LETTERATURA: I MAESTRI: Il capitano Contreras29 Gennaio 2013 di Leonardo Sciascia « Sono nato nella nobilissi ma città di Madrid il 6 gen naio 1582… I miei genitori si chiamavano Gabriele Guillén e Giovanna Roa y Contreras; quando andai al servizio del Re avrei voluto assumere il cognome di mio padre, ma poi ché nelle mie carte figurava il nome di Contreras, che ho portato fino ad oggi e col qua le sono conosciuto da tutti, non fu possibile correggere l’errore che era stato commes so. Così, nonostante sia stato battezzato come Alonzo de Guillén, mi chiamo Alonzo Contreras ». Al nome che sa rà del più puro e sottile poeta spagnuolo del nostro secolo, le « carte » avevano dunque sostituito un nome corrusco e guerriero. Avevano deciso, di rebbe Savinio. Avevano se gnato un destino. Alonzo Contreras, dunque; e poi (non ci voleva molto) de Contreras. Ma del suo no me lampeggiante e dell’av venturosa sua vita non avrem mo saputo nulla, se intorno ai cinquant’anni l’uomo di spa da non avesse impugnato la penna per lasciarne memoria: questa Vida del capitan Alon zo de Contreras che, scoper ta da un erudito spagnuolo al principio di questo secolo e pubblicata in una rivista ac cademica, ebbe la ventura di essere riscoperta da Ortega y Gasset (sulla cui edizione con dusse la traduzione in italia no Ettore De Zuani: Avven ture del capitano Alonzo de Contreras, recentemente ri stampata in edizione econo mica da Longanesi). Il libro s’appartiene da un lato alla letteratura picaresca spagnuola; e dall’altro, anche se in tono minore, a quella linea segnata dalla Vita del Cellini, dalle Memorie del Ca- sanova, dai romanzi e dai testi autobiografici di Stendhal. E’ insomma uno di quei libri che, pur nella sfera di una simpatia irresistibile, suscita dapprima nel lettore una spe cie di antagonismo, quasi il sentirsi destinatario di una sfi da a distanza: la sfida a rag giungere la verità del docu mento (l’altra verità del do cumento, dopo Pirandello) al di là della mistificazione di cui lo scrittore sembra avver tirlo. E così al piacere della lettura si accompagna, ad accrescerlo, una velleità di indagine, un puntiglio, per così dire, archivistico: che nei più si spegne a lettura finita, e restando soltanto un’ombra di insoddisfazione (e in questo caso il fenomeno ha analogia con quello che si verifica nel la lettura dei romanzi polizieschi); mentre a un livello più alto e meno numeroso di let tori, la sollecitazione non fini sce con la prima lettura, si fa passione e in certi casi ma nia, e specialmente quando ad un certo punto inevitabilmen te si converte da antagonismo in complicità (e aquesto pun to il lettore-detective arriva quando i riscontri documentari lo convincono che la mistificazione dello scrittore sol tanto consisteva nel fargli in travedere una mistificazione; e vinta dunque la sfida, o al meno pareggiata, niente più lo trattiene dal cedere alla simpatia: ed è proprio il mo mento in cui diventa vittima, ma felicemente, della mistifi cazione). * Ecco dunque il capitano Alonzo de Contreras, parente un po’ picaro di Benvenuto Cellini, di Giacomo Casano va, di Henry Beyle. E’ un uo mo di natali poveri ma non ignobili, dice. E c’è da cre dergli, se a quei tempi i suoi genitori ebbero cura di man darlo a scuola. E sapeva già leggere e scrivere quando am mazza a colpi di coltello, co me per giuoco, un compagno di scuola. Condannato a un anno di confino, se ne va ad Avila in casa di uno zio. Pas sato l’anno, torna a Madrid. Parte della sua vita avven turosa e tempestosa il Contreras la passò scorrendo i mari, e il Mediterraneo prevalentemente: con lunghi soggiorni a Malta, a Palermo e in altre città portuali. Ed è appunto il suo soggiorno a Palermo che ci muove al puntiglio del riscontro, in particolare riguar do a due fatti che nelle sue memorie hanno rilievo. Il primo è un avvenimento storico: la spedizione che possiamo dire punitiva della squadra navale spagnuola e maltese con tro una città della costa ber bera. Secondo Contreras, la squadra approdò alla spiaggia africana, sotto le mura di una città chiamata Maometta, « la vigilia della Madonna di ago sto del 1605, all’alba »: secondo i cronisti siciliani l’anno è il 1606, e il giorno è proprio quello della Madonna di mezzagosto. Per quanto riguarda lo svol gimento dei fatti, non c’è di scordanza tra il racconto di Contreras e le annotazioni dei cronisti. Più drammatico e ricco di dettagli il capitano; il quale, da vero figlio della fortuna, per un caso non pe rì, come tanti altri, nella scia gurata spedizione: aveva ad dosso un’armatura a maglie d’acciaio che gli aveva pre stato il nostromo della sua ga lera, e perciò costui si adoprò a salvarlo. Ma nessuno tentò di salvarel’adelantado di Castiglia, che comandava la spedizione, e il gran mae stro di campo Andrea de Sil va. Particolare curioso: come il Contreras per l’armatura fu salvato, l’adelantado per l’armatura perì. La sera del 18 agosto, le galere entravano nel porto di Palermo con i fanali coperti in segno di lutto. « Soprag giunta la notte », dice il Con treras, « vennero a prendere il corpodell’adelantado e lo portarono in una chiesa di cui non ricordo il nome, con molte torce, e là lo lascia rono in attesa di trasportar lo in Spagna »; e il cronista siciliano: « sbarcaro il cor po dell’adelantado loro gene rale e lo posero nella chie sa di S. Maria della Catena. E l’istesso giorno andò a sep pellirsi alla Casa Professa del collegio, con pomposa com pagnia di cavalieri e titolati ». L’unico punto di discordan za: e c’è da domandarsi co me mai il Contreras abbia di menticato il solenne funerale dell’indomani, e che il co mandante fu sepolto in una chiesa palermitana. * Il secondo avvenimento, nel soggiorno a Palermo del capitano, è del tutto perso nale ma non privo di impli cazioni pubbliche: stava, con la sua compagnia ricostitui ta, acquartierato a Monreale; e ogni giorno scendeva a Pa lermo montando « una caval lina grassa e robusta » che un fornaio gli prestava. « In quel tempo io ero proprio un bel giovanotto, che facevo in vidia a tutti. Nella strada per dove passavo venendo da Monreale abitava una signora spagnuola, oriunda di Madrid, vedova di un uditore. Era bella e non povera, e tutte le volte che passavo la vede vo alla finestra; io la saluta vo e mi parve che ella ri spondesse. Seppi chi era e le mandai un’ambasciata… ». La bella vedova non avea prete se: « si sarebbe accontentata di una sedia, di due servi e di due serve ». Il capitano, senza perder tempo, se la sposa: ma in segreto, poiché il viceré du ca di Feria aveva gettato l’oc chio sulla vedova per darla in moglie al duca d’Arcos. Nientedimeno. Ma qui insor ge qualche dubbio sulla ve ridicità del racconto: tenen do presente che la disgraziata spedizione avvenne a me tà agosto, calcolando il tem po che ci sarà voluto a rico stituire la compagnia e quel lo che sarà trascorso in sguar di, ambasciate e visite alla bella vedova, fino alla deci sione di sposarsi, arriviamo certamente a una data che va ben oltre l’8 settembre di quell’anno, giorno in cui il duca di Feria lascia definiti vamente Palermo. Comunque, dopo appena un anno e mez zo di matrimonio, il capita no acquista certezza che la moglie lo tradisce; si mette alle poste e « una mattina la loro mala fortuna volle che li sorprendessi assieme; e mo rirono. Che Dio li abbia in gloria se in quell’estremo istante si pentirono » Stranamente, e sì che era no attenti a quello che gli spagnuoli facevano in città, i cronisti palermitani non re gistrano l’avvenimento. Un così bel delitto d’onore non poteva poi sfuggire, se vera mente si fosse verificato. O il capitano si sbaglia d’anno; o il suo delitto d’onore non c’è stato. D’altra parte, sa rebbe curioso che uno spa gnuolo di allora si qualificas se marito tradito soltanto per raccontare la spacconata dei due omicidi e dell’impunità. Perché dopo l’omicidio, e non per fuggire, il capitano se ne andò in Spagna: ad illustra re certe sue pretensioni a Corte. Tornato a Palermo qualche anno dopo, sente dire che il viceré d’Ossuna vuol farlo arrestare. « Senza curarmi di sapere se ciò era vero, e non lo era, mi imbarcai alla vol ta di Malta… Correva l’anno 1611 ». Altre avventure lo at tendono, e poi il fortunato incontro della sua vita: quello con Lopede Vega, alle cui sollecitazioni forse dob biamo queste vivissime me morie. Per parte sua, Lope fece del capitano il protago nista della commedia Il re senza regno, e gliela dedicò. « Con uomini come vostra grazia », gli disse Lope offrendogli la sua casa, « si deve dividere a metà anche il mantello ». Erano della stessa razza. Letto 2094 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||