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LETTERATURA: I MAESTRI: La morte di Roberto Longhi, studioso e maestro

6 Novembre 2012

di Alessandro Parronchi
[da “La Nazione”, venerdì 8 giugno 1970]

In quest’ora di commozione per l’intero mondo della cultura, gli studiosi d’arte cerca ­no di farsi presenti i frutti della vasta e operosa giorna ­ta di Longhi, interrottasi in un punto in cui l’attività dello scrittore non accennava a de ­flettere. Si tratta di una massa di lavoro imponente e, soprat ­tutto, svolta in profondità, con risultati spesso in contrasto for ­temente attivo e polemico con la convenzionalità delle opinio ­ni derivate dalla tradizione.

Come accade agli spiriti di più sicura vocazione, Longhi, con la forza del suo istinto, ha trovato in partenza quelli che sarebbero stati i temi dominan ­ti e esemplari del suo lavoro, nel Caravaggio ( tesi di laurea del 1911) e in Piero della Fran ­cesca (1914), ma partendo da questi, che si possono in certo senso considerare i poli stessi della nostra tradizione figurati ­va, è venuto poi aprendosi a sempre nuovi argomenti: dimodoché oggi, dopo sessant’anni di studio, non c’è epoca o re ­gione dell’arte italiana di cui egli non abbia scoperto aspetti fondamentali liberandoli da lar ­ghi strati di incomprensione e di effettiva ignoranza in cui giacevano avvolti. Non c’è, si può dire, periodo della nostra storia della pittura che egli non abbia chiarificato nei filoni del ­le discendenze, nel raggio de ­gli influssi, nella evidenza del ­le attribuzioni.

Così il nostro Duecento esce rivoluzionato dal suo saggio del ’39 che per la prima volta eser ­cita la ferma distinzione dello stile e stabilisce criteri esatti di valore su un materiale nei confronti del quale ci si era prima sempre attenuti ai risul ­tati della ricerca erudita. Il Trecento porta Longhi, abban ­donando la tradizionale gerar ­chia stabilita dal Vasari, ad ac ­corgersi dell’importanza assunta dalla cultura lombarda nei sag ­gi su Giusto da Padova e sui trecentisti bolognesi, e ad apri ­re nuove fonti di comprensione per la stessa pittura fiorentina nei vari saggi su Giotto, su Ste ­fano e su Taddeo Gaddi.

Riguardo al Quattrocento, quelli della mia generazione, siano stati o meno allievi di Longhi, possono dire d’essersi formati sui suoi prestigiosi Fatti di Masolino e di Masaccio, del ’40. Per quanto discusso, e an ­che avversato e contraddetto, quel saggio, con le ricche note dove è portato uno sguardo cir ­colare su tutta la produzione del primo Quattrocento fioren ­tino, resta fondamentale alla comprensione dei più ardui pro ­blemi che attraversano il perio ­do eroico della nostra storia figurativa. Fin dal saggio del ’14 Longhi aveva avvertito la fun ­zione centrale che la pittura di Piero della Francesca assume in quel secolo, nel suo mediare da Domenico Veneziano l’aspe ­rità dei problemi formali nati nella cerchia dei novatori fio ­rentini, e nel ritrasmetterli e irradiarli nel centro Italia e in direzione di Venezia, dove sa ­ranno in qualche modo comple ­tati dall’esperienza singolare di Antonello da Messina. Questi eventi vengono organicamente sviluppati nella monografia su Piero della Francesca, del ’27, seguita da quella « fortuna cri ­tica » dell’artista che resta il modello insuperato di un gene ­re resosi d’allora in poi indi ­spensabile in ogni monografia.

Ancora nel Quattrocento ecco le rivelazioni date da Longhi, a seguito degli studi del Toe-sca, sulla pittura lombarda â— Cristoforo Moretti, Bonifacio Bembo, Carlo Braccesco â—, la ricostruzione perfetta della « of ­ficina ferrarese » (1934), la de ­lineazione della storia della pit ­tura veneta nei nessi e momen ­ti fondamentali che dal Quat ­trocento diramano nei tre se ­coli successivi (1946). Nel Cin ­quecento lo studio della manie ­ra italiana e i suoi contatti con l’Europa, le linee di una pittu ­ra realistica in Lombardia che avrà una sua continuità fino al Caravaggio, il nascere sugli ultimi del secolo dell’Accade ­mia bolognese dei Carracci e a contrasto il grande fatto rivo ­luzionario del Caravaggio. Per il Seicento, navigato nella sua estensione e messo a punto nel suo valore, si può dire che gli studi di Longhi abbiano realiz ­zato gran parte del lavoro che c’era da fare, dissodando il cam ­po incolto, seminandolo di intelligenza critica, e raccoglien ­done i frutti della comprensio ­ne e dell’assestamento storico, per quel gran secolo che egli davvero ha tratto alla luce dalla generica « tenebra » in cui era rimasto precedentemente abbandonato, mostrando come l’Italia, in un periodo già net ­ ­tamente staccato dai fasti del Rinascimento, sia stata maestra all’Europa e capostipite della pittura moderna. Sul Settecento veneto egli ha pure operato au ­daci capovolgimenti di valori, nel senso di un’intelligenza mo ­derna dello stile del passato, e lo stesso si può dire abbia fatto per l’arte del nostro Ottocento, e per la moderna, incomincian ­do giovanissimo, in difesa del futurismo di Boccioni, a affilare le armi di quello che sarebbe divenuto il suo originale lin ­guaggio critico.

Non si poteva fare a meno di dare il senso dell’estensione degli interessi longhiani, trat ­tandosi dopo il Lanzi, il Ca ­valcaselle e Adolfo Venturi, del ­l’ultimo di quei maestri che sono riusciti a possedere nella loro disciplina un sapere enci ­clopedico.

Ma in una traccia data per sommi capi è impossibile anche soltanto accennare alla quanti ­tà dei contributi particolari che infittiscono e completano il qua ­dro della storia della pittura italiana lasciataci da Roberto Longhi. Quel che dobbiamo ag ­giungere ora, è qualche parola sulla natura del suo insegnamen ­to. E’ rimasto costante alla sua ricerca il carattere di conseguen ­za logica di intuizioni felici, do ­tate di perenne forza d’urto, e spesso, con l’apparenza di cede ­re alla sollecitazione delle occa ­sioni â— mostra della pittura ferrarese del 1933, mostra della pittura veneta del 1945 â— gli studi di Longhi si sono affac ­ciati come autentiche rivelazio ­ni, a volte addirittura colorite di scandalo. Essi erano frutto in realtà di lunga meditazione e di una somma di esperienze, e d’altronde il produrli a quel modo gli consentiva di fare av ­vertire nel fatto artistico una inestinguibile circolazione vita ­le. Sua caratteristica è stata quella di esprimere il proprio giudizio con un attrito che sol ­lecitava l’accettazione o il ri ­fiuto. Da qui le divisioni, gli schieramenti in campì opposti, i dispareri. Assieme a qualcun altro della mia generazione ri ­cordo di avere aspirato in un primo tempo al realizzarsi di un clima più disteso, in cui questo genere di contrasti finis ­se. L’esperienza mi ha poi con ­vinto che almeno nella nostra disciplina le soluzioni pacifiche oltre che quasi sempre irrealiz ­zabili sono spesso poco augura ­bili, e che quando è il momento bisogna saper combattere è sta ­to Longhi a darne gli esempi più belli. Nessuna forma in lui di paternalismo, anzi la diver ­sità di opinione, il contrasto di Longhi si avvertiva sempre in modo immediato e cruento, co ­me quello non di un maestro ma di un coetaneo. Questo met ­tersi sullo stesso piano dell’al ­lievo è una qualità in un mae ­stro molto rara; al tempo stesso l’intransigenza dei giudizi di Longhi si finiva per accettarla nella sua severità proprio per ­ché era una scuola. Giovane fino all’ultimo giorno di que ­sti suoi ottanta anni, egli rimarrà nel mio ricordo nel ­l’aspetto in cui, alle volte, ha avuto a significarmi certi suoi ragionevoli dissensi, in forma netta e garbata, una severità piena di affetto rimarrà per me il senso più intimo dell’inse ­gnamento del maestro. Ma per la maggior parte di quanti han ­no avuto la fortuna di avvici ­narlo, inutile dire che il ricor ­do di lui, maestro idolatrato dagli allievi, si concentrerà piut ­tosto nell’aspetto di uno stimo ­lo inesauribile, e di un’eccitan ­te guida alla ricerca e allo stu ­dio. Egli ha posseduto la sua disciplina non meno da storico che da intenditore, e a tale ri ­guardo nessun rifiuto è stato più costante del suo alla cul ­tura paludata e accademica.

In Proposte per una critica d’arte («Paragone » 1950), una lezione che assunse, al suo in ­gresso alla cattedra dell’univer ­sità fiorentina, il valore di un manifesto, egli dette testimo ­nianza dei meriti che alla com ­prensione del fatto artistico van ­no riconosciuti all’intelligenza nel senso più ampio, libera da qualsiasi stratificazione. Un sen ­timento della vita aperto e bat ­tagliero ha creato nella sua pro ­sa uno strumento specifico, pro ­fondamente funzionale, che tra ­scende la letterarietà del comu ­ne dettato, e malgrado i riecheggiamenti rimarrà unico per estensione di vocabolario e ca ­pacità espressiva di trasposizio ­ne e quasi di reviviscenza del fatto artistico.

In Longhi la forza di un tem ­peramento eccezionale aveva avuto modo di formarsi in una esperienza irripetibile, di cui la sua memoria conservava in ­tatti i dati innumerevoli. Ma ciò non avveniva con la sec ­chezza meccanica del moderno robot, sibbene a traverso la co ­scienza di un umanista di anti ­co modello, aperta alla conside ­razione storica dei fatti più vari di cui la vita si compone. Ciò nondimeno il principio fonda ­mentale su cui si basa l’insegna ­mento longhiano è che ogni ope ­ra d’arte contiene prima di tut ­to in se stessa i termini del suo chiarimento. Armata di questa certezza la critica di Longhi venne su ai primi del secolo dalle correnti artistiche della pura visibilità, e tale è rimasta fino all’ultimo non perdendo di vi ­talità e di freschezza. Nel frat ­tempo altri metodi, di fondo spiritualistico, come quello del ­la ricerca iconologica, sono su ­bentrati e hanno avuto modo di svelare, assieme ad esiti bril ­lanti, l’effimera illusorietà e al ­la lunga l’indirizzo deviante del ­le proprie sollecitazioni, specie quando esse sono divenute, co ­me è accaduto nella maggior parte dei casi, fine a se stesse.

La storia della pittura italia ­na esce rivoluzionata ed anche vivificata da Roberto Longhi. Egli lascia dietro di sé un la ­voro imponente, in parte già da lui ordinato e raccolto in forma definitiva, in parte da raccogliere e in parte ancora inedito. Sia chi gli è stato allie ­vo che chi non ha avuto quella sorte, non potrà non ricono ­scerne l’impronta lasciata nella disciplina storico-artistica e rim ­piangerlo inimitabile maestro.


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