LETTERATURA: I MAESTRI: Il priore di Marignolle15 Settembre 2018 di Roberto Ridolfi Era quasi l’ora del vespro. Nel suo studiolo, il nuovo prio re di San Quirichino se ne stava come colui che pensa e guata / quello che ha fatto e quel che far conviene: in quella povera canonicuzza, si sentiva appunto come il Berni nella canonica del prete di Povigliano. C’era da pochi gior ni e l’indomani, domenica, avrebbe « sposato » la chiesa: festa grossa, dunque; almeno quanto poteva essere in una parrocchia così piccina. Mentre digrumava quel suo sgomento, come oppresso da un incubo, il battente di ferro della porticina d’ingresso, po sta sotto la fìnestretta dello studiolo, picchiò tre maledetti colpi che fecero rintronare tutta la canonicuzza. S’affac ciò frastornato. Era un tale, che disse: « Sor priore, mi manda il mi’ babbo: vuol sa pere a che ora deve venire domattina a dir Messa ». A quel tempo, un discorso del genere suonava poco men che sacrilego: così per il povero priore l’incubo continuava. Già abbastanza spaesato e smarrito, si smarrì ancor di più: «Che? Il tuo babbo viene a dir Messa? Il tuo babbo? O di chi sei figliolo? ». E l’altro: « Del priore di Marignolle ». * Il priore di Marignolle si ritrovava infatti una bella bri gata di figlioli, nuore, nipoti. Era stato sott’ufficiale; morta gli la moglie, non aveva fatto che mutare milizia. Quanto alla vocazione, una ce l’aveva di certo: la vocazione di una vita tranquilla; quanto agli studi e al resto, come potesse essersela cavata non so: quan do ero bambino e udivo nar rar le sue gesta non avevo co sì fatte curiosità; né, a dire il vero, le ho avute neppure più tardi. Il latinorum lo ma sticava malissimo: sapeva leggere soltanto nel suo messale, e poco anche in quello. Mal per lui esser vissuto quando il latino non lo avevano an cora messo in soffitta! Così ignorante, un po’ gret to, un po’ rozzo, però sarebbe stato in fondo un buon uomo. Era forse venale più che non convenisse al suo ministero; ma doveva pur fare i conti con quella sciagurata famiglia che gli stava addosso: s’era ridotto perfino ad arrotondare l’entrate della chiesa coi gua dagni di una botteguccia che aveva aperto al pianterreno della canonica, dove qualche volta non disdegnava di servi re da sé gli avventori. C’erano poi i proventi degli esorcismi, nei quali s’era fat ta una nomea che passava i confini della provincia. Come se fosse stato il machiavellico Gianmatteo di Belfagor, da ogni parte, donne e uomini che credevano di avere in corpo qualche spirito maligno veni vano a farselo cavare da lui: certi giorni, l’affluenza degli spiritati era tanta che sulla piazzetta di Marignolle si ve deva una coda di vetture e di persone. Quello strano eserci zio, per il quale ebbe più volte dalla Curia rabbuffi e casti ghi, gli portava in compenso maggiori incerti che la bottega. Purtroppo gli incerti non erano soltanto di denari o di derrate: qualche volta erano botte da orbi che gli spiritati gli davano senza riguardo. Ho sentito raccontare di uno, più assiduo e più manesco degli altri, il quale si presentava sempre per ultimo: poi si ac corsero che non ci andava per farsi levare gli spiriti, ma per levare da un altarino i denari lasciati dagli altri. « Almeno avesse dato più piano », com mentò il povero prete tastan dosi i bernoccoli e le lividure. Quando il Partito Popolare prese piede nelle nostre cam pagne e in cima agli stili dei pagliai si videro sventolare le prime bandiere bianche (pan nolini smessi o asciugamani), al priore di Marignolle venne fuori tutto insieme il prurito della politica. Diceva di farlo per il bene dei contadini: ma su questo punto le male lin gue trovavano da ridire, spe cie vedendo i suoi accoliti portare a lui i prosciutti che avrebbero dovuto portare al padrone, e lui rivenderli a fette nella famosa bottega. Preso gusto ai gioco, lasciò che qualche contadino, più fa natico o più babbeo, gli con segnasse perfino i denari del bestiame venduto. E così, di sproposito in sproposito, un giorno non ricordo se dal pul pito o dall’altare, si lasciò scappar di bocca che per en trare in Paradiso ci voleva la tessera. Quale tessera non lo disse, ma le premesse erano state tali che ci voleva poco a capirlo. Questo discorsetto della tes sera fu fatto una domenica. La sera del lunedì, dopo una passeggiata lungo la Greve, il priore se ne tornava alla sua parrocchia leggendo il brevia rio. La stradina è ripida, stret ta, chiusa fra due muri. La vecchiaia e l’erta gli si facevan sentire: saliva piano, si fermava dopo pochi passi, leg geva un versetto del breviario, riprendeva il cammino. Pare va la scena del primo capi tolo dei Promessi sposi, quan do don Abbondio s’incontra coi bravi. A rendere ancor più inpressionante la somiglian za, a un certo punto, svolta dopo svolta, in un gomito del la stradina, c’è un tabernaco lo. Come il priore vi giunse, i bravi non c’erano, ma c’era Matteo. Costui faceva il postino e, a tempo perso, il potatore di ulivi. Il viso da « bravo » lo aveva: una ghigna non molto rassicurante; anche ne aveva un poco la fama, dacché, fon dati i Fasci, in tutto il vicina to era stato il primo a met tersi la camicia nera: la quale fece un certo effetto a quei villici e un gran piacere alla moglie, che non doveva durar più fatica a lavargliela. Dopo un mezzo saluto, Mat teo entrò senza cerimonie e senza tanti preamboli in quel la benedetta faccenda della tessera (« O che gli è preso? Che son discorsi da farsi? ») e a muso duro gli disse da parte dei suoi camerati del Fascio che la prossima dome nica, parlando in chiesa, quel le parole doveva rimangiarse le ad ogni modo: altrimenti eran guai. Se la scena rifaceva a pun tino quella di don Abbondio, con don Abbondio il priore di Marignolle aveva anche in co mune una maledetta paura. Nonostante la sua antica pro fessione, non aveva la stoffa dell’eroe; e, nonostante la nuova, non aveva quella del martire. Biascicò, umile umi le: « Sapete, Matteo, una pa rola tira l’altra come le cilie gie; a dir quella avrò sbaglia to, ma ora a rimangiarmela come faccio? ». « Che so io? Se le parole sono come le ciliegie, faccia conto che sia una ciliegia an che quella: la butti giù col nocciolo e tutto. Insomma, è affar suo. Potrebbe spiegare che la tessera ha da essere quella del Fascio ». « Codesto non posso dirlo davvero. Mettetevi nei miei panni ». « Nei suoi panni non vor rei esserci per tutto l’oro del mondo. Sa? M’hanno incari cato di farle sapere che, se non si rimangia quella paro la, le cambiano i connotati ». « Come sarebbe a dire? ». « Che le mandano gli occhi al posto degli orecchi, gli orecchi al posto degli occhi, il naso al posto della bocca, la bocca al posto del naso ». « Come, come? Gli occhi al posto degli orecchi, gli orec chi al posto degli occhi… no, no: vedrò di accomodar le co se in qualche maniera, farò del mio meglio. Eh no! Il na so al posto della bocca… » * Se il poveruomo, dopo quel l’incontro, si sia messo a let to con la febbre come don Abbondio, la storia non lo di ce. La domenica mattina, prima di salire all’altare, dette una sbirciata in fondo alla chiesa. C’era Matteo, c’erano con lui certi ceffi sconosciuti, e tutti avevano la loro brava camicia nera sotto i vestiti delle feste. Quella vista gli fece perdere affatto la tra montana. Col latinorum gli capitava tutti i giorni d’im pappinarsi, di spropositare, di confondersi, di ripetere la stessa cosa due volte: i suoi parrocchiani c’erano abituati; ma quella mattina pareva pro prio che non ce la facesse ad andare innanzi. Finalmente, dopo il Vange lo, si voltò e disse, con una voce alterata che non pareva neppure la sua: « Figlioli, il vostro priore è vecchio, vec chio, e stamani non si sente punto bene, lo vedete da voi. Ma mi corre l’obbligo di met tere le cose a posto. Domeni ca passata dissi che per entra re in Paradiso, ci vuole una tessera. Persone mal pensanti hanno inteso che io alludessi alla tessera del Partito Popo lare, ehm, ehm: io non pensa vo a codesto, non ci pensavo davvero ». E qui si fermò, pa rendogli di aver detto abba stanza e che i suoi tormenta tori se ne potessero conten tare. Quelli, intanto, s’erano av vicinati a poco a poco, senza parere, quasi per udir meglio la voce bassa e tremante del vecchio prete. Li guardò con occhi supplichevoli; ma i loro musi gli parvero più duri che mai, e Matteo fece un gesto spiccio con la mano, come per dirgli: « Continui e si sbri ghi ». Il pover’uomo aveva un no do in gola, la bocca amara, la lingua arida e secca. A un tratto gli venne un aiuto dal cielo, come un’illuminazione improvvisa. Riprese, più rin francato: «Volevo dire di una tessera che per entrare in Pa radiso ci vuole, sicuro, sicu ro: la tessera di buon cristia no ». Tirò il fiato. E vide che Matteo gli faceva col capo se gno di sì.
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