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LETTERATURA: I MAESTRI: Il crematorio di Vienna

14 Dicembre 2017

di Eugenio Montale
[dal “Corriere della Sera”, domenica 25 gennaio 1970]

L’uomo alienato, anzi reifi ­cato come si dice oggi, ridot ­to a cosa e non più individuo, è veramente infelice per la condizione in cui è venuto a trovarsi? il problema è cer ­tamente mal posto perché dell’uomo libero, non condi ­zionato che da se stesso la storia non offre esempi; ma se vogliamo ammettere ch’es ­so esista e sia anzi il proble ­ma d’oggi si deve escludere che psicologi sociologi e al ­trettali specialisti dell’uomo-uomo e dell’uomo-formica siano i più idonei a risol ­verlo.

Gli artisti invece hanno qualcosa da dire in proposi ­to perché la loro vocazione â— e più nell’ultimo secolo, da quando sono sorti verismo naturalismo e altre scuole af ­fini â— sembra essere quella di denunziare l’universale infelicità umana. Non sono pe ­rò concordi nella prognosi e tanto meno nella diagnosi. La infelicità dell’uomo è costi ­tutiva, originaria oppure è l’effetto dei « sistemi » socia ­li sinora sperimentati? Gli artisti così detti engagés pro ­pendono per questa seconda ipotesi ma sanno benissimo che l’utopia della Città Feli ­ce non fu e mai sarà attua ­bile. Altri invece accettano l’infelicità come la sola pos ­sibile fonte di ispirazione. L’arte sarebbe la vita di chi non vive. E’ difficile immagina ­re che un uomo felice, un uo ­mo « riuscito », rinunzi alla sua presente felicità per crearsi una soddisfazione post mortem scrivendo ope ­re letterarie di non probabile sopravvivenza.

Non mancano, sono anzi numerosi, gli scrittori che pur non essendo impegnati nel ­la contestazione socio-politica sentono il bisogno di giustifi ­care il no da essi opposto al ­la vita dell’uomo d’oggi. Tra questi, e tra i più giovani, particolarmente interessante è Goffredo Parise. Il suo no non è a senso unico: nel suo ultimo libro Il crematorio di Vienna (Feltrinelli) l’accusa non è rivolta alla vita intesa come istituzione, bensì alla civiltà consumistica, che è la sua bestia nera, non certo l’unica. Lo sguardo di Parise è stato sempre quello di un antropologo che abbia il ca ­polavoro di Darwin come livre de chevet. Non tanto lo interessa l’uomo come anima ­le privilegiato (che pensa e modifica a piacer suo o di ­strugge la sua vita) quanto l’uomo animalesco tout court che continua a mostrarsi nel ­l’attuale uomo civile ed eco ­nomico. Non so se Parise si faccia illusioni su ciò che po ­trebbe essere l’uomo allo sta ­to di natura, il buon selvag ­gio. In ogni modo è la vita primordiale quella che attrae la sua attenzione; ed è per questo che in un libro di tin ­te uniformi, volutamente composto sullo schema di « tema e variazioni » (una trentina di pezzi numerati senza titoli)   si può trovare ad apertura di pagina una frase come questa: « O pe ­sci!, in amore muto e natan ­te, in seminagione stagionale, la vostra tecnocrazia o siste ­matica riproduttiva non co ­nosce le belle regole della dialettica: fate e basta. Non conoscete, beati voi, la di ­dattica pedanteria delle con ­venzioni ideologiche (…) o pesci, fate, guizzate con l’oc ­chio non cosciente, privo di quel miraggio, verso non tec ­nici miraggi: il vermetto, ma ­gari traditore, la libellula, il pesce femmina, gli infiniti e gioiosi misteri di quel grande Luna Park subacqueo che è la vita ittica, ottusi ai ragiona ­menti, alla presenza, alla bel ­la presenza con cappello gri ­gio, guanti grigi, soprabito grigio dei marciatori dell’uni ­versale bella presenza, delle confezioni, dei prodotti di bel ­lezza per uomo, o pesci! ».

Non dico che questo sia un bellissimo squarcio di prosa; ma a chi non conoscesse Pa ­rise potrebbe servire per com ­prendere tanti altri motivi di lui.

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Il tema che prevale nel Cre ­matorio trovava già nel Pa ­drone (il più fortunato roman ­zo di Parise) due personaggi ancora individuabili da un punto di vista che diremmo vagamente naturalistico: il pa ­drone Max, pianta carnivora che risucchia un suo dipen ­dente: il quale, a conti fatti, accetta una situazione a lui non del tutto sfavorevole. Il motivo del consumo, della quasi perfetta simbiosi tra il consumante e il consumatore e il consumato, dava luogo a un grottesco di forte interesse narrativo. Qui invece, nel Cre ­matorio, i personaggi pure re ­stando anonimi (portano sol ­tanto un nome che è una let ­tera dell’alfabeto) vivono in ambienti ben definiti, hanno caratteri fisici e psicologici ac ­cettabili ma perdono alquanto in credibilità. Altro è trovarsi nella condizione di robot, al ­tro sapere di esserlo. Le figure di questo défilé pensano e riflettono sulla loro condizione con una straordinaria consapevolezza, ciò che nella vita quasi mai accade. Nella vita l’infelicità non è di entrare nel circolo produttore-prodotto ma nell’uscirne. Non è psicologicamente vero che l’uomo de ­sideri la libertà: è vero però ch’egli deve illudersi di desi ­derarla.

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Solo in rari esempi la para ­noia si affaccia nei personag ­gi monologanti di Parise. Ta ­le è il caso dell’uomo che uc ­cide molte persone senza al ­cun proposito criminale, ma per darsi prova della propria abilità nel tiro a segno. Ma in casi analoghi, e assai meno cruenti, il tema del rapporto tra divoratore e divorato è quasi nascosto e si crea allora una situazione veramente poetica restando nascosta la nuda e cruda motivazione. Ta ­le la storia dell’innominato si ­gnore che vede in bianco e nero la sua casa, la sua fami ­glia e se stesso, mentre ogni altro « esterno » conserva vivi ­di colori. Si ha qui il tema dell’usura, ben diverso da quello dell’uomo strumentalizzato.

Là dove, invece, prevale un implacabile j’accuse, una re ­quisitoria contro la robottizzazione dell’individuo, l’osses ­siva iterazione del motivo per ­de in efficacia e lascia alquan ­to incredulo il lettore-consu ­matore. Perché alla fin dei conti il paradosso di Parise e di tutti gli anticonsumisti (an ­ch’io ho peccato in questo sen ­so in miei vecchi scritti non narrativi) è ch’essi stessi so ­no professionali produttori e avidi consumatori di merce culturale. Si tratta di una contraddizione di fondo presente in tutta la letteratura d’oggi. Contraddizione più apparente che reale perché non si può uccidere, artisticamente, la vi ­ta senza una forte carica di amor vitae. Questa volontà di vivere è sempre stata presen ­te in tutti i libri di Parise e nei suoi reportages giornalisti ­ci. Nel suo ultimo libro essa sembra quasi espunta come una imperdonabile debolezza. Ciò non toglie che quand’es ­sa trapela Parise riacquisti tut ­ta la sua forza.

 


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Bart