LETTERATURA: I MAESTRI: L’orologio giapponese1 Maggio 2018 di Mosca C’è a Milano un orologiaio che a forza di viver nel tempo scandito dal ticchettìo simultaneo dei suoi mille orologi è come ne vivesse fuori, libero dal conto degli anni e dei secoli, orologi nuovi, vecchi ed antichi, quale lento, quale frettoloso, quale grave, quale arguto, quale aspro, quale dolce, come il sabato santo a Roma, quando si sciolgono le campane delle millecento chie se, ciascuna d’età e di suono diversi, ne risulta un ronzio come d’ali, un gigantesco in setto a cavallo del quale si può giungere nelle silenziose regio ni del tempo nel quale d’altro orologio l’uomo non dispone va se non della clessidra e della meridiana, le ore scorre vano come sabbia o s’allunga vano come ombre, e il monaco Rodolfo stupì tutti con la sua meridiana lunare che segnala le ore degli spettri e dei vam piri. Che età abbia, quest’orolo giaio, è impossibile stabilire. Può essere giovane, può esse re vecchio, ha mani lunghissi me, superate solo da quelle di Robert, il suo lavorante sviz zero, sempre insanguinate. Una Vanità di bronzo si guar da allo specchio, e sotto il quadrante è inciso: « Fugit irreparabile tempus ». Sotto un altro, « Memento homo », sotto un altro « Ruit hora » e la falce del Tempo accompa gna i secondi. « Chi li compra, questi orologi? ». « Sono ri cercatissimi. No, non da vec chi, ma da giovani che quanto più pieni di vita tanto più amoreggiano con la morte ». Un Don Chisciotte contro un mulino a vento le cui pale, nello spazio di un’ora, com piono un giro intero. Il negro, il cinese, l’acquaiolo napoleta no che ritto sul quadrante, sembra, pur con la mano por tata alla bocca per il festoso richiamo, un monumento fu nebre. La biga, la Morte, il tempietto, la panoplia, Arlec chino, i Re Magi, questi ultimi evocanti i grandi orologi mec canici delle cattedrali con i Mesi, gli Apostoli, i Segni del lo Zodiaco. * Ora vorrei chiedere se dopo le imprese di Armstrong e Conrad vi sia ancora chi com peri, come fossero misteriosi, gli orologi con le fasi della Luna, ma l’orologiaio è assor to, rapito, remoto. Inutile chiamarlo. Con la mano in sanguinata l’aiutante svizzero mi fa segno di non disturbar lo. « Tornerà ». « Dov’è anda to? ». Non si sa. Sentiremo il racconto al ritorno. E’ seduto in una poltrona di velluto ver de, porta in capo un cappello da viaggiatore, porge l’orec chio a una pendola inglese del ‘600, di legno tarlato. Sorride dello stesso piacere del bevitore che abbia fatto saltare il tappo di un’antichissima bot tiglia. Al ritorno, mi spiega. « Se anche il liquore si scolorisca fino a sembrare acqua appena tinta, la bottiglia conserva il fuoco e il sapore dell’attimo in cui venne sigillata. Nelle cantine del marchese Antinori ho bevuto cognac dell’anno in cui nacque Napoleone, co me un’acqua nella quale per un attimo fosse stato immerso un topazio, ma l’aroma e l’ar dore gli stessi, intatti, sembra va di respirare l’aria, di toc care la terra, di scaldarsi al sole di quel giorno. Un viaggio nel tempo che solo i buongu stai e gli orologiai si possono permettere. Questa pendola si fermò intorno al 1685, quando Newton stava scrivendo i ‘Philosophiae naturalis prin cipia mathematica’ e non venne più caricata. Giacque fino a due anni or sono, quan do la comprai da una vecchia ignorante, in un solaio di Grantham, nella contea di Lincoln. « Io alterno lo stappare an tiche bottiglie col ricaricare orologi fermi da tempo imme morabile, i quali, rimettendosi a battere, segnano non già le ore presenti, ma le trascorse che avrebbero dovuto segnare e non segnarono, risuscitando così tempi che credevamo per duti e sono invece ancora tutti da vivere, conservati nell’in terno d’una pendola di legno. Vuole venire con me? ». Mi fece posto al suo fianco, nel l’ampia poltrona. « Ascolti il battito ». Ci trovammo in un campo della contea di Lincoln, quasi tutto coltivato a prato, un’erba tenera e chiara, come d’aprile, si era invece nel cuore dell’autunno. Il prato, immenso, era sparso delle macchie scure di gruppi d’alberi, fra i quali un boschetto di meli. Si udiva il tonfo delle mele che cadevano. Ad uno seguì un grido. Corremmo. Isacco Newton si stava fregando il capo. Tre o quattro contadini lo attorniavano ridendo. « S’è fatto male? ». « No, grazie. Fortunatamente non m’ero tolto la parrucca. Solo un leggero stordimento. Ma in compenso… » e subito tacque, come temendo di ri velare cosa che doveva restar segreta. « Sappiamo, sappia mo ». Ci guardò stupito. Fug gimmo come ragazzi, senza curarci dei ruscelli che attraversavano il prato. Tornammo in bottega ba gnati fradici, pieni ancora gli occhi di tutto quel verde, e sentimmo il canto del gallo, vicinissimo, così da farci con fondere la bottega col prato e il gallo agitava le ali e cer cava di liberarsi dalla stretta delle mani ferme di Robert, l’aiutante svizzero. Di là dal bancone era, in attesa, un vec chio dall’aspetto di contadino. « Vengono dalla campagna, pur in questa ch’è la più bella e più importante via di Mila no, a far riparare i galli gua sti » mi sussurrò all’orecchio l’orologiaio. « Perciò quelle mani insanguinate? ». « Appunto ». * Il contadino aspettava tran quillo, sicuro d’aver affidato il gallo in buone mani. Non v’è mai occorso, stando in cam pagna, di sentire un gallo can tare, anziché all’alba precisa, verso le due del mattino, verso le dieci? Nel primo caso anticipa, nel secondo ritarda. I contadini, ingannati, s’alza no o troppo presto o troppo tardi, e recandosi al lavoro ad ore sbagliate compromettono il raccolto. Non c’è che pren dere il gallo e farlo riparare dall’aiutante svizzero, l’unico al mondo capace di queste operazioni. I galli sono come orologi. Hanno nell’interno meccanismi delicatissimi, rotelline di metallo pregiato e pietre dure. La lente incastrata nell’oc chio, Robert frugò nella feri ta con un paio di sottilissime pinze, si udì un clic, « Ecco fatto, domani mattina an drà bene. S’era inceppata la molla ». La bottega ha una porta che, aprendosi, fa suo nare un carillon. « Ruit hora ». Entrò un bambino con una rondine. Le rondini, com’è no to, allorché il tempo si mette al brutto s’abbassano fino qua si a radere il suolo, e qualche volta lo radono davvero fe rendosi il petto. Questa che il bambino recava nelle mani messe a nido, o perché si fos se ferito il petto, o per altro motivo, s’era guastata, e vola va basso allorché il tempo si metteva al bello. Il meccanismo delle rondi ni è molto più delicato che non quello dei galli, e la fe rita, se non si è bravissimi, può riuscire mortale. Robert operò con un bisturi quasi invisibile, buono solo per ron dini. L’uccello stava immobi le, fiducioso. Il bambino guar dava la Vanità che si mira allo specchio, il Vecchio che agita la falce e un orologio giapponese nel quale il giorno e la notte sono divisi ciascuno in sei parti che continuamen te, per il variare delle stagio ni, bisogna qui restringere, là dilatare. Le pinze di Robert estrassero il bilanciere, che nelle rondini è d’oro. Rotto. Da cambiare. Il bambino, che aveva già indovinato il segre to, girava il perno dell’orolo gio giapponese per allungarne il giorno, come bisogna fare ogni mattina a partire dal ventidue di dicembre. Nel passi vo dell’orologiaio figurano tre milioni l’anno per bilancieri di rondini. Robert introdusse quello nuovo, la rondine che pareva spenta si rianimò, me l’accostò all’orecchio, sentii il tictac. « Tieni, s’abbassa di nuovo al momento giusto, quando sull’asfalto stanno per cadere le prime grosse gocce ». Il bambino, pur felice, fati cava a staccarsi dall’orologio giapponese, del quale, girando e rigirando il perno, aveva an ticipato la primavera, e si go deva, così, di pieno inverno, un suo meraviglioso sole di marzo, del quale noi non sen tivamo il calore, ma lo splen dore aveva invaso la bottega, Don Chisciotte, muovendo all’assalto del mulino a vento, pareva d’oro.
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