LETTERATURA: I MAESTRI: Gli Angeli Custodi visti da Guareschi
3 Dicembre 2018
di Giovannino Guareschi
(da “La scoperta di Milano”)
Dal dicembre del 1940 al giugno del 1930 corrono esattamente 10 anni e 7 mesi. E 10 anni e 7 mesi di paziente sopportazione sono troppi. La mia pazienza è oramai arrivata al limite estremo.
Occorre in più considerare che questi ultimi fatti sono stati particolarmente gravi.
Giacinto ha esagerato.
Giacinto, dal punto di vista professionale, sarà forse un eccellente Angelo Custode, ma come uomo ha un sacco di difetti.
Intanto è curioso: basta che io volga la testa all’improwi- so, quando sto scrivendo una lettera qualsiasi, per sorprendere Giacinto che, proteso dietro le mie spalle, cerca di leggere le parole che escono dalla mia penna.
E vanitosissimo. Nel quinto capitolo, e precisamente nel giugno del 1930, Giacinto non ha potuto resistere alla tentazione di farsi fotografare assieme a me. Di questo ho già detto a suo tempo, ma è opportuno ricordarlo, perché fu allora che io co ¬nobbi personalmente il mio Angelo Custode. Fu allora che egli, vistosi scoperto, uscì dall’incognito e non ebbe più ritegno a mostrarsi liberamente a me.
Se di Giacinto (il mio Angelo Custode asserì di chiamarsi così) io non parlai in seguito fu per delicatezza, per riguardo verso la benemerita classe degli Angeli Custodi.
Ma ora Giacinto ha esagerato e un ulteriore mio riserbo sa ¬rebbe indizio di debolezza.
Giacinto, dicevo, ha un sacco di difetti. Curioso, vanitoso e svagato.
Una volta, volgendomi all’improvviso mentre picchiavo sui tasti della mia macchinetta portatile, mi sono trovato alle spalle un Angelo mai visto. Giacinto se ne era andato pei fatti suoi e aveva detto all’Angelo Custode del portinaio:
«Da’ un’occhiata anche al mio: io torno subito ».
E io non ci tengo affatto a essere protetto dall’Angelo Custo ¬de del portinaio: è stata una mancanza di riguardo da parte di Giacinto.
Giacinto è attaccabrighe: l’ho sorpreso a litigare con l’Angelo Custode del signor direttore. E io non posso ammettere questo. Giacinto non deve impicciarsi di quello che io penso del signor direttore quando il signor direttore mi maltratta.
Inoltre è impertinente: una volta gli ho fatto una solenne pater ¬nale e gli ho detto chiaro e tondo che, se non si fosse messo a po ¬sto, io l’avrei licenziato, assumendo poi un altro Angelo Custode.
«Sarebbe un caso nuovo » mi ha risposto sorridendo Giacin ¬to. «A ogni modo sentiremo cosa ne pensa in proposito il sinda ¬cato degli Angeli. »
Queste non sono risposte degne di un Angelo Custode.
Giacinto è un tipaccio, in definitiva. Questa non è soltanto una mia idea personale: Camillo e Roberto hanno affermata la stessa cosa. E si tratta di due Angeli Custodi rispettabili.
Una notte mi sono svegliato di soprassalto. Qualcuno stava parlottando vicino a me.
Ho socchiuso una palpebra. E al pallido chiarore del lumino da notte ho visto.
Seduti ai piedi del letto stavano tre signori in candido camicione: uno era Giacinto, il mio Angelo Custode, gli altri due erano Camillo, l’Angelo Custode della dolce signora del mio quarto pia ¬no, e Roberto, l’Angelo Custode del nostro mascalzoncello rosa.
Chiacchieravano e Giacinto, naturalmente, teneva banco. Così ho scoperto una cosa nuova che non sapevo: l’Angelo Cu ¬stode, quando muore il suo amministrato, non fa altro che cam ¬biar persona, così come l’autista cambia padrone. Infatti, Gia ¬cinto a un tratto ha detto con convinzione:
«L’ultimo mio era molto migliore di questo: un tipo più se ¬rio, un notaio. Non mi era mai capitato uno che scribacchia sui giornaletti. E una cosa poco decorosa per uno, come me, che dal 1802 al 1885 è stato con Victor Hugo ».
«Tu hai lavorato dunque anche all’estero? » ha chiesto Ca ¬millo.
«Sì » ha spiegato Giacinto. «Conosco il francese, lo spagnolo e il romeno perfettamente. Pensa com’è buffo: “cuore” in spa ¬gnolo si dice “corazon”. »
L’Angelo del mio bambino ha scosso il capo:
«Stai sicuro che il mio marmocchio non farà certo il mestiere di suo padre ».
«E che cosa gli farai fare? » si è informato l’Angelo della mia consorte, curioso come la sua amministrata.
«Non so » ha risposto l’Angelo del mio bambino. «A ogni modo piuttosto che farlo lavorare per i giornaletti, gli faccio fare il tornitore. »
Giacinto si è messo a ridere:
«Se ha in mente di scribacchiare per i giornaletti e se è testar ¬do come suo padre, scribacchierà per i giornaletti, te lo garanti ¬sco. Io gli volevo far fare l’ingegnere navale e guarda cosa ci ho cavato fuori ».
«E sua madre che tipo è? Ti dà molto da fare? » ha chiesto l’Angelo del mio bambino.
«Per carità ! Per uno che, come me, ha lavorato con Lucrezia Borgia, Caterina de’ Medici e Matilde di Canossa, cosa vuoi che sia amministrare una donnetta così? L’unico guaio serio è che ha paura degli allarmi e ti dico io che debbo lavorare come un negro per fare in modo che non sbatta la testa contro il muro, o non caschi giù per le scale quando scende in cantina. »
«Io non scendo mai in cantina quando suona l’allarme! » ha detto con spavalderia Giacinto.
«Fai male » ha notato l’Angelo della mia consorte. «Non devi lasciarlo andare solo: va bene che è un uomo, ma quattro occhi vedono sempre meglio di due. »
«E che ci posso fare, io, contro le bombe? » ha risposto Giacinto facendo spallucce.
«Non è vero » ha affermato l’Angelo del mio bambino. «Si può sempre fare qualcosa. Io, per esempio, appena ho accompagnato il mio marmocchio in cantina, salgo su fino a quattro o cinquemila di quota per sorvegliare i movimenti del nemico. »
«Io non ho il brevetto di pilota né la licenza di caccia » ha spiegato Giacinto con ironia «e me ne sto a letto. »
«Invece di fare l’umorista, sarebbe meglio che tu prendessi le cose un po’ più sul serio. Se poi gli succede una disgrazia, tutta la faccenda resta sulle spalle a me » ha gridato seccatissimo l’Angelo della mia consorte.
«Io, poi, se non la pianti di fare lo spavaldo, sono anche capace di romperti la faccia! » ha aggiunto l’Angelo del mio bambino.
Giacinto si è messo a borbottare:
«Bella forza, in due contro uno. E poi non avete capito un accidente: io non scendo in cantina quando suona la sirena, ma soltanto quando cominciano a sparare ».
«Niente affatto! Tu devi scendere subito, quando scendiamo noi! » ha urlato minaccioso l’Angelo della mia consorte. «Un sacco d’arie perché ha lavorato all’estero! Se io che ho lavorato con Matilde di Canossa scendo subito, devi scendere anche tu, perché piantati bene in mente che Matilde di Canossa se ne mangia quindici dei tuoi Victor Hugo. »
Giacinto ha abbassato il capo, poi è andato a sedersi a gambe larghe sull’armadio.
L’Angelo del mio bambino è uscito un momento poi è ritornato:
«Fino a quota cinquemila nessuna novità. Per stasera non vengono più ».
«Peccato! » ha sospirato Giacinto e allora Camillo l’ha preso per il colletto del camicione:
«Sei un brutto tipo! » ha urlato.
«Sei peggio di un uomo! » ha aggiunto Roberto.
*
Non è quindi una mia personale impressione che Giacinto sia un tipaccio. In gamba lo deve essere perché gente come Victor Hugo non la si affida al primo venuto. Ma questo non migliora certo la situazione.
Il guaio poi è che Giacinto sta anche tentando di rovinarmi Camillo e Roberto, Angeli Custodi ottimi sotto ogni aspetto. E questo, francamente, non può andare.
La cosa è fresca.
Approfittando di un momento di sosta, invece di picchiar ditate sulla macchina per scrivere, quella sera mi ero seduto nella migliore poltrona della casa allo scopo di ascoltare le canzonette della radio.
La dolce signora, che – grazie a una manovra ardita – fece di un signorino un coniugato a vita, se ne era andata a letto assieme al suo mascalzoncello urlante.
Ero solo, la radio emetteva suoni carezzevoli e la poltrona, pur non emettendo niente, era comoda.
Era quindi mio preciso dovere di cittadino e di utente ad-dormentarmi con un dolce sorriso sulle labbra e con la sigaretta accesa tra il medio e l’indice della mano sinistra, predisponendo le cose in modo tale che, venuta a contatto del mio calzone sinistro, la brace potesse lentamente ma decisamente praticare, nel suddetto indumento, un buco di rispettabile diametro.
Trascorso il tempo necessario perché la brace arrivasse a contatto diretto con la mia epidermide, mi sono svegliato di soprassalto. La radio emetteva non più suoni ma rumori strani.
E non c’era da stupirsene perché, attorno alle manopole dell’apparecchio, stavano armeggiando due strani tipi in camicione candido e ali azzurre. Li ho riconosciuti immediatamente anche se vedevo solo le loro spalle: uno era Giacinto, il mio Angelo Custode e l’altro era Camillo, l’Angelo Custode di Margherita.
Che cosa stavano combinando, attorno al mio vecchio «5 valvole », i due Angeli Custodi?
E semplice: stavano tentando di trovare Radio Londra.
Mi sono seccato moltissimo: ho lanciato un urlo e i due Angeli Custodi si sono voltati di scatto.
«Volete compromettermi? » ho detto severamente.
Camillo ha abbassato il capo confuso, invece Giacinto ha cominciato a borbottare di malumore.
«Va a finire che io mi troverò un altro Angelo Custode » ho esclamato e Giacinto ha sogghignato. L’impertinente ne approfitta perché oggi è difficile trovare Angeli Custodi disoccupati. Ma io sono risoluto a tutto e glielo ho comunicato:
«C’è poco da brontolare, giovanotto: io posso anche fare benissimo a meno di Angelo Custode. Per quello che mi ha servito la tua sorveglianza! ».
Giacinto ha alzato le spalle: nello stesso tempo ha sorriso con ironia e questo mi ha seccato.
«Io mi sono sempre arrangiato da solo! » ho gridato mettendomi le mani sui fianchi.
«Quando avevate due anni, se non ci fossi stato io sareste cascato nel tombino dell’orto » ha risposto Giacinto, con impertinenza. «Non ho mai visto un bambino di due anni meno ragionevole. »
Gli ho fatto notare con risentimento che è facile darsi delle arie con un bambino di due anni.
«E sta bene » ha detto Giacinto. «Sentite un po’, allora: quanti anni avevate nel 1937? Erano trentaquattro o sbaglio? »
Ho ammesso che nel 1937 avevo trentaquattro anni.
«E allora il 5 agosto 1937 alle ore cinque e trenta del mattino chi vi ha svegliato quando voi, pilotando da cane la vostra macchina automobile, vi eravate assopito e stavate per fare un tuffo nel Naviglio pavese? »
«E chi ha permesso che mi addormentassi? » ho replicato. «Chi, invece di sorvegliarmi mentre pilotavo, stanco dopo una notte di lavoro… »
«Dopo una notte di balli all’aperto e di alcoolici! » ha interrotto Giacinto.
«Chi invece di sorvegliarmi mentre pilotavo, si è addormentato pacificamente, sdraiato come un facchino, sul sedile posteriore della macchina? Io non ho uno specchio retrovisore e due occhi per niente, caro giovanotto ! Vi ho visto, signor Giacinto ! »
«Io conosco il regolamento! L’Angelo Custode non deve prevenire, deve semplicemente intervenire in extremis. Articolo tre, comma secondo. »
«Ah ! E perché non sei intervenuto in extremis quando stavo per sposarmi e mi hai invece lasciato coniugare? » ho gridato io.
Camillo, l’Angelo Custode di Margherita, ha rotto allora il suo riserbo e ha fatto una dichiarazione categorica:
«La mia amministrata non rappresenta affatto un pericolo, egregio signore. Caso mai dovrebbe essere lei a rinfacciarmi di non averla salvata in extremis da voi ».
Stavo per rispondergli che la sua amministrata io la conoscevo meglio di lui quando improvvisamente, nella stanza da letto, si è udito un tonfo e un grido.
«Il bambino! » ho esclamato io.
«No » ha spiegato Giacinto che in un baleno era andato e tornato. «E, come la chiamate voi, “la dolce signora del vostro quarto piano”, che è caduta giù dal letto. »
Camillo si è allontanato borbottando che non la si poteva mai lasciar sola un momentino, quella là, o ne combinava delle belle.
Ora precisiamo. Quando io ho rimproverato a Giacinto di non avermi salvato da Margherita, ho detto una grande sciocchezza. Margherita, la dolce creatura che il Cielo ha sparso a piene mani sul mio cammino, non ha mai costituito un pericolo per me.
E chiaro, quindi, che io, pur di poter lanciare un’accusa a Giacinto, ho mentito sfacciatamente.
Questo però non giustifica la reazione di Camillo. Camillo, addirittura, è arrivato ad affermare che io costituisco un pericolo per Margherita.
E mancanza di rispetto, è impertinenza.
Non basta: Camillo, fino a poco tempo fa Angelo Custode coscienzioso, puntuale, preciso tanto da arrivare a minacciare Giacinto di sanzioni corporali qualora Giacinto stesso avesse persistito nel suo contegno scorretto verso di me, Camillo, ora, non soltanto non esitava a lasciare sguarnita Margherita, ma si esprimeva poco riguardosamente nei riguardi di Margherita.
Giacinto è riuscito a rovinarmi anche Camillo. Poi verrà la volta di Roberto.
E questo sarebbe semplicemente enorme. Posso ammettere che Giacinto non si curi di me, posso ammettere che Camillo non si curi di Margherita: ma non potrei mai ammettere che Roberto non si curasse del mio mascalzoncello.
Occorre quindi intervenire energicamente.
Per dieci anni e sette mesi ho sopportato: ora la misura è colma.
Ho messo perciò una inserzione sul giornale:
PROFESSIONISTA 34enne, bella presenza, moralità, famiglia, unico figlio, radio, termobagno, cerca Angelo Custode serio, lavora- mante, affettuoso. Inanonimi, dettagliare servizi precedenti.
Dopo ventiquattro ore ho già ricevuto due offerte: la pri ¬ma di un certo Gerolamo che ha lavorato dal 1835 al 1910 con Mark Twain, e sono trent’anni che è disoccupato. La seconda di un certo Giuseppino che ha sempre lavorato con impiegati e artigiani.
Se non me ne arrivano altre assumerò Giuseppino: appartie ¬ne alla mia categoria.
Di tutto questo, però, Margherita non deve sapere niente.
Margherita deve semplicemente sapere le cose che la fanno sorridere mentre i suoi grandi occhi neri dicono:
“Giovannino, Giovannino!…”.
Letto 1000 volte.