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LETTERATURA: I MAESTRI: La Ronda e la Libra

14 Giugno 2018

di Geno Pampaloni
[dal “Corriere della Sera”, domenica 8 marzo 1970]

A proposito della Ronda. Un punto controverso è il seguente: se il «ritorno all’ordine », la restaurazione lette ­raria cui il famoso tamburi ­no disegnato in copertina da Armando Spadini chiamava a raccolta, siano stati premoni ­torie e scongiuro verso l’in ­calzante avvento del fascismo (ricordiamo che la rivista usci dal ’19 al ’23), oppure ri ­specchiamento e sia pure in ­diretta copertura e complici ­tà di una cultura destinata ad arrendersi. E’ un punto destinato probabilmente a ri ­manere controverso, e affida ­to alla sensibilità dei singoli storici, se in cinquant’anni non è ancora riuscito ad ave ­re risposta univoca (come te ­stimoniano le polemiche anco ­ra accese) e se, come a me sembra, un giudizio equilibra ­to dovrà concludere con una risposta ugualmente afferma ­tiva ad ambedue i quesiti.

Sul valore letterario, sulla « grande dignità e civiltà let ­teraria » (Montale) di cui la rivista fu esempio, non c’è di ­scussione. Basta pensare alla « lista bloccata » dei suoi re ­dattori (Cardarelli, Bacchelli, Cecchi, Baldini, Raimondi, Barilli, Saffi e Montano) e al posto che essi occupano nel nostro Novecento letterario: e basta sfogliare la bella an ­tologia (ERI, pp. 590, L. 5300) curata da Giuseppe Cassieri, che amplia quella da lui stes ­so procurata nel ’55, e che è ricchissima di pagine di alto prestigio. Ma proprio di re ­cente, ripubblicate dal Falqui sulla Nuova Antologia, si so ­no lette alcune Parole all’orec ­chio di Vincenzo Cardarelli, come suo costume nette e non equivoche, dove egli si fa me ­rito di « aver ardito sostene ­re un principio di ordine e di autorità proprio nel momen ­to che sul nostro paese im ­perversava la pazzia bolscevi ­ca ». Sono parole che sembre ­rebbero rendere piena ragio ­ne a chi, come Giorgio Luti, esplicitamente ritiene che La Ronda fu uno degli aspetti della resa senza condizioni della cultura borghese in cri ­si di fronte alla prevaricazio ­ne fascista. E d’altra parte, non si può non accogliere nel giusto valore la testimonian ­za di uno scrittore come Giu ­seppe Raimondi, quando la giudica, al contrario, « corret ­tivo alle angustie morali e non solo culturali in cui ver ­sava la nazione », salvaguar ­dia contro « la confusione pe ­nosa portata dalle vicende politiche » di quegli anni .

La medesima bivalenza ci sorprende se si entra nell’esa ­me della sua fisionomia letteraria. Nella sobria e preci ­sa introduzione il Cassieri so ­stiene con intelligenza la con ­tinuità della Ronda con le al ­tre riviste dell’anteguerra (« nulla esplode che non ab ­bia fatto capolino nei fogli attorno al ’15 »), E’ vero. Ma quanto erano mutati i tempi, e quanto diversa risonanza degli stessi temi! Dietro il tempo della Voce senti il cla ­more europeo vivo alla curio ­sità di una generazione pron ­ta all’impegno del rischio in ­tellettuale: dietro quello del ­la Ronda c’è il silenzioso or ­goglio di chi rifiuta in blocco le avanguardie artistiche, il problemismo, Pascoli, D’Annunzio, Joyce e Freud. E in realtà la differenza decisiva è questa: che sino alla guer ­ra, la cultura italiana fu so ­stanzialmente unitaria, e, do ­po, una sciagurata divarica ­zione separò, nella stessa cul ­tura, i «politici » (Gramsci, Gobetti) dai « letterati »: e proprio alla Ronda toccò in sorte di protocollare tale scis ­sione.

Per converso, a equilibrare il giudizio, si deve riconosce ­re che, contro la confusiona ­ria marea irrazionale che sa ­liva, il ritorno ai classici, alla invulnerabile dignità dello sti ­le, vissuto e sofferto da scrit ­tori di autentica vocazione com’era la maggior parte dei « rondisti », prospettava valo ­ri di « ordine » ben diverso da quello fascista e metteva in moto, al di là di ogni pro ­gramma, una contestazione letteraria destinata, nel tem ­po, a confluire nell’ideale di libertà.

Un punto a favore di code ­sto secondo aspetto della Ronda è segnato, per esem ­pio, dall’esperienza dei « No ­varesi », come li chiamò il Borgese (Bonfantini, Emanuelli, Soldati, Giachino, De Blasi, Piovene, cui si aggiun ­sero occasionalmente, tra gli altri, Giacomo Debenedetti, Noventa, Raimondi), riuniti dal ’28 al ’30 nella rivista La Libra, diretta da Mario Bonfantini. Dopo la antologia smilza e del resto introvabile curata da Raul Capra nel ’60, ne abbiamo ora una a dispo ­sizione che sollecita il nostro interesse (Liviana editrice, pp. 192, L. 2500). Il curatore Anco Marzio Mutterle stabi ­lisce così le coordinate della rivista: «il gusto un po’ ari ­stocratico e distaccato per la pagina ben scritta che ricor ­da La Ronda, un certo pro ­vinciale ritegno e l’interesse per le arti figurative che era del Selvaggio, la spinta verso le culture straniere che era stata di Novecento e, sia pu ­re in altre dimensioni di Solaria ». Molto chiaro. Solo lo accostamento al Selvaggio mi lascia dubbioso, giacché il fo ­glio di Mino Maccari, con tut ­ti i suoi meriti, si inserisce nel filone antiletterario del Novecento e lo colora di un estro gentilissimo (anche se in apparenza un po’ becero e paesano) tra il lirico e il lin ­guaiolo: mentre La Libra tro ­va le sue radici in un espe ­rienza squisitamente lettera ­ria. e il suo timbro più netto sta tra il moralismo e il saggismo.

Il punto di partenza dei gio ­vani novaresi è da cercare dunque proprio in quell’alto e indiscutibile concetto della dignità della letteratura in cui dieci anni dopo si riassu ­meva, al meglio, la lezione della Ronda, anche se natu ­ralmente la passione lettera ­ria si animava ora di nuove inquietudini e insofferenze, nonché di più moderne e av ­vertite motivazioni critiche (l’attentissimo Mutterle ricor ­da giustamente l’influenza di due maestri che operavano in quegli anni a Torino, Ferdi ­nando Neri e Cesare De Lollis, straordinari lettori en ­trambi di letterature euro ­pee). Così, perdoni l’amico Falqui questa confessione di un « sopraggiunto soltanto adesso »: mentre il monumen ­to Ronda ci appare, nella viva trama del gusto, di un’altra età, nelle più modeste pagine della Libra, di appena un de ­cennio più tardi, sentiamo spesso l’affiorare animato di problemi ancora nostri.

Moderno, infatti, vi è l’em ­pirismo critico, il rifiuto di vincolanti modelli e schemi di precetto; giusta, anche se teoriticamente non approfon ­dita, l’esigenza di identificare esperienza artistica ed espe ­rienza morale; coraggiosa per quegli anni, anche se detta con molta ingenuità ed una approssimazione che le to ­glieva vigore, la denuncia del ­la « poca o nessuna pienezza e idea di vita » dei letterati; maturo il vigilante storicismo critico, oramai svincolato dal ­la tutela crociana; ampia e articolata la tavola degli inte ­ressi e valori letterari, non solo nella polemica antidan ­nunziana e antifuturista co ­mune con la Ronda, ma (in comune questa volta con Solaria) nella primaria valutazio ­ne dello Svevo, nonché dei nuovi grandi numi europei Proust, Gide e Joyce; sicuro e nuovo, infine, il gusto della scrittura, aristocratico e niti ­do e insieme aperto alla com ­plessità e ambiguità dello spi ­rito contemporaneo, testimo ­niato soprattutto dalla narra ­tiva « saggistica » dell’ Ema ­nuelli e del Piovene.

E in definitiva, per riassu ­mere, quello della Libra fu un episodio tra i più interes ­santi di quel processo di ma ­turazione e ammodernamen ­to della consapevolezza cultu ­rale e civile della generazio ­ne che era nata alla lettera ­tura in tempo fascista, e che proprio nella coscienza criti ­ca dei valori letterari cerca ­va i primi segni di una libe ­razione.

 


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