LETTERATURA: I MAESTRI: Il Cantarini sospettato20 Novembre 2018 di Mario Tobino Tutta mia infamia, non con trollare le cose, non sorridere sulle vicende umane. Se ne stava nello scaffale della mia stanza, al manico mio di M. Una pila lo caricava per un intero anno; anche se stavo fuori dieci giorni, un me se, lo ritrovavo in funzione. Era un orologio moderno, al l’altezza dei nostri tempi in ternazionali. Quella mattina â— nella qua le successe la sequela di stupidaggini, il rotolio di viltà â— mi alzai alla solita ora, passai nello studiolo e mi venne fatto di gettare lo sguardo per lo scaffale. Fissai con più at tenzione, premetti con il pal mo della mano sullo spazio vuoto. No. L’orologio non c’era più. Mi sfuggì â— fu il primo er rore â— di chiamare subito la Maria, l’infermiera del repar to medici. « Aveva per caso visto…? Se per caso le fosse caduto, si fosse spezzato, niente male, come non fatto ». La Maria si mise a piange re avendo capito che c’era sta to un furto, che era sparito l’orologio. * In realtà l’orologio non c’era più. Riguardai per ogni angolo. Dopo trent’anni di vi ta manicomiale un ladro era entrato in camera mia, forse uno che incontravo ogni giorno, ogni ora. Feci il secondo errore, quel lo grave. Fui favorito dall’occasione ma è una piccola scusa. Al nostro ospedale ogni mat tina arrivano i carabinieri. Questioni di indagini, voglio no sapere se chi aspira a en trare in certi Istituti, in certe pubbliche Istituzioni, ha avu to degli ascendenti alienati, dei padri, dei nonni pazzi. Mentre mi avviavo alla so lita visita medica incontrai sotto il portico l’appuntato dei carabinieri Moradei, che co nosco da anni, onesto, seve ro, solerte, dedito all’Ordine, un uomo per certi lati straor dinario. Mi sfuggì di confidarmi, mi sfogai: « Trent’anni che sono qui. Mai era accaduto ». Nar rai la mattutina scoperta. Dirò subito quello che in verità era successo, come fu che scomparve l’orologio, co me era accaduto che nello scaf fale l’orologio non c’era più. La verità è questa. La sera precedente ero tor nato da fuori. Il tramonto mi aveva sorpreso per la campagna. Mentre salivo il viale che porta alla mia stanza, un fila re di alberi davanti a me mi separava dall’orizzonte. Tra le foglie, tra i rami, era fissa una luce celeste, uno sguardo lim pido e misterioso, sembrava dovesse durare eterno. Non so perché â— forse per ché la mattina avevo indugia to sul « Bullettino della socie tà dantesca » e certe immagini mi ritornavano â—, mi si pre sentò Dante in esilio, che ar rivava a Verona, alla Corte degli Scaligeri, mi pareva aver lo davanti, intriso di alterezza e pietà. Appena in camera mi misi allo scrittoio, presi in fretta una penna, seguivo l’Alighieri, credevo di accompagnarmi a lui. Forse in quel momento i miei sensi erano esasperati, compreso l’udito, e mi dette noia il tic-tac del tondo orologio che mi era proprio da vanti, in un ripiano dello scaffale. Automaticamente, con me moria cieca, stesi il braccio, tra una riga e l’altra stesi il braccio, afferrai l’orologio, lo abbrancai e lo misi tra le ri viste, lo introdussi sotto i nu- meri del Bullettino dantesco. Insomma avevo nascosto l’orologio, ero io il ladro. * L’appuntato dei carabinie ri fece il suo dovere, entrò nel mestiere, si investì della sua missione. Per dimostrare come gli era cara la mia ami cizia fu più solerte del solito, acutizzò l’inquisizione. Mi domandò in quali ore la stanza era rimasta vuota, chi aveva la seconda chiave, chi poteva liberamente aggi rarsi nel reparto medici, stabilì che era facilissimo aprire la porta, una serratura da niente. Ahimè! Quando il piede comincia a scivolare sul pri mo gradino degli sbagli, è un precipizio. Stavo per toccare l’infamia. Chi legge sa già che io stesso, per scrivere con più abbandono, per immedesimar mi nella vita di Dante, avevo allontanato dal mio orecchio il battito, il tic-tac, avevo na scosto, avevo rubato l’oro logio. In questo momento però che rispondevo all’appuntato dei carabinieri ero ancora cieco, parlavo del furto come dav vero ci fosse stato. Nel nostro ospedale ci sono molte novità, generose speran ze, tentativi di considerare la pazzia una delle tante comuni malattie, non trattare i mala ti come detenuti, si vogliono anzi « responsabilizzare » i ri coverati, dar loro il senso di essere utili, capaci di intellet to e morale. Ecco un pratico esempio: quando un portiere all’im provviso si ammala o per un qualche incidente deve chiedere permesso, allontanarsi, e deve essere sostituito, allora c’è un malato, un ricoverato, che prende il suo posto, fa il portiere, e in verità a perfe zione, con grazia, mai che de nunci una stanchezza. Questo ricoverato si chiama Cantarini. Fu ammesso all’o spedale tanti anni fa, era un insofferente, negava le regole sociali, non le sopportava. Ed ebbe la sventura di incontrar si con una donna che era l’in contrario di lui, ligia a ogni abitudine, prona al conformi smo. Questa donna lo provocò fi no a che il Cantarini fu rico verato in manicomio. Era il tempo delle camicie di forza, dei secondini, il Can tarini di più si esasperò. E pensare che oggi, con la libe ralità, con le porte aperte, proprio lui è un tenorino di grazia, fa il portiere come non ce n’è. L’appuntato dei carabinie ri mi fece una precisa do manda: «Chi può facilmente salire le scale e bussare alla sua stanza? ». « Il portiere, naturalmente ». « Chi era ieri il portiere? ». Accidenti! Era il Cantarini. Ci fu di peggio. Mentre l’appuntato mi interrogava, so praggiunse con una certa fo ga l’infermiera del reparto me dici, la Maria, quella che si era messa a piangere, ancora piena di rabbia e di dolore: « Lo voglio dire, io sospet to quel malato, il Cantarini, è un uomo falso e furbissimo. Perché l’hanno incaricato di portiere? ». L’appuntato dei carabinie ri, armato di questo sospetto, scese giù, al reparto del Cantarini, e lo sottopose a un duro interrogatorio. * Ero in colpa, avevo lascia to troppo correre le parole, l’ira mi aveva offuscato, ero of feso dal furto, divenuto pessi mista, era giusta tutta questa liberalità? La follia un invin cibile drago. Arrivò mezzogiorno. Ingol lai alla mensa un asciutto boc cone e: « Adesso mi metto a letto. Ci dormo su; sia finita. Ciò che è stato è stato ». Mi sdraiai, chiusi la luce. Subito mi si presentò davanti la faccia del Cantarini, del ri coverato, del sostituto-portie- re. L’avevo incontrato prima di mezzogiorno, dopo che era stato « duramente » interroga to dal carabiniere: parlava col cappuccino. Mi aveva alzato uno sguardo interrogativo, de luso. « Proprio lei â— sembra va dicesse â— Chi se lo sareb be aspettato? ». Mi ero messo a letto e mi rovesciavo come un rettile in gabbia. Sempre sono stato di sposto all’ira; mi alzai, accesi la luce. Così, in mutande, ur lai, andai nel prossimo studio lo, davanti allo scaffale. Mi trovai a pronunciare: « Perché, perché? perché è successo questo? ». Nell’ira alzai la mano e la battei davanti a me, su un ri piano dello scaffale dove era no ammonticchiati i bollettini di Dante. I fascicoli si squilibrarono. L’orologio che era sotto fece bilancia. Dei fascicoli scivo larono. L’orologio apparve, schifo so, ancora d’oro, ma più pic colo, rattrappito, con gli stu pidi fusi orari, ignobile og getto. Suonai il campanello per la infermiera. La Maria accorse. Gridai che l’avevo trovato, che era colpa mia; mi ero ricor dato il cieco movimento della sera prima. « Che felicità! Che felicità! Rimaneva un’ombra su tutti » disse la Maria. « E sono stato io a nascon derlo ». Nello stesso tempo davanti a me c’erano gli occhi del Cantarini. Avrei potuto sostenere il suo sguardo? Dopo due o tre giorni mi feci coraggio. Intanto avevo pregato il cappuccino di smolcirlo, spiegargli che l’affare del carabiniere era stata una semplice inchiesta, come di frequente succede ai veri por tieri. Dopo due o tre giorni io stesso l’affrontai. Lo presi da parte e chiaramente gli de scrissi come erano andate le cose. Mia colpa, cieco atto quello di nascondere l’orolo gio. Sorvolai il sospetto lan ciato su di lui al carabiniere. Mi ascoltò con quel suo va go sorriso. Non fu del tutto persuaso, pure amabilmente rispose: « Non se la prenda, dottore. Tutti si può sbagliare ».
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