottile e implacabile per l’in sé dell’attrezzeria. Insomma, il narcisismo del cruscotto. A questo punto, entra Giorgio Manganelli: apparizione fra le più spettacolari e inquietanti nel nostro palcoscenico letterario più recente. Non gli importano davvero lo scientismo sistematico e il razionalismo linguistico e lo strutturalismo metodico e le attrazioni politiche dei Derri da e dei Genette e degli altri suoi contemporanei che illu strano in Francia l’esercizio della critica « obiettiva » se condo un nobile recupero del le istituzioni retoriche addirit tura aristoteliche. Gli arnesi e le « figure » sono poi i me desimi: però, metonimia e metafore non saranno certa mente per lui utensili arti gianali da adoperare nella definizione d’una scienza o di una teoria della Letteratura, bensì capziose valvole e sofi stici tergicristalli da degusta re conditi con elegantissimi accoppiamenti di aggettivi in consueti, nel « freddo gau dio intellettuale » dell’eserci zio della Dottrina come irri sione. Così, i materiali d’elezione per le sue contaminate estasi retoriche non si rinverranno affatto fra Saussure e Jakob son, fra i teorici dell’informa zione o nel marxismo ereti co, nella semantica e nell’e pistemologia, bensì nei tratta ti barocchi e nei dizionari dei sinonimi, fra gli elenchi e i commentari e le declamazio ni della biblioteca di Don Ferrante, fra le acutezze e le argutezze e i geroglifici e i panegirici della gran Retori ca del Seicento italiano, rivi sitata non già come cimite riale schedario di macchina zioni metafisiche, ma in quan to galleria di mirabolanti de lizie. Retorica, dunque, come pro cedimento manieristico orga nizzato non tanto per (av vocatescamente) persuadere, quanto piuttosto per conge gnare i più sorprendenti vir tuosismi, in una pratica let teraria che abbia per ogget to â— rigorosamente, sfaccia tamente, stilisticamente, ine luttabilmente â— null’altro che la Letteratura stessa (come per il Cavalier Marino, be ninteso, però anche come per Georges Paulet e per Jean Starobinski, per Jean-Pierre Richard e per Roland Barthes. Oltre che per Gustave Flaubert). Artificio « L’opera letteraria è un artificio, un artefatto di in certa e ironicamente fatale destinazione. L’artificio rac chiude, ad infinitum, altri artifici; una proposizione me tallicamente ingegnata na sconde una ronzante meta fora; disseccandola, metteremo in libertà dure parole esatte, incastri di lucidi fonemi. Nel corpo della propo sizione, le parole si dispon gono con disordinato rigore, come astratti danzatori ceri moniali… Reciprocamente, ad una struttura demenziale cor risponde l’articolazione di una retorica. La perorazione paranoica si integra nei monologo maniaco depressivo. Obiettivo costante delle invenzioni retoriche è sempre il conse guimento di una irriducibile i ambiguità. Il destino dello scrittore è lavorare con sempre maggior coscienza su di un testo sempre più estraneo al senso. Frigidi esorcismi scatenano la dinamica furo rale dell’invenzione linguistica ». Questo « finale » della Let teratura come Menzogna, la raccolta di saggi manganelliani pubblicata da Feltrinelli due anni fa, risulta un lu cidissimo «programma » per lo straordinario tour de for ce romanzesco di Nuovo commento, uscito da Einaudi (pp. 156 L. 1800), l’estate scor sa. Qui Manganelli dà fondo all’illusione di Macrobio e di Aulo Gellio, dell’Anatomia della Melanconia di Richard Burton e dell’Anatomia della Critica di Northrop Frye, di Bouvard e Pécuchet, e perfi no di Adorno (nei confronti di Walter Benjamin): ah, scrivere un libro di sole ci tazioni! E si spinge addirit tura oltre l’illusione di Don Chisciotte: ah, vivere come una biblioteca! Il romanzo Nuovo commento consiste in fatti in un avviluppato intrec cio di note a un testo che non c’è, di saturnine e affasci nanti divagazioni intorno a un oggetto che non esiste, di periferie frananti e gio cose ai margini di un nucleo ostinatamente negato. L’operazione è riuscita splendidamente: la grazia iro nica dello Sterne del Tristram Shandy s’infiltra leg gera fra dotte e allucinanti mimesi di allievi di Daniello Bartoli e nipotini di Emanue le Tesauro; e nel moderno milieu accademico italiano, soltanto A. M. Ripellino sem bra possedere il dono di un gusto della parola altrettan to espressionistico e visiona rio… Ma sotto il peritoso ca priccio del pastiche erudito affiora continuamente il sot tosuolo di Dostoievski. Letto 8436 volte. | ![]() | ||||||||||
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