LETTERATURA: I MAESTRI: Potenza dei sogni17 Maggio 2018 di Mosca Non mi sembra inutile se gnalare il pericolo che Don Chisciotte, e con lui Cervan tes, il cui capolavoro avrebbe potuto andar tutto all’aria, corsero nel capitolo ventidue simo della prima parte, quel lo della liberazione dei forza ti condotti a remare nelle ga lere del re. Don Chisciotte, se ricorda te, era reduce fresco dalla conquista dell’elmo di Mambrino, una bacinella d’ottone che a lui sembrava elmo d’oro purissimo, e il barbiere che la portava un valoroso cavalie re, e l’asino cui era in groppa un cavallo leardo pomellato. Di queste vittorie a buon mer cato (il povero barbiere se l’era data a gambe « più agi le d’un daino ») andava fiero come dell’avere da solo espu gnato una fortezza. Quando, scambiatolo per un demonio, storpiò il prete incappucciato che tenendo una candela ac cesa precedeva una bara, non gli parve forse d’aver compiu to una gran bravura? E dopo aver, con un colpo fortunato, abbattuto quel cavaliere degli Specchi il quale altri non era se non un suo amico travesti tosi da uomo d’armi allo sco po di persuaderlo a tornarse ne a casa, non andava per le campagne « contento, trion fante e borioso », in cerca di nuove e ancor più memora bili avventure? Era tanto solito buscarne che anche il più facile dei ra ri successi gli dava alla testa e gonfiava di nuovo gas il pal lone del suo ostinato sogno di fama e di gloria. Figuratevi dunque che salti al cuore gli dovette procurare la vista dei « dodici uomini » avanzanti verso di lui lungo la strada polverosa, « ammanettati e le gati al collo con una lunga catena di ferro. Li fiancheg giavano due uomini a cavallo e due a piedi, quelli a cavallo armati d’archibugi a ruota, quelli a piedi di frecce e spa de ». Tutta colpa dell’elmo di Mambrino. Se invece che da quella conquista fosse allora allora uscito da una bastona tura o da una grandinata di sassate, avrebbe certamente dato ascolto al saggio richia mo di Sancio « La Signoria Vostra stia bene attenta, ché la giustizia, la quale è poi il re in persona, non fa nessun torto a gente simile, ma la pu nisce per i suoi delitti », già, ma con quell’elmo in capo, che arroventato dal sole gli arrostiva il cervello, cos’altro poteva fare se non prendere la pazza decisione che sapete? * Fu così che Don Chisciotte, pur rispettoso, com’era, della legge, e suddito fedelissimo del re, ingiunse alle guardie, in nome di Dio e della libertà, di sciogliere i prigionieri, i quali, se non andavano di pro pria volontà a remare nelle galere, era ingiusto forzarveli, e i propri peccati, inoltre, ognuno deve guardarseli da sé, a castigare ci pensa Iddio, gli uomini non devono render si carnefici dei propri simili, perciò, care guardie, o li scio gliete o c’è Don Chisciotte, con questa sua lancia, che vi obbliga a farlo. E poiché le guardie, stupite, rimanevano a guardarlo a bocca aperta, il cavaliere dalla triste figura ne trafisse una con un colpo be ne aggiustato, e le altre, sle gate da Sancio la cui saggez za durava quanto un pugno di polvere al vento della fol lia del suo padrone e signore, vennero ben presto sopraffat te dai galeotti impadronitisi dei fucili. E’ precisamente questo il momento del pericolo che, co me ho detto in principio, non mi sembra inutile segnalare. Ecco il romanzo sul punto di una svolta. Potrebbe tutt’ad un tratto prendere ben diversa piega da quella per cui va fa moso, e l’eroe tanto caro a tutti, anche a chi non abbia speso un’ora a leggere le sue gesta, sprofondar nel più nero degli abissi, diventare antipa tico, odioso, anzi non diven tar nulla. Mi direte: ma come Don Chisciotte avrebbe potuto, al capitolo ventiduesimo della prima parte, prendere una stra da che non fosse quella trac ciata da Cervantes? I perso naggi sono ed agiscono quali e come vuole l’autore. E’ vero fino a un certo punto. Talvol ta gli prendono la mano. L’au tore, sì, crea il personaggio, ma ecco che questo, improv visamente, si mette a vivere di vita propria, e l’autore, di venuto, da padrone, nient’altro che padre, deve affannar si a tenergli dietro supplican do che faccia questo piuttosto che quello, che non vada con quella donna, ma quel lo, sì, gli dà ascolto, ap punto, come un figlio al pa dre, cioè nemmeno lo sente, e continua imperterrito per la strada che s’è scelto, o che il caso gli ha fatto prendere, lasciando che l’autore, a corto di fiato, si butti, alla fine, af franto, a sedere sul ciglio o su una pietra, e, tanti saluti, fac cia come gli pare, io ho le gambe rotte e il cuore in gola. Cervantes, non che fosse vecchio quando scriveva il ventiduesimo capitolo del ro manzo, ma era stanco, profondamente stanco: la vecchia fe rita di Lepanto, gli anni di prigionia fra i turchi, l’infeli ce vita familiare, la povertà, i debiti: se Don Chisciotte si fosse buttato in un’avventura non prevista, non avrebbe avu to la forza d’impedirglielo. E Don Chisciotte fu a un pelo dal buttarvisi. * Cosi, liberati i galeotti, si drizzò fieramente sulle staffe e accennò a parlare, e subito quelli « gli si misero tutti in torno per sentire ciò che co mandava ». Dispostissimi, dun que, ad obbedire. Erano quel lo che erano, naturalmente: ladri, ruffiani, stupratori, e non si esclude che Ginesio di Passamonte avesse sulla co scienza â— seppure un po’ glie ne fosse rimasta â— qualche assassinio, ma vi sono, anche nei peggiori tra gli uomini, momenti di stanchezza che possono generare, qualora si dia una grande occasione, un sincero, se anche passeggero, desiderio di redenzione, il de siderio d’una nuova vita, sen za dire, nel caso di Ginesio e compagni, di vedere come sarebbe andata a finire col biz zarro personaggio che la fortuna aveva messo sulla loro strada. Non giocava forse, nel fon do dei loro cuori, anche un po’ di gratitudine? E’ molto probabile, perciò, che se inve ce di imbestialirli ordinando loro con arroganza di ripren dere le catene e di recarsi, in devoto pellegrinaggio, a deporle ai piedi della bellissima Dulcinea del Toboso, Don Chisciotte li avesse garbata mente esortati a rimettersi sul la buona strada, venite con me, ve la indicherò io, mi aiuterete nella mia missione di proteggere la vedova e l’or fano, raddrizzare i torti, com battere i soprusi, umiliare i superbi, contestare i ricchi e i potenti, soccorrere i poveri, è molto probabile, dico, che essi invece di pestarlo a sangue come fecero, e di deru barlo d’ogni poco avere, si sarebbero decisi a seguirlo, sulle prime, infatuati, come apostoli, poi subito, visto che in nome di quella missione c’era tutto da guadagnare, e messo da parte l’incomodo Sancio, avrebbero cominciato a mettere in pratica ciò che Don Chisciotte predicava. Se ne andasse pure, lui, a caccia di mostri, di giganti di mulini. A contestare i ric chi avrebbero pensato loro. « Ordine del nostro signore Don Chisciotte, vuotare la cassaforte, ché penseremo noi, poi, a distribuire ai poveri, e per chi la nasconde ci sono due metri di corda. Sei tu che insidi la vedova? Impiccato anche tu, e la vedova venga con noi, che non si troverà male. E quello che non dà la giusta mercede all’operaio sei forse tu? Bene, dalla a noi, che rimedieremo all’ingiusti zia, altrimenti questo è il col tello che avrà per guaina la tua pancia ». E tutto questo, naturalmente, sempre in no me di Don Chisciotte loro signore, fino alla prevedibile reazione della Santa Hermandad, cioè della Santa Fratel lanza, le guardie del re che battevano armate le campa gne, e sventura volle che il primo combattimento si risol vesse a favore dei galeotti e del loro involontario ed igna ro capo Don Chisciotte, il qua le, esaltato dal successo, e ri cercato dalla polizia, comin ciò a far davvero. Non più su Ronzinante, ma su uno splendido cavallo ara bo; non più vestito di stracci, ma di panno fino; non più una catinella da barbiere, ma un elmo vero e un’armatura d’acciaio; e, indorata degli an tichi ideali la prepotenza or ganizzata, si dette, seguito da un numero sempre crescente di pendagli da forca, ad im prese che sapevano sempre meno di missione e sempre più di brigantaggio, col risul tato, com’è facile indovinare, di morire non già santamen te e tranquillamente nel suo letto, ma, in maniera piutto sto agitata, col collo stretto dal capo di una corda legata per l’altro capo, al ramo d’una quercia, dal comandante della Santa Hermandad riuscito, nel secondo, decisivo combat timento nelle campagne intor no a Ciudad Real, a invertire l’esito del primo. Più gli ideali sono nobili ed alti, e più, per affermarli, bi sogna essere soli o con uno o pochi compagni onesti e miti, non sognanti la vittoria, ma disposti alla sconfitta e al martirio. Come Don Chisciotte, la cui morte, appunto, fu edificante come quella d’un martire, e ancora serve a tutti noi a il luminare il grigio della strada, anche se per una sola volta in tutta la vita, della luce d’una battaglia coi mulini a vento. Ma se i galeotti, quel giorno, lo avessero seguito, avrem mo nient’altro che la storia di un prepotente di più, perché Dio ci scampi dai cavalieri dell’ideale quando, per affer marlo, invece che la forza dei sogni, hanno quella delle spa de e dei fucili.
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