LETTERATURA: I MAESTRI: Il celibato dei preti
14 Settembre 2008
di Antonio Barolini
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 9 marzo 1970]
Oggi che l’assenza di vocazioni crea seri problemi alla Chiesa e da parte di qualcuno viene invocata l’abolizione del celibato, mi è parso interessante riproporre questo vecchio articolo di Antonio Barolini. (bdm)
I sacerdoti cattolici di rito latino che aspirano all’abolizione della norma del celibato ecclesiastico partono, sovente, da un presupposto nobile e ingenuo. Ritengono che il matrimonio risolva radicalmente o quasi il loro problema sessuale personale e conceda anche al sacerdote, con la quiete dei sensi, la consolazione e l’assistenza della cara compagna che Dio ha dato ad Adamo nella solitudine del paradiso terrestre. Questi preti, inoltre, pensano, giustamente, che, secondo la legge cristiana, anche il matrimonio è un servizio sacro, e perciò affida a chi lo contrae, un compito sacerdotale. Nessuno di essi si rende conto che siffatta visione è idilliaca e illusoria; è ante cedente – per rimanere fedeli alla stessa lettera del dettato del Genesi – all’evento del peccato originale, negando il quale (sia ben chiaro) non regge più nessun senso reli gioso dell’esistere, cristianamente inteso.
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Ricordo, fin dall’infanzia, di aver sempre visto presso il letto nuziale di due miei esem plari parenti, il motto biblico: «Nella santità e nella giustizia tutti i nostri giorni ». Perso nalmente, ho potuto constatare come quelle due vite abbiano espresso, giorno per giorno, per lunghi anni, il difficile imperativo di questa loro divisa nuziale, per poi giungere serenamente alla vecchiaia e accettare la separazione loro imposta dalla morte.
Tutto ciò è bello e però, sia chiaro, riflette modi di vita che non sono mai stati facili, come qualcuno sembra voler cre dere, in nessuna epoca. Oggi poi, non riflette nemmeno una norma, ma un’ardua condizione di privilegio, una benedizione particolare.
Ormai, sappiamo bene che, specie nel mondo contemporaneo, il matrimonio risolve molto parzialmente, le inquietudini sessuali dei giovani. Né crea più, per conseguenza, quel reciproco stato di dedi zione e armonia che un tempo era frequente, se non comune alla disciplina della condizione matrimoniale e che, per giun ta, era norma costante del costume e della corrente morale sociale. Perciò, oggi, anziché al confessore, si ricorre allo psicanalista.
Così, altra illusione costante del nostro tempo è quella di credere (o di tentar di far credere) che siano cristiani (anziché affettivamente egoistici anticristiani in modo assoluto) i sentimenti coercitivi e tirannici che, spesso, regolano i rapporti di vita di molti coniugi tra di loro o dei coniugi verso i figli o dei figli verso i genitori. Sono rari coloro che capiscono come, tra esseri adulti e responsabili, dove interviene la coercizione, il rapporto d’amore cessa, per apparire automaticamente sostituito da un rapporto di possesso e di ricatto: ti amo perché tu mi ami. E perciò, tanto sovente, l’amore diventa risentimento e odio.
Si è mai pensato che le famiglie, così istituzionalizzate, sono una pantomima di cristianesimo, cioè del culto della libertà umana nella scelta del bene, che dev’essere l’apostolato primo di ogni cristiano, sia egli sacerdote, o coniuge, o padre, o madre, o figlio, o fratello, o sorella?
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Gesù, quando raccomanda a noi, suoi seguaci, di abban donare tutto, anche il padre, la madre, il coniuge, i figli, ecc… non ci distoglie affatto dai quotidiani nostri doveri verso i nostri immediati parenti o vicini; ma richiede invece precisamente che illumi niamo di aperto amore ogni nostro chiuso tipo di affetto, la nostra responsabilità, il nostro rispetto per le personalità con cui operiamo e cooperiamo; richiede, insomma, che ci liberiamo dall’affetto deteriore e interessato nel nostro umano darci agli altri; per sostituirlo con un puro effuso e operante rapporto di autentica « charitas ».
Solo così una famiglia o una comunità possono essere cri stiane: non ci sono dilemmi, non alternative; l’unica pro spettiva cristiana possibile è eroica ed è questa: non ingan niamoci con le illusioni.
Ciò detto, è nella prospetti va di questa rigorosa moralità e responsabilità che dovrebbe ro andar visti e risolti, accet tati o respinti, anche i pro blemi della vocazione celibataria del prete e dell’istanza del divorzio nella vita civile. Certamente, entrambi sono aspetti e richieste di uno stato e di un urgere nuovo di cose, emerso nei rapporti dell’istituto ecclesiale (famiglia co munitaria) e dell’istituto fami liare.
Anche qui, però, nel discor rerne, a mio parere, si insiste in un equivoco contro il quale combatto da tempo e che con siste nello stolto tentativo di molti di voler adattare la vita mistica alla realtà della pratica quotidiana e di tutti; e, per converso, la pratica della vita mistica, che è degli eletti, a tutti.
La verità è (questo la Chiesa istituzionale non sempre ca pisce) che la scelta di vita cristiana è di pochi; che male si adatta alla società civile; che, dunque, per le vesti della società civile, le soluzioni non possono non essere diverse da quelle della società religiosa. La vita cristiana, ancora, ri flette anzitutto e sempre una esperienza personale, non col lettiva; diventa collettiva solo in quanto ci sono i cristiani, non viceversa: il che l’istituto ecclesiale ha potuto fare nei secoli passati con risultati pes simi e si illude, a torto, di poter fare ancora.
Questa miopia onestamente mi angoscia; è foriera di guai. A mio parere, è necessario pre gare perché nascano cristiani (cioè operai della vigna), ca paci di vivere cristianamente; ben sapendo che, se non sarà così, i parlamenti e i governanti cristiani non li avremo mai Al più, avremo i cattivi governanti cristiani del passato; le loro guerre sante, le loro ingiustizie; i loro pregiudizi; i loro trionfi.
Non c’è dubbio che qualsia si vita religiosa (e quella cri stiana soprattutto) esige la ca stità dei singoli; sacerdoti o no, sposati o no, e una castità sempre difficile. Ma proprio per questo la vita civile, al giorno d’oggi, più che mai og gi, non può essere ordinata se condo schemi religiosi. Il pre tenderlo è uno strascico del passato confessionale; è una pericolosa illusione e astrazio ne di potere.
Per la stessa ragione, a mo do di esempio, mi sia consen tito dire che è astratto e as surdo negare una correlazione nella vita moderna, tra divor zio e prostituzione. In una so cietà che non controlla più la prostituzione, che esercita il suffragio universale ed esige la parità di diritti civili tra i sessi, come si fa a non vedere che l’istituto divorzista è, in ogni caso, un elemento di mo ralità civile; e che, se non lo si ottiene attraverso la legge, l’irregolarità diventa l’abuso di tolleranza e di costume che è oggi e che dilaga in un disordine sempre più clamoroso e penoso?
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Molti miei amici, cattolici, a mio parere, sono stati troppo santi nella loro vita esemplare per capire e vedere questi fatti; ma i fatti esistono, malgra do loro e purtroppo. E’ inutile nasconderli dietro un dito. La morale cristiana – l’ho detto – è una sola, non ha alter native. E’ la mia, la sento co me forza e consolazione quan do mi riesce di rispettarla e mi dolgo tutte le volte che vi man co. Ma è il punto di vista di chi crede in questa morale, la esercita, la vuole; non per questo la impone.
Imposta, è ipocrisia (lo sap piamo dai secoli del passato, al presente, che la rifiuta per lo spirito di ribellione, conse guenza delle trascorse imposi zioni). Liberamente scelta, è nuova fonte di libertà, e puri ficante ricchezza, è anche apo stolato, benefico fiore che cre sce, che dà ombra e pace e si curezza, che può diventare li bera scelta di una società, di un parlamento, di una schiera di coscienti governanti, natu rale santità delle famiglie. Ma solo in quanto è frutto di li bera scelta ed esperienza, in sisto.
Il tempo dei paternalismi è finito, soprattutto per i cristia ni; siano essi celibi, preti, o sposi secondo la legge. Il loro primo obbligo, ormai, è di sen tirsi adulti e autonomi nella scelta delle loro più difficili leggi, nella cornice di quelle dello stato civile in cui vivono e operano con esempio pro duttivo e salvificante della loro fervida non bacchettona pre senza. II male esiste; non lo si vince ma lo si ingigantisce, nascondendolo sotto falsi veli.
Senza queste premesse e sen za questi cristiani coscienti e adulti, franeranno tutti i celi bati sacri e no, nonché tutti i matrimoni, indipendentemente dal divorzio, dai concordati, dalle leggi che li regolano.
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 14 Settembre 2008 @ 18:24
Mi sembra che l’autore di questo interessante articolo abbia non poche ragioni, quando afferma che le regole, la morale, i vari principi della civiltà e della religione devono risultare più una scelta autonoma e condivisa e non frutto di un’imposizione. Tuttavia dimentica che la società, le comunità, a maggior ragione la Chiesa, devono pur darsi delle regole, devono pur basarsi su dei valori essenziali e devono dare un ordinamento comportamentale ed etico, ai quali ci di deve adeguare. Altrimenti ciascuno potrebbe liberamente procedere a modo suo, formandosi una morale ad hoc e dandosi regole a sé convenienti sia sul piano spirituale che sociale (stiamo assistendo ad alcuni “disastri” dei nostri giorni, vedi giovani, famiglie, scuola…).
Amo riportare quanto scriveva Platone ne “La Repubblica”, libro VIII: “Quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo, che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno.
In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.
Parole profetiche. Ed ecco che, a maggior ragione, la Chiesa, basandosi prevalentemente anche sulle Sacre Scritture, si è posta come guida spirituale, morale e sociale, offrendo giustamente degli indirizzi precisi, che, magari, nel tempo vanno ammorbidendosi o modificandosi prudentemente, ma che sarebbe deleterio cancellare. Occorre anche un “freno” all’uomo, perché non approfitti delle sue libertà a scapito talvolta suo e spesso per gli altri. Pericoloso è il libertinismo al quale stiamo assistendo nel nostro tempo.
Anche per quanto riguarda il celibato dei preti, la tematica è ardua. Alla luce di certi avvenimenti controversi, alla mancanza di vocazioni, si invoca il matrimonio per i sacerdoti. Ma si pensa che con il matrimonio i problemi che attualmente affiorano siano risolti? Io mi domando ancora: ci sarebbe sempre il rispetto della fedeltà in quelle unioni? Potrebbero essere, tali unioni, motivo di altro scandalo? Avranno i sacerdoti sposati lo stesso tempo da dedicare alla cura dei fedeli? Ed il mantenimento delle loro eventuali famiglie, con prole, non costituirebbe un altro ostacolo non indifferente?
Il tema è vasto e “rognoso”: la soluzione difficilissima, rischiosa. Necessitano, a mio avviso, ancora prudenza e saggezza e la Chiesa ne dimostra a sufficienza, confidando anche nell’aiuto di Dio, che non l’abbandonerà mai, come ha promesso.
Gian Gabriele Benedetti