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LETTERATURA: I MAESTRI: Il priore di Marignolle

15 Settembre 2018

di Roberto Ridolfi
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 13 marzo 1970]

Era quasi l’ora del vespro. Nel suo studiolo, il nuovo prio ­re di San Quirichino se ne stava come colui che pensa e guata / quello che ha fatto e quel che far conviene: in quella povera canonicuzza, si sentiva appunto come il Berni nella canonica del prete di Povigliano. C’era da pochi gior ­ni e l’indomani, domenica, avrebbe « sposato » la chiesa: festa grossa, dunque; almeno quanto poteva essere in una parrocchia così piccina.

Mentre digrumava quel suo sgomento, come oppresso da un incubo, il battente di ferro della porticina d’ingresso, po ­sta sotto la fìnestretta dello studiolo, picchiò tre maledetti colpi che fecero rintronare tutta la canonicuzza. S’affac ­ciò frastornato. Era un tale, che disse: « Sor priore, mi manda il mi’ babbo: vuol sa ­pere a che ora deve venire domattina a dir Messa ». A quel tempo, un discorso del genere suonava poco men che sacrilego: così per il povero priore l’incubo continuava. Già abbastanza spaesato e smarrito, si smarrì ancor di più: «Che? Il tuo babbo viene a dir Messa? Il tuo babbo? O di chi sei figliolo? ». E l’altro: « Del priore di Marignolle ».

*

Il priore di Marignolle si ritrovava infatti una bella bri ­gata di figlioli, nuore, nipoti. Era stato sott’ufficiale; morta ­gli la moglie, non aveva fatto che mutare milizia. Quanto alla vocazione, una ce l’aveva di certo: la vocazione di una vita tranquilla; quanto agli studi e al resto, come potesse essersela cavata non so: quan ­do ero bambino e udivo nar ­rar le sue gesta non avevo co ­sì fatte curiosità; né, a dire il vero, le ho avute neppure più tardi. Il latinorum lo ma ­sticava malissimo: sapeva leggere soltanto nel suo messale, e poco anche in quello. Mal per lui esser vissuto quando il latino non lo avevano an ­cora messo in soffitta!

Così ignorante, un po’ gret ­to, un po’ rozzo, però sarebbe stato in fondo un buon uomo. Era forse venale più che non convenisse al suo ministero; ma doveva pur fare i conti con quella sciagurata famiglia che gli stava addosso: s’era ridotto perfino ad arrotondare l’entrate della chiesa coi gua ­dagni di una botteguccia che aveva aperto al pianterreno della canonica, dove qualche volta non disdegnava di servi ­re da sé gli avventori.

C’erano poi i proventi degli esorcismi, nei quali s’era fat ­ta una nomea che passava i confini della provincia. Come se fosse stato il machiavellico Gianmatteo di Belfagor, da ogni parte, donne e uomini che credevano di avere in corpo qualche spirito maligno veni ­vano a farselo cavare da lui: certi giorni, l’affluenza degli spiritati era tanta che sulla piazzetta di Marignolle si ve ­deva una coda di vetture e di persone. Quello strano eserci ­zio, per il quale ebbe più volte dalla Curia rabbuffi e casti ­ghi, gli portava in compenso maggiori incerti che la bottega.

Purtroppo gli incerti non erano soltanto di denari o di derrate: qualche volta erano botte da orbi che gli spiritati gli davano senza riguardo. Ho sentito raccontare di uno, più assiduo e più manesco degli altri, il quale si presentava sempre per ultimo: poi si ac ­corsero che non ci andava per farsi levare gli spiriti, ma per levare da un altarino i denari lasciati dagli altri. « Almeno avesse dato più piano », com ­mentò il povero prete tastan ­dosi i bernoccoli e le lividure.

Quando il Partito Popolare prese piede nelle nostre cam ­pagne e in cima agli stili dei pagliai si videro sventolare le prime bandiere bianche (pan ­nolini smessi o asciugamani), al priore di Marignolle venne fuori tutto insieme il prurito della politica. Diceva di farlo per il bene dei contadini: ma su questo punto le male lin ­gue trovavano da ridire, spe ­cie vedendo i suoi accoliti portare a lui i prosciutti che avrebbero dovuto portare al padrone, e lui rivenderli a fette nella famosa bottega.

Preso gusto ai gioco, lasciò che qualche contadino, più fa ­natico o più babbeo, gli con ­segnasse perfino i denari del bestiame venduto. E così, di sproposito in sproposito, un giorno non ricordo se dal pul ­pito o dall’altare, si lasciò scappar di bocca che per en ­trare in Paradiso ci voleva la tessera. Quale tessera non lo disse, ma le premesse erano state tali che ci voleva poco a capirlo.

Questo discorsetto della tes ­sera fu fatto una domenica. La sera del lunedì, dopo una passeggiata lungo la Greve, il priore se ne tornava alla sua parrocchia leggendo il brevia ­rio. La stradina è ripida, stret ­ta, chiusa fra due muri. La vecchiaia e l’erta gli si facevan sentire: saliva piano, si fermava dopo pochi passi, leg ­geva un versetto del breviario, riprendeva il cammino. Pare ­va la scena del primo capi ­tolo dei Promessi sposi, quan ­do don Abbondio s’incontra coi bravi. A rendere ancor più inpressionante la somiglian ­za, a un certo punto, svolta dopo svolta, in un gomito del ­la stradina, c’è un tabernaco ­lo. Come il priore vi giunse, i bravi non c’erano, ma c’era Matteo.

Costui faceva il postino e, a tempo perso, il potatore di ulivi. Il viso da « bravo » lo aveva: una ghigna non molto rassicurante; anche ne aveva un poco la fama, dacché, fon ­dati i Fasci, in tutto il vicina ­to era stato il primo a met ­tersi la camicia nera: la quale fece un certo effetto a quei villici e un gran piacere alla moglie, che non doveva durar più fatica a lavargliela.

Dopo un mezzo saluto, Mat ­teo entrò senza cerimonie e senza tanti preamboli in quel ­la benedetta faccenda della tessera (« O che gli è preso? Che son discorsi da farsi? ») e a muso duro gli disse da parte dei suoi camerati del Fascio che la prossima dome ­nica, parlando in chiesa, quel ­le parole doveva rimangiarse ­le ad ogni modo: altrimenti eran guai.

Se la scena rifaceva a pun ­tino quella di don Abbondio, con don Abbondio il priore di Marignolle aveva anche in co ­mune una maledetta paura. Nonostante la sua antica pro ­fessione, non aveva la stoffa dell’eroe; e, nonostante la nuova, non aveva quella del martire. Biascicò, umile umi ­le: « Sapete, Matteo, una pa ­rola tira l’altra come le cilie ­gie; a dir quella avrò sbaglia ­to, ma ora a rimangiarmela come faccio? ».

« Che so io? Se le parole sono come le ciliegie, faccia conto che sia una ciliegia an ­che quella: la butti giù col nocciolo e tutto. Insomma, è affar suo. Potrebbe spiegare che la tessera ha da essere quella del Fascio ».

« Codesto non posso dirlo davvero. Mettetevi nei miei panni ».

« Nei suoi panni non vor ­rei esserci per tutto l’oro del mondo. Sa? M’hanno incari ­cato di farle sapere che, se non si rimangia quella paro ­la, le cambiano i connotati ».

« Come sarebbe a dire? ».

« Che le mandano gli occhi al posto degli orecchi, gli orecchi al posto degli occhi, il naso al posto della bocca, la bocca al posto del naso ».

« Come, come? Gli occhi al posto degli orecchi, gli orec ­chi al posto degli occhi… no, no: vedrò di accomodar le co ­se in qualche maniera, farò del mio meglio. Eh no! Il na ­so al posto della bocca… »

*

Se il poveruomo, dopo quel ­l’incontro, si sia messo a let ­to con la febbre come don Abbondio, la storia non lo di ­ce. La domenica mattina, prima di salire all’altare, dette una sbirciata in fondo alla chiesa. C’era Matteo, c’erano con lui certi ceffi sconosciuti, e tutti avevano la loro brava camicia nera sotto i vestiti delle feste. Quella vista gli fece perdere affatto la tra ­montana. Col latinorum gli capitava tutti i giorni d’im ­pappinarsi, di spropositare, di confondersi, di ripetere la stessa cosa due volte: i suoi parrocchiani c’erano abituati; ma quella mattina pareva pro ­prio che non ce la facesse ad andare innanzi.

Finalmente, dopo il Vange ­lo, si voltò e disse, con una voce alterata che non pareva neppure la sua: « Figlioli, il vostro priore è vecchio, vec ­chio, e stamani non si sente punto bene, lo vedete da voi. Ma mi corre l’obbligo di met ­tere le cose a posto. Domeni ­ca passata dissi che per entra ­re in Paradiso, ci vuole una tessera. Persone mal pensanti hanno inteso che io alludessi alla tessera del Partito Popo ­lare, ehm, ehm: io non pensa ­vo a codesto, non ci pensavo davvero ». E qui si fermò, pa ­rendogli di aver detto abba ­stanza e che i suoi tormenta ­tori se ne potessero conten ­tare.

Quelli, intanto, s’erano av ­vicinati a poco a poco, senza parere, quasi per udir meglio la voce bassa e tremante del vecchio prete. Li guardò con occhi supplichevoli; ma i loro musi gli parvero più duri che mai, e Matteo fece un gesto spiccio con la mano, come per dirgli: « Continui e si sbri ­ghi ».

Il pover’uomo aveva un no ­do in gola, la bocca amara, la lingua arida e secca. A un tratto gli venne un aiuto dal cielo, come un’illuminazione improvvisa. Riprese, più rin ­francato: «Volevo dire di una tessera che per entrare in Pa ­radiso ci vuole, sicuro, sicu ­ro: la tessera di buon cristia ­no ». Tirò il fiato. E vide che Matteo gli faceva col capo se ­gno di sì.

 

 


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Bart