LETTERATURA: I MAESTRI: Marinetti rientra dalla Comune17 Dicembre 2015 di Enrico Falqui Sia lecita qualche domanda. Ma più stupita che dubita tiva, trattandosi di un caso, se accertato, abbastanza singolare. Sul serio, a Parigi, an tica roccaforte di tutte le avan guardie anche se ormai ne è l’ultimo baluardo, c’è una forte ripresa d’interessamento per il Futurismo? E si tratta realmen te della ripresa di un interessa mento che c’era già stato? Quan do? Tra i molti Paesi d’Europa dove il Futurismo diede la stura a movimenti d’avanguardia analo ghi e omonimi, proprio la Fran cia è quello dove nulla di simi le si verificò, poiché salde avan guardie di marca propria aveva da distribuirla a chiunque le gradisse, e con timbri così a fuoco da non cancellarsene più il segno di provenienza. Occorre ridocumentarlo? Non crediamo, tant’è a buona conoscenza di tut ti. Ma dunque neppure crediamo all’odierna effettiva riscoperta del Futurismo da parte degli in tellettuali francesi, in contrasto alla garanzia che ne vien data dalle nostre gazzette? Già, ma sulla scorta di quali fatti, di qua li testi? I tanti movimenti avanguardistici in turbinosa e forsennata voga da un continente al l’altro, avrebbero indotto i Fran cesi a una specie di esame di co scienza, al termine del quale sa rebbero stati presi quasi da ri morso? Sono tutte domande che deb bono avere echeggiato nello sto rico studiolo del direttore del l’istituto italiano di cultura in rue de Varenne a Parigi, il pro fessore Edgardo Giorgi-Alberti, sino a farlo rintronare. Come uno squillo. E per dimostrare d’aver buon udito e di stare al l’erta, egli si è fatto promotore di una di quelle cosiddette « ta vole rotonde » attorno alle quali differenti interlocutori dibattono un problema, una questione, un argomento di contrastata e con trastante attualità, se non al fi ne di scioglierlo ed eliminarlo, almeno di chiarirne i termini. E nel nostro caso si trattava ap punto degli eventuali influssi esercitati in Francia dal Futuri smo. Tema delicato e spinoso, a introduzione del quale fu posta una nostra relazione, intesa a fa re il punto sullo stato presente degli studi e degli accertamenti sul Futurismo, ritenendo per fermo che, a circa sessant’anni dalla sua apparizione, se ne pos sa ormai tranquillamente discu tere in sede storica. Il primo Manifesto del Futu rismo fu infatti lanciato da Ma rinetti, col suo tipico linguaggio reboante e provocante, il 20 feb braio 1909, in Parigi, dalla pri ma pagina del Figaro. E da allo ra il lancio dei Manifesti non eb be più tregua, in tutte le direzio ni (terra, cielo, mare), contro le biblioteche e contro le gallerie, in casa e in campo, per la pittu ra e per la scultura, contro la luna e contro la sintassi, nel tea tro e nel varietà, per l’architet tura e per la musica. Ma non tutti i Manifesti ebbero la foga ed esercitarono l’attrattiva dei primi. Dopo il primo, che fu il segnale d’attacco per la batta glia contro il passatismo e l’ac cademismo, gli altri presero a rincorrersi e ad accavallarsi per anni ed anni; sennonché dall’in venzione e dall’impeto dei primi, che, oltre a quella immancabile di Marinetti, recarono la firma dei Balla, dei Boccioni, dei Carrà, dei Palazzeschi, dei Pratella, dei Russolo, dei Sant’Elia, dei Severini; dall’insorgenza e defla grazione dei primi si passò alla produzione e allo sfruttamento in serie dei successivi ch’ebbero esaurimento, più che termine, nel ’43, con quello dell’« aeropit tura maringuerra ». Predisposta, pertanto, la no stra riassuntiva relazione come il punto di partenza degli « interventi » francesi in merito agli influssi esercitati dal Futurismo sulla letteratura, sulle arti e sul teatro di Francia, furono pre scelti, per dibatterli, tre esperti. Primo: Michel Decaudin dell’Università di Tolosa, noto per il saggio sulla Crisi dei valori simbolisti, studiata nella poesia francese del ventennio dal 1895 al 1914 ( Privat, Tolosa, 1960), e raccomandato soprattutto per l’introduzione e le note e insom ma per l’intera cura delle Oeuvres complètes de Guillaume Apollinaire nei quattro magnifi ci volumi dell’edizione Ballard- Lecat (Parigi, 1965-1967). Secon do: René Jullian dell’Università di Parigi, autore del saggio so pra Il Futurismo e la pittura italiana (Société d’Éditions de l’Enseignement supérieur, Pari gi, 1966), ricavato dal corso tenuto nell’istituto d’Arte e Archeologia presso la Sorbona. Ter zo: Nicolas Bataille, attore e re gista d’una quindicina di comme die sintetiche futuriste, presen tate ultimamente con successo a Parigi, per il divertimento che offrono al pubblico, come uno spettacolo dopo teatrale spregiu dicato e ridanciano, ma non mol to diverse, a dire il vero, dalle non meno sincopate e micidiali commedie in due battute, distil late più tardi da Achille Campa nile e forsennatamente servite da Anton Giulio Bragaglia agli impavidi frequentatori delle grot te di via degli Avignonesi in Ro ma. Ma un dibattito ha bisogno anche di un moderatore, per evi tare che le varie tesi si scontri no violentemente: e dell’incari co fu gravato Bruno Romani, che ha in corso un saggio pro prio sui periodo Dal Simbolismo al Futurismo. Si presupponeva, dunque, che ognuno avesse qual che sua particolare tesi da pro pugnare e che dal loro interse carsi e contrapporsi fosse per derivare un contributo di lucidativo sulla faccenda del dare e avere, tra Italia e Francia, in rapporto al Futurismo. Non per nulla le «tavole rotonde » si con figurano come tornei all’arma bianca. Così stando le cose noi demmo inizio alla nostra relazione, un po’ meravigliati che un’occasio ne come quella delle sintesi tea trali si fosse prestata ad essere illustrata in patria come un sen sazionale rilancio del Futurismo. In realtà si doveva piuttosto te ner conto del riesame al quale è stata sottoposta l’arte futuri sta come iconoclastico antece dente avanguardistico degli in numerevoli « ismi » furoreggianti: riesame seguito dalla ricer ca e dalla rivalutazione delle opere, da parte così di collezio nisti privati come di pubbliche Gallerie. E siccome anche il Da daismo sta godendo un quarto d’ora di reviviscenza, dovuto ai massacri e agli sfaceli circostan ti, chi sa che qualche spinta per accelerare i giri della « tavola rotonda » non sia pure da attri buire al recente saggio di José Pierre su Futurismo e Dadai smo. FUROREGGIANO GLI ISMI In sostanza avvertimmo che, a parer nostro, solo in sede do cumentaria può, criticamente, farsi posto alla « poesia futuri sta », anzi, per essere precisi, al la « produzione in verso » di al cuni disparatissimi autori che, più o meno a lungo, si trovaro no. per un complesso di differen ti ma convergenti circostanze, a militare sotto la stessa lampeg giante bandiera del Futurismo, pur marciando ciascuno verso un proprio miraggio, rimasto per molti ingannevole. Del re sto a quale altro fine, se non documentario, ne fu già ripor tato qualche esempio nelle anto logie dei Poeti d’oggi (1919) di Papini e Pancrazi e della Lirica del Novecento (1943) di Anceschi e Antonielli e fin nella cinquan tenaria commemorativa Piccola antologia dei Poeti futuristi di Scheiwiller (I960)? Eppure â— aggiungemmo â— appunto del Futurismo, così ferocemente an titradizionale e tuttavia così irri mediabilmente decadente, si potrebbe asserire che quasi giovò al mantenimento e al progres so della nostra stessa Tradizio ne la quale per resistere e so pravvivere necessita d’essere di continuo sopravanzata e rinno vata. E ciò spiega perché intor no al Futurismo siano stati for mulati, e permangano validi, giudizi favorevoli e quasi grati da parte di autori che senza quell’esempio antiaccademico e antitradizionalistico, senza l’au torizzazione di quella provoca zione non sarebbero riusciti ad esprimere con franchezza la pro pria « novità ». Valgano, a convalida, tre testi monianze italiane. Quella di Pa lazzeschi, quando si domandò; « Come mai dei giovani che non si conoscevano, che mai prima di allora erano venuti in contat to fra loro, nel 1909 risposero a quella misteriosa quasi incom prensibile parola e si trovarono spontaneamente, senza calcolo alcuno, riuniti come intorno a una bandiera? ». Risposta: « Il Futurismo attrasse e raccolse tutti quelli che fino dagli albori del secolo in Italia praticavano il verso libero. Il Futurismo con sacrò il verso libero col quale sorsero nuove forme di poesia. « Poesia prosastica »: gridarono i negatori di professione; « non poesia »: senza valutare l’ele mento rivoluzionario, demolito re, del movimento stesso: sen za valutare che era proprio in quella prosa la linfa di nuove espressioni poetiche. Per modo che nel 1909 il Futurismo, anche nella poesia, rappresentò lo squil lo di tromba del nostro secolo ». Fu come un segnale di riscossa: al quale ognuno degli artisti più vivi si alzò, accorse e prese a combattere; ma in nome di una libertà ch’era buona per tutti e che a tutti avrebbe giovato, co me difatti giovò, anche a quelli che, pur continuando nel pro prio lavoro e nella propria espe rienza, si trovarono a disporre di una maggiore indipendenza. L’idea in comune per la quale combatterono fu unicamente quella della libertà. Seconda testimonianza è quel la di Carrà, nelle sue Memorie: « Allo squillo della tromba futu rista accorsero giovani artisti e letterati d’ogni parte d’Italia… Non ci importava sapere dove si volesse andare; ci bastava il for te desiderio di fare del nuovo ». Più che un programma, fu una aspirazione. « Aggiornare l’Ita lia ai sensi della modernità in arte era il nostro primo scopo e ciò può dirsi sia stato raggiunto nel limite del possibile, se consi deriamo che l’arte non è per sua natura un fenomeno facilmente divulgatole. Grazie al Futurismo l’arte moderna cessò di essere da noi un amore clandestino, una reazione contro l’accademismo e divenne un problema naziona le ». D’accordo: ma se ciò era vero presso di noi, ben diversa- niente stavano le cose in Fran cia, dove la fede dell’arte moder na vantava già i suoi Santi e i suoi combattenti. Con non minore convincimen to, ma sempre nel delimitato rapporto concernente l’Italia, Bontempelli (nel quarto quader no della rivista 900, giusto nel l’estate del ”27) professò « gran de ammirazione per il Futurismo. che nettamente e senza ri guardo ha tagliato i ponti tra Ot tocento e Novecento. Senza i suoi principii e le sue audacie, lo spi rito del vecchio secolo, che pro lungò la propria agonia fino al lo scoppio della guerra, ancora oggi ci ingombrerebbe: nessuno di noi Novecentisti, se non fos se passato attraverso le persua sioni e le passioni del Futuri smo, potrebbe oggi dire le paro le che aprono il nuovo secolo ». In effetto tali parole rinnovatri ci erano già state pronunziate nella Voce e in Lacerba. Ma quanto, siamo sinceri, non vi aveva contribuito l’esempio glo rioso della Francia? Ma eccoci alle testimonianze straniere. Per quanto abbia bi sogno di essere approfondita e precisata, non può essere sottovalutata quella di un Ezra Pound, secondo la quale « Mari netti e il Futurismo hanno dato una gran spinta a tutta la lette ratura europea », al punto che il movimento da lui e Joyce ed Eliot e altri iniziato a Londra « non sarebbe stato senza il Fu turismo ». E, come in Inghilter ra, neanche altrove? « E’ fuori d’Italia », rincalzò Crémieux, « che il Futurismo ha avuto il massimo d’influenza ». Per con tro, è presso di noi che le cose procedettero diversamente: con più cautela e ironia. Non perché l’Italia fosse prigioniera di una vetusta tradizione aulica; bensì perché, senza disconoscere al Futurismo la sua forza dirom pente, i Futuristi â— secondo os servò Ungaretti â— « in un cer to senso avrebbero potuto non ingannarsi se non avessero rivol to tutta la loro attenzione ai mezzi forniti all’uomo dal suo progresso scientifico, anzi che al la coscienza dell’uomo, che quei mezzi avrebbe dovuto moral mente dominare ». Ecco il punto essenziale di un equilibrato giudizio’sulla poetica e sulla poesia del Futurismo. E fu giusto richiamo, oggi troppo dimenticato o ignorato, a cor rettivo di quanto, in, precedenza, aveva ammesso lo stesso Papini: « Ci fu in tutti noi come una grande ubriacatura di vita e una grande ansia di svecchiamento, di liberazione. Anche in noi me desimi il Futurismo ebbe effetti benefici, rinforzando le nostre antiche insofferenze e aiutando ci ad accelerare il nostro cam mino verso un’arte più spregiu dicata e coraggiosa ». Un’arte, dunque, che avrebbe respinto e ripudiato quanto di formale e di esteriore e di nuovamente sco lastico e di assurdamente acca demico s’era insinuato e avrebbe finito per predominare nel dog matismo letterario futurista; laddove più effettiva e più so stanziale e realmente rinnovatri ce era la libertà ambita: una li bertà che avrebbe dovuto « ini ziare un periodo culturale e creativo assolutamente distinto dai precedenti, sebbene ad essi intimamente collegato, come vuole la necessità storica di ogni sviluppo culturale », « poiché non si dà arte o pensiero che non sia una propaggine sublimata di un’arte o di un pensiero anterio ri ». Sennonché il Marinettismo rimase fenomeno isolato: e co me non tutto il Futurismo si esaurì nel Marinettismo, così non tutto il Marinettismo si identificò col Futurismo. Tre periodi sono, per altro, da riconoscere nello svolgimento poetico futurista. Il primo, dal 1905 al 1915, corrisponde a quel lo del « Verso libero ». Il secon do, dal 1914 al 1919, corrisponde a quello delle « Parole in liber tà ». Il terzo, dal 1919 in poi, cor risponde a quello dell’« Aero-poesia ». Anno più anno meno, sia che si cominci dall’Inchiesta sul verso libero, bandita dalla marinettiana rivista milanese Poesia nel 1900, sia che si cominci dalla pubblicazione del Manifesto sul Futurismo nel 1909: anno avanti anno indietro, i tre periodi del Futurismo furono quelli e mai esistette tra loro una distinzione così netta da far escludere che l’uno si prolungasse e si ricolle gasse con l’altro. E se in una trattazione critica ci si deve fer mare ai primi due come ai più « eroici », è anche perché nel Fu turismo si riconosce ormai quel certo « movimento » che, volen do salvare le proprie aspirazioni di rinnovamento spirituale e quindi le proprie esigenze di rivolgimento poetico, si trovò a combattere le più rivoluzionarie battaglie, un po’ vincendole e un po’ perdendole,, sotto l’insegna del « Verso libero » e delle « Pa role in libertà ». E appunto quel lo fu il Futurismo, la cui prima ria lezione d’ardimento, in fa vore dell’originalità e in difesa della libertà nell’arte, è conside rata valida ancora oggi, astrazion fatta dalle forme cui s’affi dò e dai modi in cui s’attuò. A trarne giovamento furono in molti. Il vantaggio â— sia chia ro â— consistette nella maggiore indipendenza e franchezza di cui molti si trovarono a fruire, dopo averla ritrovata e respira ta nell’aria, grazie ai Futuristi. Quella che, con termine impro prio, potrebbe chiamarsi la loro « lezione », servì, allora, di esem pio ad altri autori, sollecitandoli verso nuove forme espressive. Ma fra questi autori ci furono anche dei Francesi? Gli apologeti riconoscono che il « fatto nuovo », provocato e imposto nell’arte, non soltanto italiana, da Marinetti e dal Fu turismo, « avvenne dal 1905 al 1913 ». E ritengono che, oltre ai vari Futurismi, ne siano deriva ti, poco o molto, tutti gli altri Futurismi, lungo una sfilza che andrebbe dall’Imaginismo ame ricano e dal Raggismo russo all’Ultraismo spagnolo, dal Verti cismo tedesco all’Orfismo fran cese. Anche la Francia, perciò, deve qualcosa al Futurismo? Quando toccò ai tre esperti di dir la loro, nessuno dei tre poté né escluderlo né ammetterlo del tutto, dato il groviglio di rap porti che tenne avvinti i movi menti d’avanguardia più speri colata in una reciproca compen sazione d’incontri e scontri, di debiti e crediti, di vittorie e di sconfitte. D’altro canto non si può non ammettere importanza â— come ha ricordato il Decaudin â— al fatto che Marinetti, nato ad Ales sandria d’Egitto, visse e studiò e lavorò per molti anni in Fran cia, e in francese scrisse e stam pò e portò al successo molte sue opere (le tre prime raccolte poe tiche: La conquíªte des Étoiles nel 1902, Destruction nel 1904, La ville charnelle nel 1908; il poema drammatico La momie sanglante nel 1904; la tragedia satirica Le roi Bombance nel 1905; il dramma Poupées electriques nel 1909; i due romanzi Mafarka le Futuriste, in versi, nel 1910 e Le monoplan du Pa pe, in versi, nel 1912; l’esaltan te relazione su La bataille de Tripoli nel 1911), e quando si trattò di sbandierare il primo gran Manifesto lo fece, nel 1909, dall’alto delle colonne di prima pagina del Figaro. Talché si re sta incerti â— concluse il Decau din â— se con Marinetti non ci si trovi piuttosto di fronte a un poeta italo-francese. Il quale, plausibilmente, e prese e diede, ma non in maniera né in misu ra, nella ribollente e rigurgitan te Parigi di allora, da dover ri nunziare a una delle due nazio nalità per assumere l’altra. Resta il fatto che l’imprimatur gli fu rilasciato a Parigi dai Francesi, come di dovere. Ma re sta altresì provato che, forte di esso, il Futurismo fece proseliti in patria e non all’estero o, per lo meno, non in Francia, dove di. sovvertitori e di rivoluzionari ce n’erano a spreco e già in pro cinto di diventare gloriosi. Inol tre di Marinetti non dovette, personalmente, garbare l’irruen za altezzosa e certe pose reclamistiche quasi in concorrenza con le locali, forse altrettanto smargiasse ma più autorizza te sia dai precedenti storici sia dai risultati artistici. Si com prende come dovette invece far colpo nella provinciale Italia di allora. In Francia arrivò « trop po tardi o troppo presto » : trop po tardi perché Parigi era gon fia e stufa di manifesti e di mo vimenti avanguardistici, troppo presto perché solo al sopraggiun gere della prima grande guerra si assistette, bandiera alla fine stra, al loro rifiorire. E il Decau din ha finito con l’ammettere che in Francia lo sciovinismo oppone sempre una certa resi stenza, mista di gelosia e diffi denza, nel riconoscere e accoglie re i movimenti artistico-letterari stranieri, salvo a metterli sot to l’ègida della propria concla mata superiorità assoluta. Anche l’accostamento di Apollinaire agli Italiani, ma in particolare a quelli della Voce, non fu più una scelta di simpatia che un’adesione di gruppo? Più un omaggio all’amicizia per Soffici che una concordanza con Mari netti? Né i riconoscimenti elar giti al Futurismo pittorico, quali sono rintracciabili nelle sue av veniristiche Chroniques d’art dal 1902 al 1918 (Gallimard, Pa rigi, 1960), risultano soverchia mente laudativi e fiduciosi e pronti e disposti ad anteporre la pittura futurista alla cubista. BOCCIONI VA A PARIGI Al riguardo Jullian ha ripreso e valorizzato l’episodio raccon tato da Gino Severini, secondo il quale fu lui ad avvertire Boc cioni che se i Futuristi si fosse ro presentati a Parigi senza pri ma aver visto e assimilato e rie laborato quel che allora si face va a Parigi da parte dei Cubi sti, la progettata esposizione si sarebbe risolta in un gran fia sco ; talché, forte del consiglio, Boccioni, venne, vide, studiò spe cialmente Braque, tornò, riferì e quando poi ridiscese in gruppo, nel ’12, riuscì ad accaparrarsi una discreta attenzione, anche se non mise il campo a rumo re, perché allora Parigi era già tutta una battaglia, in mezzo al la quale i Futuristi non erano certo quelli che, pur sparando forte, coglievano più nel segno. Ciò non toglie che il Gruppo Puteaux, e specialmente Delaunay, strinse qualche fruttuoso lega me con il Gruppo dei nostri Fu turisti, come un giorno o l’altro bisognerà accingersi a documen tare, prima che le testimonianze diventino troppo rare. Un po’ togliendo e un po’ re stituendo, i due cattedratici si sono insomma studiati di rima nere nel giusto. Chi invece ha gridato al miracolo è stato l’at tore e regista Bataille. Ma con quanta rispondenza alla reale portata artistica del successo ot tenuto dalle sintesi teatrali? Os sia: quanto un simile successo basta a garantire un’autentica ripresa d’interesse verso il Futu rismo? Non si rischia di cadere nell’equivoco di scambiare un divertimento, che ha molto del passatempo scherzoso, per una revisione e rivalutazione strettamente critica? Da parte nostra non mancam mo di far presente che solo sot to l’aspetto letterario, se ben cir coscritto storicamente e criti camente, può asserirsi che non tanto la lezione delle opere fu turiste, quanto l’esempio della loro ribellione è ancora in gra do di risultare utile a chi sappia riprenderlo e riadeguarlo alle reali serie esigenze presenti. Senza un po’ di « futurismo » â— o come altrimenti si debbano chiamare l’insoddisfazione e la rivolta contro il vecchio, l’aneli to e l’urgenza verso il nuovo â— non si fa né si dà arte originale. E’ regola che non sopporta ecce zione. Ogni vero artista, in quan to tale, sta all’avanguardia (e nel contempo si mantiene colle gato alla tradizione). Dall’ecatombe del Futurismo spuntarono germogli che dove vano più tardi dar bei frutti. In tutt’altre zone che non in quelle del Futurismo. Magari nel Not turno di D’Annunzio. Ma qui si riaprirebbe il problema dell’an tichità del Futurismo, già affron tato da Papini. Senza farsi trop po indietro, i Francesi di ieri, per bocca di Thibaudet, asseriro no, fra l’altro, che « la “parola in libertà” corrisponde senza dubbio all’ “avventura poetica” », e alla fine non è che la conse guenza della poesia in libertà, dei Cinque del 1870 (Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Lautréa- mont, Corbière) e del verso in libertà dei Versilibristi simboli sti ». In compenso, Gustavo Kahn, nella prefazione all’Anthologie mondiale, aveva assicurato Ma rinetti che la sua gloria sarebbe stata grande perché era stato lui, « sempre, il punto centrale e l’esecutore di tante ricerche di novità e di libertà ». Ma chiame remo « parole in libertà » anche quelle elaborate e fissate da Mal larmé? Delle sue pagine del Dè mone dell’analogia faremo un Manifesto? O piuttosto ricorderemo che, salvo errore, la prima tra duzione italiana delle poesie e delle prose di Mallarmé, o una delle primissime nostre, reca la firma di Marinetti e risale al 1916? Convocati intorno a una tavo la rotonda per discutere gli even tuali influssi esercitati dal Futu rismo in Francia, ci siamo dovu ti anche ricordare che la trage dia satirica marinettiana in quattro atti, Roi Bombance, fu scritta in francese, pubblicata nel Mercure de France dell’esta te 1905, rappresentata a Parigi nel 1909 al « Théàtre de l’Oeuvre » e ispirata alla farsa di Roi Ubu, che solo a sessant’anni dal rifacimento di Alfred Jarry sem bra aver trovato un suo pubbli co. Come non diversamente, del resto, sta accadendo adesso in Parigi a Roi Bombance. L’acre ribellione nichilistica di cui Ma rinetti si fece portabandiera più di mezzo secolo fa, ha il privile gio di risultare attuale, con tut to quanto si tira appresso di rabelaisiano e di prefuturista. « E’ la caricatura del Passatismo »: affermò Flora. E il pubblico del l’era atomica applaude. Letto 1368 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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