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LETTERATURA: I MAESTRI: Messer Ludovico il narratore

24 Marzo 2012

di Giorgio Petrocchi
[da “La Fiera Letteraria”, numero 6, giovedì 9 febbraio 1967]

Alla preparazione d’una raccol ­ta di saggi sull’Ariosto, oggi comparsa nella collana «Saggi di varia Umanità » (fondata da Francesco Flora per l’editore Nistri-Lischi di Pisa, ripresa in nuo ­va serie e con innovante rigore da Lanfranco Caretti), il filologo ro ­manzo Cesare Segre è giunto dopo una lunghissima attività critica, storica e testuale (Cesare Segre, Esperienze ariostesche, Pisa 1966, pagg. 189). Poco meno quarantenne, ma già uno dei nostri docenti uni ­versitari più autorevoli nel campo delle letterature neolatine, il Se ­gre pubblicò nel 1954 un’edizione delle Opere minori dell’Ariosto e un’impeccabile ricerca sui Cinque canti, poi, nel 1960, pose termine al lavoro d edizione critica dell’Orlando Furioso, iniziato tanti anni prima da Santone Debenedetti. E qui sta il segreto del lungo tiroci ­nio, ché il Segre, nipote e allievo del Debenedetti, si può dire abbia mosso i primi passi nel campo del ­la filologia ancora studente liceale, all’ombra del grande romanista to ­rinese, in una « officina » ariostesca fumigante di apparati di mano ­scritti e stampe dell’Orlando Furio ­so, da quando il Debenedetti era passato dall’edizione laterziana del capolavoro ariostesco (1928, l’an ­no di nascita di Cesare!) al vero e proprio lavoro di testo critico. Quale sia il problema filologico del Furioso, come sia stato impostato dal Debenedetti e in parte esegui ­to, infine recato a compimento dal Segre, è cosa che non può essere riferita in poche righe; ma è in ­dubitato che la moderna scaltrez ­za tecnica e linguistica del Segre s’è fusa totalmente con l’acribia e la capillare dottrina del Maestrozio, e ora noi abbiamo, con quella del Furioso, una delle poche edi ­zioni critiche veramente sicure del ­la nostra letteratura. Il cursus ho ­norum di Segre ha conosciuto inol ­tre l’incontro con un linguista co ­me il Terracini e un critico come il Neri, infine con Gianfranco Con ­tini, da cui e verso cui corrono le più numerose e importanti linee di ricerca filologica e linguistica che oggi si svolgono in Italia, sì che il Segre s’è trovato naturaliter a di ­scutere, a presentare e risolvere questioni tra Se più delicate e con ­troverse della romanistica.

Ma la rilettura dei saggi ariosteschi del Segre invita oggi piutto ­sto a un ripensamento di talune posizioni della critica contempora ­nea circa il Furioso, ove si guardi soprattutto alla sezione più squi ­sitamente letteraria del libro, e cioè ai saggi su La poesia dell’Ario ­sto e sulla Storia interna dell’Or ­lando Furioso, accanto a quelli del reparto storico-culturale, massime la ricerca nuova e stimolante su La biblioteca dell’Ariosto e sui cal ­chi danteschi del linguaggio ariostesco (Un repertorio linguistico e stilistico dell’Ariosto: la Comme ­dia); sono passi obbligati per riu ­scire a penetrare nella formazione culturale e stilistica del Furioso, stante il notevolissimo apporto che può venire, per la soluzione dell’in ­chiesta, dalla minuziosa conoscen ­za che il Segre possiede degli svi ­luppi di stesura del poema, al fine di concludere sul carattere soven ­te scherzoso dei riecheggiamenti danteschi, i quali peraltro man ­tengono intatta « la loro origina ­ria struttura ritmica e sintattica ». E’ infatti dello stile ariostesco uti ­lizzare le fonti come elementi di un accordo « musicale » tra i mem ­bri componenti del verso o dell’ot ­tava, una sorta di utilizzazione me ­lodica secondo il tono medio del ­l’endecasillabo. Merito ulteriore del Segre è d’aver saputo valorizzare lo   stile delle opere minori ai fine di sensibilissimi ricuperi verbali e ritmici, soprattutto dei Cinque Can ­ti, la cui struttura letteraria ha meritato un ampio indugio critico per comprendere quel trapasso o forse appena quella lieve mutazio ­ne di gusto che fu nell’Ariosto vi ­cino alla sessantina e che farebbe presagire verso quale forma di i vita s’andasse orientando il suo spirito, il « tono austero e come in ­vernale », gravante su tutte le ot ­tave dei Cinque canti, in quanto ri ­velatore, senza dubbio, di stanchez ­za e di scarsa vivacità inventiva, ma anche di un cambiamento profondo che si andava operando nel ­la società estense e nella vita ita ­liana. Alla gioia scintillante si so ­stituiva una nota di sottile inquie ­tudine. tutta interiore e raccolta; al senso dell’avventura ariosa l’in ­cubo dell’intrigo e del sospetto: al ­l’orizzonte sterminato del Furioso se non meschini certo ristretti li ­miti ambientali.

Nell’ambito più propriamente re ­lativo al Furioso assai importante è la ricostruzione che il Segre com ­pie del lavorio formale dell’Ario- sto. colto attraverso l’analisi delle tre redazioni e realizzato nell’assi ­duo impegno « di conformare a un ideale di perfezione intesa come elezione di vocaboli, come callidità di iuncturae e come armonia di rapporti e richiami verbali (idea ­le in cui si congiungevano e si com ­pletavano l’educazione classicistica e i paradigmi petrarchistici) un materiale narrativo legato a una tradizione di stile popolaresco, di ibridismo linguistico, di sintassi im ­pressionistica e paratattica. Il si ­stema dei mezzi espressivi fu per ­tanto completamente mutato dal- l’Ariosto. Egli si mise alla testa del ­la corrente che mirava all’afferma ­zione del toscano letterario come lingua nazionale, e sostituì alla Koinè padana dell’innamorato (to ­scano screziato di emilianismi e la ­tinismi) un linguaggio molto più omogeneo e filtrato. Il blocco degli affluenti idiomatici esterni veniva poi compensato dalla scoperta dei più riposti valori espressivi negli alti esemplari letterari toscani: dal ­l’opera di Dante, del Petrarca e del Boccaccio a quella del Poliziano; nello stesso modo che il ricorso al latino, messa fine all’anarchia uma ­nistica, veniva guidato da un felice istinto nell’individuare i vocaboli che meglio potessero amalgamar ­si con l’impasto linguistico del poema. Questa omogeneità, nella qua ­le ben s’incastonava il termine ele ­gante o s’innestava l’espressione fa ­miliare (col variare giocondo dei toni da parte del narratore) veni ­va avviata nel tempo narrativo da quello strumento agilissimo nella sua complessità, solido nella sua varietà, ch’è la famosa « ottava d oro », frutto d’un’incantevole al ­leanza di sintassi e di musica ».

Il Segre ha pagine davvero ec ­cellenti e nuove, in scrittura chiara e ferma, nell’individuazione del ­le costanti di riecheggiamento clas ­sico e umanistico entro l’inventiva ariostesca e, in pari momento, nel ­lo sceveramento critico, sottile e suggestivo, delle doti di reinvenzio ­ne espressiva, di riadattamento lin ­guistico e di ripresentazione, in ve ­ste narrativa assolutamente origi ­nale, dei personaggi maggiori e mi ­nori dell’epica medievale. Tali som ­me doti ariostesche nascono dal vi ­vissimo senso della realtà e, all’at ­to stesso di esprimerla, dal gusto dell’evocazione patetica e della trasfigurazione figurativa. Donde il perfetto equilibrio tra liricità, pur intesa in senso né decorativo né « intimistico » o « psicologistico » e l’energia narrativa di Messer Lu ­dovico, e in siffatto equilibrio il sommuoversi d’una materia uma ­na pacata, serena, rifuggente da eccessi, ma nemmeno scevra da problemi di spirito e da misurata moralità.


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Bart