LETTERATURA: I MAESTRI: Morte di Alfeo15 Maggio 2018 di Mosca Nulla mi sembra più naturale che il declinare degli stu di classici, e nulla più meri tevole di tenera ironia che la patetica figura del superstite professore di latino che in questo nostro tempo contrad distinto dall’avvelenamento dell’atmosfera e dall’inquina mento delle acque se ne vien fuori, candido, con la sua bra va ode d’Orazio, quella che cominciando col più bel ver so del mondo O fons Bandusiae splendìdior vitro e termi nando, o fonte, col sasso un de loquaces – lymphae desiliunt tuae, rievoca purezze e trasparenze delle quali l’uomo d’oggi, per non provare il do lore del rimpianto, cerca di perdere la memoria. Un mondo forse mai esi stito, invenzione di poeti, in cui continua a credere soltan to il professore di latino, il quale vecchio, e perciò tor nato fanciullo, ripete le favole apprese sui banchi d’una scuo la che non c’è più, dove, ri cordate?, il Virgilio delle « Georgiche » non aveva bisogno â— per esprimere la leti zia del tralcio di vite che, cre scendo, si drizza nell’aria pu ra â— di dire per aerem purum. No. Bastava per purum, si capiva subito ch’era l’aria. Vi sono luoghi ancora do ve questo purum si possa re spirare? Il professore dice di sì, d’aver scovato una campa gna lontana dalle strade bat tute dalle automobili, cui s’ar riva con l’ultima diligenza ri masta in piedi, dove, col Pe trarca, si può dire l’aura soa ve, l’aura celeste, l’aura sere na, l’aura gentil, e, giunti al dilettoso fiume, esclamare ra piti chiare, fresche, e dolci acque!, ed ascoltare in estasi il mormorar dei liquidi cri stalli – giù per lucidi, freschi rivi, e snelli. Non è la stessa voce delle lymphae d’Orazio che, loquaces, desiliunt? E’ una bugia del professore. In alto, sopra quella cam pagna, c’è una conceria. Se Laura commettesse l’impru denza di porre le membra in quelle acque, ne uscirebbe in delebilmente colorata di rosso, di giallo e di verde, e il « Can zoniere » anziché avere due centosette sonetti in vita e no vanta in morte di madonna Laura ne avrebbe novanta in vita e duecentosette in morte a causa dell’anticipato decesso dell’angelica donna avvelena ta dalle sostanze chimiche in quinanti il fiume e da quelle ammorbanti l’aere sacro, se reno. Non vede, professore, che tutto crolla? Anche Fedro, anche la favola del lupo e del l’agnello. Agli studenti della scuola media unica che ab biano avuto la cattiva idea di optare per il latino come rac contare, senza farli scoppiare dalle risate, che superior stabat lupus, longeque inferior agnus, eppure il primo, pre potente, accusava il secondo d’intorbidargli l’acqua? Non prepotente, ma cretino. Con queste nostre acque inquinate dai residui industriali non esiste né supérior né inférior, né lupus né agnus, siamo tutti dei poveri disgraziati uniti nel la sventura di non poter aver genuine neppure le fonti del la vita, che sono l’aria e l’acqua. * Nostri anni incantati di gin nasio, quando queste favole prendevamo per verità, quan do, più ingenuo di noi, San Francesco lodava il Signore per sor’aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta. Non c’è più ombra di castità. S’è fatta guastare, insudiciare, corrompere, ha per duto chiarezza, splendore, tra sparenza, non c’è fiume, ruscello, rivolo, fonte che rispar mi il suo veleno al viandante che, ingannato dagli studi classici, beva fiducioso, ingi nocchiato sulla sponda, nel ca vo delle mani congiunte. Ginnasio degli inganni!, li ceo delle menzogne! Al pro fessore di latino, rammentate?, s’aggiungeva il professore di greco col suo Luciano, auto re di quei « Dialoghi marini » il più bello dei quali è indub biamente quello di Nettuno e di Alfeo, il fiume del Pelopon neso che attraversa la pianu ra d’Olimpia, e il dio gli do manda: « Come mai, unico tra i fiumi, non ti mischi, en trato in mare, all’acqua sala ta, ma conservando la dolce e pura vena della tua corrente giungi intatto alle spiagge si ciliane? ». « Perché amo, lag giù, la fonte Aretusa. Esco intatto dal mare, e mi con giungo ad essa formando con lei un’acqua sola ». Miracolo d’amore? Così credette Net tuno, ma Alfeo mentiva. Di Aretusa gl’importava poco o nulla. Piuttosto, presago, si preparava ai tristi tempi futuri, quando l’acqua del mare sarebbe stata lordata dai residui di nafta scaricata dalle navi. S’allenava a passare intatto, come un cavo liquido, e, giunto in Sicilia, si prendeva bel tempo con Aretusa. Ma se in Grecia, Paese scarsamente industriale, Alfeo è rimasto puro, non così Aretusa, presso la quale è sorta una raffineria. Ne consegue che Al feo passa, sì, indenne, attra verso il mare impeciato, ma non appena congiuntosi ad es sa muore tra le sue braccia avvelenate. Questo, il professore di greco lo ignora o finge di igno rarlo come credo faccia il professore di italiano quan do invita ad aprire l’« Or lando Furioso » al canto XVII, e precisamente a quel la diciannovesima ottava i cui primi quattro versi con tengono quanto più di spudo ratamente menzognero si pos sa dire sulla condizione ur banistica dei nostri maggiori centri ridotti a foreste di ce mento rese nere dallo smog? C’è un limite a tutto. Si dice che la personalità dei ragazzi va rispettata, e poi li si obbli ga a studiare a memoria i ver si con cui l’Ariosto dipinge co me vera, ai poveri liceali ve nuti su pallidi e stenti da una infanzia senza ossigeno, una città che non esiste e non esi sterà mai? Per la città due fiumi cristallini â— vanno inaffiando per diversi rivi â— un numero infinito di giardini â— non mai di fior, non mai di fronde privi. Io so che questi versi ven gono fatti imparare a memo ria anche agli studenti dei li cei milanesi. E ci meraviglia mo della contestazione, del l’occupazione delle aule, degli insegnanti sequestrati e per cossi? E, stupiti del sempre più rapido decadere della cul tura classica, andiamo invo cando i nomi di quell’Orazio, di quel Virgilio, di quel Lu ciano, di quel Petrarca, di quell’Ariosto, e anche di quel Foscolo, con le sue felici aure, cantori d’un mondo che se davvero è esistito, appunto per questo non possiamo che detestare, testimone com’è di una bellezza e d’una felicità uccise dalla chimica? Il no me di quel Virgilio che col suo tu patulae recubans sub tegmine fagi evoca piaceri co sì perduti (quello di star sdraiato all’ombra della verde maestà d’un ampio faggio) da sembrare impossibili, inven tati. * Se vogliamo salvare gli stu di classici, bandiamo Virgilio dai programmi, non solo per quel suo monumentale faggio, ma per quel suo avia tum resonant avibus virgulta canoris, bandiamo il Tasso che, quasi traducendo, scrisse e sovra i verdi rami i vaghi augelli – cantar soavemente, bandiamo Catullo che per un passero morto scrisse addirit tura un carme, lugete, o Veneres Cupidinesque, passer mortuus est meae puellae, e se Veneri e Amori dovevano piangere per un passero solo, in che pianto dirotto non do vremmo scoppiar noi per i milioni di uccelli morti per l’aria infetta, l’acqua veleno sa, gli alberi abbattuti? Guardate le nostre città pri ve di verde, le nostre campa gne spoglie, i nostri monti cal vi, le nostre strade un tempo ombrose e ora fiancheggiate da quei cippi funerari che so no i tronconi degli alberi se gati, e confrontate questa con dizione con quella antica che l’Ariosto rivela nel canto XXIII, quando vedendo Or lando che un alto pino al pri mo crollo svelse – e svelse do po il primo altri parecchi – co me fosser finocchi, ebuli o ane ti, – e fe’ il simil di querce e d’olmi vecchi, – di faggi e d’orni e d’ilici e d’abeti, unica scusante che trova alla stessa barbarie e allo stesso scempio che oggi lo Stato, la Provincia e il Comune commettono per mezzo dei loro saggi funzio nari, è la follia che, per amo re, s’è impadronita del famo so paladino. Vedete?, un tempo solo un pazzo poteva procedere alla strage di quel patrimonio pre zioso che sono le foreste. Solo Orlando tradito da Angelica. Un tempo troppo felice, e so prattutto troppo civile perché il rimpianto di esso, mutan dosi quasi in rancore e in odio, non induca i giovani a voltar le spalle alla cultura classica che sembra si diverta, maligna, a mettercelo sot to il naso.
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