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LETTERATURA: I MAESTRI: Padrona e padrona

15 Marzo 2018

di Alberto Moravia
[dal “Corriere della Sera”, domenica 28 settembre 1969]

La pigrizia estrema e, forse, un’educazione feudale nella mia arretrata provincia nativa, fanno sì che non so e non voglio vestirmi da sola. Ho bisogno di una cameriera che mi aiuti nel bagno, al ­la toletta, di fronte allo spec ­chio. O meglio non tanto mi aiuti quanto faccia tutto lei, come se io fossi una grande bambola inerte.

Nel bagno, entro nella va ­sca e rimango seduta, immo ­bile, le mani sui bordi. Nora, la mia cameriera, prende da un’enorme boccia una man ­ciata di sali e li sparge nell’acqua bollente. Quindi, con spugna e sapone, mi lava le spalle, le braccia, il petto. Continuo a star ferma e mi limito a indicare le parti del mio corpo dove mi pare non si sia soffermata abba ­stanza. Poi mi alzo in piedi, esco dalla vasca, e Nora, pronta, mi riceve nell’asciugamani spugnoso che ha tol ­to or ora dalla stufa. Non mi muovo, tutta imbacuccata, aspetto che Nora mi asciughi fregando energicamente il pan ­no lungo il mio corpo. Final ­mente sono asciutta. Esco dal bagno e vado a sedermi sul letto, affinché Nora mi vesta.

Accendo una sigaretta, op ­pure prendo un cioccolatino da una scatola che tengo sem ­pre a portata di mano; quin ­di, la sigaretta tra le labbra o il cioccolatino in bocca, apro una rivista illustrata e la sfo ­glio mentre Nora si dà da fa ­re per vestirmi. La sento, più che non la vedo, prendere il mio piede in grembo e infi ­larlo nella calza. Poi sento le sue mani leggere far risalire la calza su su per la gamba. Una calza è a posto, ben ti ­rata dalla giarrettiera; mec ­canicamente, senza interrom ­pere di leggere, tendo l’altra gamba. Lo stesso avviene per gli altri indumenti. Nora mi veste e io faccio automaticamente tutti i gesti che lei si aspetta da me per facilitarle il suo compito. Sono molto miope e leggo tenendo la ri ­vista contro gli occhi così che, in fondo, non vedo mai Nora mentre si occupa della mia persona.

Adesso debbo indossare il vestito. Butto via la rivista, schiaccio la sigaretta nel por ­tacenere, mi alzo a fatica e vado a mettermi nel mezzo della stanza, immobile, ma ­sticando l’ultimo cioccolatino. Nora è lì, pronta, con il ve ­stito sul braccio. Me lo passa per la testa, ne segue la discesa lungo il mio corpo, ne stira le pieghe con le punte delle unghie. Ora, i gioielli. Nora mi passa intorno al col ­lo una collana, tendo le ma ­ni, mi infila alcuni anelli al ­le dita, un paio di braccialetti ai polsi. Infine si accoccola e mi stringe una catenella intor ­no la caviglia.

Sono vestita ma non anco ­ra acconciata e truccata. Seg ­go su uno sgabello; ma non già di fronte allo specchio bensì di lato, di fronte a No ­ra. E’ lei il mio specchio. Ten ­de il viso, attenta, aguzza gli occhi e mi dà l’ombretto sul ­le palpebre, il mascara sulle ciglia. Poi è la volta del rosso sulle guance e del rossetto sulle labbra. Alfine i capelli.

Nora si leva in piedi e, ritta dietro di me, per un bel po’ lavora intorno la mia testa con le mani leggere ed esperte. Al ­la fine sono pronta per usci ­re. No, ci manca ancora qual ­che cosa. Nora va ad un ar ­madio, ne prende una borsa, me la passa al braccio. Quasi quasi mi aspetto che mi spin ­ga fuori di casa. In effetti esco con le mie gambe anche se un po’ automaticamente, muovendomi come una bambola alla quale sia stata data la carica.

Sono una donna che vive sola, dopo essere rimasta ve ­deva di un marito ricco e molto amato. Ormai oltre i quarant’anni, il mio solo pia ­cere è il gioco. Nella mia ca ­sa si gioca fino all’alba, mai meno di tre o quattro tavoli. Questo, per spiegare se non per giustificare la mia pigri ­zia che in qualche modo è connessa con le carte. La mat ­tina, semplicemente, non mi alzo. Mi sveglio tardi, man ­gio a letto una leggera cola ­zione, su un vassoio che No ­ra mi mette sulle ginocchia e quindi rimango a letto fino a metà pomeriggio. Adesso vorrei descrivere Nora. È alta, bionda, palli ­da, con dei brutti occhi di un azzurro slavato, il naso ca ­muso e grosse labbra tumide.

E’ grassa o magra? Non lo so perché, ora che ci penso, mi accorgo di non averla   mai guardata davvicino. In fondo non conosco che le sue  mani, che fanno tante cose per me. Nora non è la mia sola domestica. Ho anche una cuoca, una bruna, piccolina, che si chiama Sara.

Uno di questi giorni, un pomeriggio di domenica che sono sola in casa perché No ­ra e Sara hanno la libertà, in ­filo una vestaglia ed esco nel mio giardinetto con l’intenzione di tagliare dei fiori e farne un mazzo da mettere in un vaso nel soggiorno. Il mio appartamento è composto di primo piano e seminterrato. In quest’ultimo ci sono la cucina e le stanze di Nora e di Sara.

Il giardino è folto e neglet ­to, incassato tra le alte pare ­ti dei palazzi circostanti. Le forbici in mano, cammino in torno la casa, quando, ecco, odo delle voci che vengono da una finestra del seminter ­rato. Incuriosita dal tono di queste voci, mi avvicino e, na ­scondendomi meglio che pos ­so dietro un cespuglio, guar ­do nella stanza.

Vedo Nora ritta e immobi ­le. E’ in calzamaglia e reggi ­seno, sta ferma in un atteg ­giamento singolare, le brac ­cia tese in avanti. Sembra una trapezista che si prepari a lanciarsi nel vuoto.

Poi, senza muoversi dice con voce impaziente: « Cretina, non quella, l’altra accanto ».

La voce di Sara, la cuoca, che però non vedo, risponde; « Ma quale? ».

« Idiota, quella verde ».

« Ma non c’è alcuna cami ­cetta verde, qui ».

« Certo che c’è, stupida ».

« Ma dov’è? ».

Vedo Nora girare intorno gli occhi pur senza muoversi. Poi dice, con ingiustizia: « Non è nell’armadio ma sul ­la seggiola. Sei proprio una idiota. Perché non guardi? A che pensi? ».

Ecco, alfine, Sara. Piccoli ­na, bruna, meschina, si af ­fretta con la camicetta verde, di cui infila le maniche nelle braccia tese di Nora. Quindi gira intorno Nora e si affan ­na ad abbottonare la cami ­cetta sul dorso. Nora sbuffa: « Scema, spicciati ».

« Sì Norina ».

« Adesso prendi la gonna. Quella scozzese ».

Sara scompare, riappare, si accoccola, tende la gonna be ­ne aperta. Nora ci entra pri ­ma con un piede poi con l’al ­tro; Sara tira su la gonna fi ­no alla vita, abbassa la chiu ­sura lampo. Un grido di do ­lore e poi: vlan e vlan, due schiaffi vanno ad arrossare le guance della povera cuoca: « Cretina, idiota, mi hai piz ­zicato la pelle con la chiusura lampo. Ma non puoi fare più attenzione? ».

« Scusa, scusa, Norina ».

« Ora mettimi le scarpe ».

Siede sul letto, di cui intravvedo il fondo, prende una sigaretta, l’accende; apre una rivista, la sfoglia: tutto come me. Intanto Sara, inginocchia ­ta, accoglie in grembo il pie ­de di Nora, fa per metterle la scarpa. Nora sporge un po ­co il capo fuori della pagina della rivista, guarda e quindi sferra un calcio in pieno pet ­to a Sara che, con un grido di dolore, casca all’indietro: « Idiota, non queste, i san ­dali ».

Mi basta. Oltre tutto mi è venuto un forte dolore alla schiena a stare così piegata in avanti. Rinunzio al mio mazzo di fiori, rientro in ca ­sa, vado a sedermi nel sog ­giorno.

Rifletto. Che fare? Non mi ero mai accorta, in fondo, che Nora mi vestiva. Lo facevo ma non ne avevo coscienza. Cioè non ci attribuivo alcun significato. Adesso Nora, scim ­miottandomi e mettendomi in caricatura, mi ha fatto pren ­dere coscienza.

Penso che dovrei licenziar ­la. Ma non è facile trovare una cameriera come Nora. Penso ancora di chiamarla e di ingiungerle di smettere di torturare Sara. Ma sento che Nora avrebbe il diritto di ri ­spondermi: « Faccio con Sa ­ra quello che lei fa con me ».

Alla fine mi decido per il male minore: licenziare Sara. Non so perché, sento il biso ­gno di annunziare a Nora la mia decisione. Suono il cam ­panello, di lì a poco Nora, tutta vestita per uscire, appa ­re sulla soglia. Dico, senza guardarla: « Nora, la cuoca proprio non va. Ho deciso di darle gli otto giorni ».

« E chi cucinerà? Io non posso, ho già tanto da fare ».

Già, non ci ho pensato. Chissà come, con mia meravi ­glia, mi odo rispondere: « Cu ­cinerò io. Lei forse non lo sa, Nora, ma sono un’ottima cuo ­ca. Prenderò il posto di Sara in cucina. S’intende cose sem ­plici, per noi due. Quando ci saranno degli ospiti, ordinerò della roba di fuori ».

Segue un lunghissimo silen ­zio. Alla fine levo gli occhi in direzione di Nora. I nostri sguardi si incontrano. Lentamente, Nora domanda: « E me, chi mi vestirà d’ora in poi? ».

Penso che dovevo aspettar ­melo. Prendo una sigaretta, l’accendo e poi dico a fior di labbra: « Beh, si capisce: io ».

 


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Bart