LETTERATURA: I MAESTRI: La Ronda e la Libra14 Giugno 2018 di Geno Pampaloni A proposito della Ronda. Un punto controverso è il seguente: se il «ritorno all’ordine », la restaurazione lette raria cui il famoso tamburi no disegnato in copertina da Armando Spadini chiamava a raccolta, siano stati premoni torie e scongiuro verso l’in calzante avvento del fascismo (ricordiamo che la rivista usci dal ’19 al ’23), oppure ri specchiamento e sia pure in diretta copertura e complici tà di una cultura destinata ad arrendersi. E’ un punto destinato probabilmente a ri manere controverso, e affida to alla sensibilità dei singoli storici, se in cinquant’anni non è ancora riuscito ad ave re risposta univoca (come te stimoniano le polemiche anco ra accese) e se, come a me sembra, un giudizio equilibra to dovrà concludere con una risposta ugualmente afferma tiva ad ambedue i quesiti. Sul valore letterario, sulla « grande dignità e civiltà let teraria » (Montale) di cui la rivista fu esempio, non c’è di scussione. Basta pensare alla « lista bloccata » dei suoi re dattori (Cardarelli, Bacchelli, Cecchi, Baldini, Raimondi, Barilli, Saffi e Montano) e al posto che essi occupano nel nostro Novecento letterario: e basta sfogliare la bella an tologia (ERI, pp. 590, L. 5300) curata da Giuseppe Cassieri, che amplia quella da lui stes so procurata nel ’55, e che è ricchissima di pagine di alto prestigio. Ma proprio di re cente, ripubblicate dal Falqui sulla Nuova Antologia, si so no lette alcune Parole all’orec chio di Vincenzo Cardarelli, come suo costume nette e non equivoche, dove egli si fa me rito di « aver ardito sostene re un principio di ordine e di autorità proprio nel momen to che sul nostro paese im perversava la pazzia bolscevi ca ». Sono parole che sembre rebbero rendere piena ragio ne a chi, come Giorgio Luti, esplicitamente ritiene che La Ronda fu uno degli aspetti della resa senza condizioni della cultura borghese in cri si di fronte alla prevaricazio ne fascista. E d’altra parte, non si può non accogliere nel giusto valore la testimonian za di uno scrittore come Giu seppe Raimondi, quando la giudica, al contrario, « corret tivo alle angustie morali e non solo culturali in cui ver sava la nazione », salvaguar dia contro « la confusione pe nosa portata dalle vicende politiche » di quegli anni . La medesima bivalenza ci sorprende se si entra nell’esa me della sua fisionomia letteraria. Nella sobria e preci sa introduzione il Cassieri so stiene con intelligenza la con tinuità della Ronda con le al tre riviste dell’anteguerra (« nulla esplode che non ab bia fatto capolino nei fogli attorno al ’15 »), E’ vero. Ma quanto erano mutati i tempi, e quanto diversa risonanza degli stessi temi! Dietro il tempo della Voce senti il cla more europeo vivo alla curio sità di una generazione pron ta all’impegno del rischio in tellettuale: dietro quello del la Ronda c’è il silenzioso or goglio di chi rifiuta in blocco le avanguardie artistiche, il problemismo, Pascoli, D’Annunzio, Joyce e Freud. E in realtà la differenza decisiva è questa: che sino alla guer ra, la cultura italiana fu so stanzialmente unitaria, e, do po, una sciagurata divarica zione separò, nella stessa cul tura, i «politici » (Gramsci, Gobetti) dai « letterati »: e proprio alla Ronda toccò in sorte di protocollare tale scis sione. Per converso, a equilibrare il giudizio, si deve riconosce re che, contro la confusiona ria marea irrazionale che sa liva, il ritorno ai classici, alla invulnerabile dignità dello sti le, vissuto e sofferto da scrit tori di autentica vocazione com’era la maggior parte dei « rondisti », prospettava valo ri di « ordine » ben diverso da quello fascista e metteva in moto, al di là di ogni pro gramma, una contestazione letteraria destinata, nel tem po, a confluire nell’ideale di libertà. Un punto a favore di code sto secondo aspetto della Ronda è segnato, per esem pio, dall’esperienza dei « No varesi », come li chiamò il Borgese (Bonfantini, Emanuelli, Soldati, Giachino, De Blasi, Piovene, cui si aggiun sero occasionalmente, tra gli altri, Giacomo Debenedetti, Noventa, Raimondi), riuniti dal ’28 al ’30 nella rivista La Libra, diretta da Mario Bonfantini. Dopo la antologia smilza e del resto introvabile curata da Raul Capra nel ’60, ne abbiamo ora una a dispo sizione che sollecita il nostro interesse (Liviana editrice, pp. 192, L. 2500). Il curatore Anco Marzio Mutterle stabi lisce così le coordinate della rivista: «il gusto un po’ ari stocratico e distaccato per la pagina ben scritta che ricor da La Ronda, un certo pro vinciale ritegno e l’interesse per le arti figurative che era del Selvaggio, la spinta verso le culture straniere che era stata di Novecento e, sia pu re in altre dimensioni di Solaria ». Molto chiaro. Solo lo accostamento al Selvaggio mi lascia dubbioso, giacché il fo glio di Mino Maccari, con tut ti i suoi meriti, si inserisce nel filone antiletterario del Novecento e lo colora di un estro gentilissimo (anche se in apparenza un po’ becero e paesano) tra il lirico e il lin guaiolo: mentre La Libra tro va le sue radici in un espe rienza squisitamente lettera ria. e il suo timbro più netto sta tra il moralismo e il saggismo. Il punto di partenza dei gio vani novaresi è da cercare dunque proprio in quell’alto e indiscutibile concetto della dignità della letteratura in cui dieci anni dopo si riassu meva, al meglio, la lezione della Ronda, anche se natu ralmente la passione lettera ria si animava ora di nuove inquietudini e insofferenze, nonché di più moderne e av vertite motivazioni critiche (l’attentissimo Mutterle ricor da giustamente l’influenza di due maestri che operavano in quegli anni a Torino, Ferdi nando Neri e Cesare De Lollis, straordinari lettori en trambi di letterature euro pee). Così, perdoni l’amico Falqui questa confessione di un « sopraggiunto soltanto adesso »: mentre il monumen to Ronda ci appare, nella viva trama del gusto, di un’altra età, nelle più modeste pagine della Libra, di appena un de cennio più tardi, sentiamo spesso l’affiorare animato di problemi ancora nostri. Moderno, infatti, vi è l’em pirismo critico, il rifiuto di vincolanti modelli e schemi di precetto; giusta, anche se teoriticamente non approfon dita, l’esigenza di identificare esperienza artistica ed espe rienza morale; coraggiosa per quegli anni, anche se detta con molta ingenuità ed una approssimazione che le to glieva vigore, la denuncia del la « poca o nessuna pienezza e idea di vita » dei letterati; maturo il vigilante storicismo critico, oramai svincolato dal la tutela crociana; ampia e articolata la tavola degli inte ressi e valori letterari, non solo nella polemica antidan nunziana e antifuturista co mune con la Ronda, ma (in comune questa volta con Solaria) nella primaria valutazio ne dello Svevo, nonché dei nuovi grandi numi europei Proust, Gide e Joyce; sicuro e nuovo, infine, il gusto della scrittura, aristocratico e niti do e insieme aperto alla com plessità e ambiguità dello spi rito contemporaneo, testimo niato soprattutto dalla narra tiva « saggistica » dell’ Ema nuelli e del Piovene. E in definitiva, per riassu mere, quello della Libra fu un episodio tra i più interes santi di quel processo di ma turazione e ammodernamen to della consapevolezza cultu rale e civile della generazio ne che era nata alla lettera tura in tempo fascista, e che proprio nella coscienza criti ca dei valori letterari cerca va i primi segni di una libe razione.
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