Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Il Carovana

13 Settembre 2018

di Roberto Ridolfi
[dal “Corriere della Sera”, sabato 4 aprile 1970]

Mi dispiacerebbe che i let ­tori si spaventassero inutil ­mente perché a questo, per ora, non ci siamo arrivati: nel titolo non c’è mica una sgrammaticatura, anche se ar ­ticolo e nome fanno l’effetto di andare d’accordo tra loro come due occhi strabici. Ca ­rovana qui non ha nulla da fare col nome collettivo di genere femminile che, secon ­do gli etimologisti, viene dal persiano karwan e, a sentir nonna Crusca, significa « com ­pagnia di mercanti, viaggia ­tori o pellegrini che attraver ­sano insieme i deserti »: qui è semplicemente un cognome.

Nelle campagne toscane c’è l’abitudine di rimodellare i cognomi sui nomi comuni ogni volta che se ne trovi qualcuno che ci si possa adat ­tare: Tempesti, Pertici diven ­tano inevitabilmente Tempe ­sta, Pertica. Così, il nostro Carovani diventò il Carovana.

Anche senza l’imbeccata dei venerandi Accademici, il suo nome evocava i deserti. Nei deserti non c’era mai sta ­to; eppure nessuno ci si sa ­rebbe trovato meglio di lui. Dromedari e cammelli hanno fama di potere andare avanti molti giorni senz’acqua, il Ca ­rovana non ne aveva mai be ­vuto una goccia in tutta la vita: dire che la detestasse, l’odiasse, gli facesse un invincibil ribrezzo, sarebbe dir poco: bastava soltanto nominar ­gliela per vederlo sbiancare, lui tutto rosso come un bel peperone maturo.

Rossa aveva la pelle del vi ­so, rossi i capelli, i sopracci ­gli, i baffi spioventi; rosso perfino il bianco degli occhi; ma tutto quel rosso sbiadiva a paragone del fiammeggiar vermiglio del naso. Di politi ­ca non s’impacciava, alla com ­pagnia delle teste calde pre ­ferendo la compagnia del fia ­sco nel canto del fuoco; ma ai socialisti dava il voto per una simpatia cromatica: lo af ­fascinava il color sanguigno delle loro bandiere.

In lui (cosa incredibile e vera) perfino il fanatico amor per il vino, tanto grande quanto l’odio per l’acqua, risenti ­va di quella fisiologica attra ­zione per il rosso: infatti, il vin bianco a malapena lo sop ­portava; se gliene mescevano un bicchiere, prima di deci ­dersi a buttarlo giù, se lo ri ­girava tra le mani, l’annusa ­va, arricciava il naso, lo guar ­dava controluce facendogli una boccaccia.

*

Capoccia di una famiglia di mezzaioli nella piana di Brozzi, chissà quanto doveva averci patito: bastava che ve ­nissero giù due gocce perché diventasse un acquitrino; tra pozzi, fossi, canneti, gli ci pareva di marcire un poco ogni giorno. Acqua, acqua. E il vino di quelle bassure somigliava a un acquerello.

Si dette il caso che alla Baronta si liberasse un poderino, sopra un poggio così sas ­soso e siccitoso che anche al tempo del Diluvio universale le piante dovevano morirci di sete. Appena lo seppe, il no ­stro uomo non stette a pen ­sarci: corse come se quei sas ­si fossero oro zecchino.

S’era ai primi di giugno, quando venne a visitare il po ­dere, e già i fieni erano sec ­chi; il grano, appena comin ­ciato a granire, aveva bell’e avuto la stretta; le piante av ­vizzivano nell’alidore. Lui guardava beato quel secca ­toio, ascoltava estatico le la ­mentele del contadino uscen ­te; quello aveva un bel dir ­gli che l’acqua bisognava prenderla col barroccio più lontano di un miglio, che d’e ­state, anche se tutto intorno faceva burrasca, lì, per un giro di venti, non cadeva una goccia; macché: più quello rincarava la dose, più il Ca ­rovana godeva e il suo viso si faceva raggiante. Volle as ­saggiare il vino stillato da quelle petraie e sentenziò, leccandosi i baffi: â— Piutto ­sto che campare cent’anni con le ranocchie nel pantano do ­ve sono, vo’ morir qui con le cicale in un’estatata.

*

Ci visse invece a lungo. Il podere produceva pochissimo grano, ma a lui di pane gliene bastava un poco per inzup ­parlo nel vino. Neppure il vi ­no era molto, ma ricompra ­va anche la parte del padro ­ne, ne raccapezzava qua e là vendendo altri prodotti della terra e perfino gli uccelli del ­l’aria. Già, perché in quei piani aveva imparato a pigliare i tordi coi lacci e uccelletti d’ogni sorta con ogni birbo ­neria.

La solennità maggiore del ­l’anno, per lui, era la svina ­tura. La festeggiava metten ­do un barile di vino nuovo in mezzo alla tavola apparecchiata, e da quello beatamente attingeva. Nessuno sapeva lavorare meglio di lui le vinacce per cavarne acquerelli e mezzoni, ma poi in corpo suo non entravano: parte li dava via barattandoli con qualche fiasco di vino vergi ­ne, parte li adoperava per lavarsi; avendo a schifo l’ac ­qua anche per quelle basse bisogne: con l’acqua, invece di pulirsi, gli sarebbe sembra ­to d’insudiciarsi. Insomma, il vino che riusciva a mettere insieme con vari commerci ed industrie era molto; quanto al resto, si contentava di poco. Nel man ­giare era tanto moderato quant’era smoderato nel bere; ne avrebbe fatto anche a me ­no: mangiava soltanto per aiutarsi a bere di più. Prefe ­riva i cibi forti e salati, carnesecca, salami, salsicce con un buon rinforzo di zenzero. Evitava il baccalà secco, le aringhe, le acciughe; perché tutto ciò che era nato e cre ­sciuto nell’acqua (diceva) gli era di difficilissima digestione.

Iracondo, violento, rissoso, bastava offrirgli un po’ di quel rosso, o soltanto ragionarglie ­ne, per renderlo a un tratto pastoso e soave; per contra ­rio, anche nello stato di per ­fetta beatitudine che raggiungeva dopo aver veduto il fon ­do di un fiasco, la vista o il solo nome dell’acqua suscita ­va in lui collere improvvise e terribili. Una volta che vi ­de un deputato socialista ber ­ne un bicchiere durante un comizio, non volle intendere ragioni: votò per il Partito Popolare.

Le avventure più memorabili le viveva quando andava a comprar del bestiame. Vagliava prima con minuziosa pedanteria le occasioni propo ­ste dai sensali, scegliendo (condizione importante) luo ­ghi lontani, paesi di poggio nominati per il vin buono. Partito in calesse col sensale e col sottofattore, a ogni oste ­ria e a ogni botteguccia dove si poteva sperare che ne mescessero, non c’erano santi: s’impadroniva a forza delle redini, fermava il cavallo e, con le buone o con le cattive, con le preghiere o con le be ­stemmie, faceva scendere i compagni di viaggio, costrin ­gendoli a berne un bicchiere con lui. Per questo appunto preferiva comprar le bestie alla lontana: poca strada da fare voleva dire poche be ­vute.

*

Come la vita umana appa ­re sottoposta alle occulte for ­ze del Bene e del Male, così quella del Carovana alle op ­poste influenze del Vino e del ­l’Acqua. Un giorno era anda ­to con un carretto a mano per prendere due dozzine di fia ­schi di quel buono che aveva comprato in una fattoria: in ­carichi del genere non si sa ­rebbe fidato di darli a un fi ­gliolo. Con quei ventiquattro fiaschi, e uno in corpo, tor ­nava spingendo il carretto col tenero amor di una mamma che porta il pargolo nel car ­rozzino, quando, a mezza strada, lo colse un maledetto acquazzone. Pioveva a cielo rotto e non c’era luogo da ripararsi. I fiaschi erano tappa ­ti soltanto con leggeri cappucci di carta; il nostro eroe, temendo che quell’acquaccia finisse coll’annacquare il suo vino, si levò la giacca per ripararlo, si levò altro che aveva addosso, perfino i calzoni. Era di febbraio: arrivò a casa in mutande, battendo i denti sotto la pioggia bat ­tente.

Si mise a letto con una pol ­monite doppia. Nel delirio chiedeva di quei fiaschi per i quali s’era immolato. Si lasciò fare certe iniezioni perché aveva prima visto e conside ­rato favorevolmente le fiale, contenenti un liquido di un bel rosso rubino che pareva vin del Chianti. Migliorò; for ­se se la sarebbe cavata, se un brutto giorno il medico non avesse voluto fargli prendere per forza qualche goccia di non so che, addirittura in due dita d’acqua. Il Carovana s’in ­furiò, ruppe un bicchiere, ne rovesciò un altro, si difese con tutte le sue forze; ma le sue forze erano poche, non tan ­to per il male quanto per la lunga astinenza: dacché s’era messo a letto, il vino glielo davano col contagocce. Men ­tre un figliolo (tu quoque…) lo teneva fermo, il dottor ma ­ramaldo gli chiuse il naso con due dita e riuscì così a fargli trangugiare i primi e gli ulti ­mi sorsi d’acqua della sua vi ­ta. Rantolò: â— M’avete am ­mazzato â—. Infatti il giorno dopo era morto.

Da una settimana non fa ­ceva che piovere. Sotto quel diluvio, perfino i sitibondi ga ­lestri della Baronta erano di ­venuti un padule. In mezzo ai campi allagati, il cimiteri- no della parrocchia pareva una tesa per le folaghe. An ­dare a guazzo lì dentro: chi glielo avrebbe detto, povero Carovana!

Erano suonate da poco le ventitré, e pareva già notte. Ma quando, scese le scale, la cassa fu posata sotto la log ­gia, smise a un tratto di pio ­vere; poi, mentre il funerale s’avviava con le fiaccole ac ­cese giù per la china, tra il nuvolame nero e le lontane vette dei poggi s’aprì una fes ­sura, proprio a tempo perché ci si potesse infilare l’ultimo raggio del sole che tramon ­tava.

All’uscir di chiesa, il cielo era tutto rosso, come se l’ac ­qua delle nuvole si fosse con ­vertita in vino. Bista del Per ­tica guardò in aria e disse: « O che è bell’e arrivato las ­sù? ».

 

 


Letto 769 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart