LETTERATURA: I MAESTRI: Per Silone28 Giugno 2018 (in occasione dei settant’anni dello scrittore) Nel ’49, invitato da Adriano Olivetti, Ignazio Silone assisté a una riunione del Movimento Comunità. Rimase per tutto il tempo silenzioso e impenetra bile, senza raccogliere, neppure con un cenno del volto, le allusioni o le lusinghe di qual cuno di noi al suo passato e alla sua opera. Verso la fine si alzò a parlare, lentamente com’è suo costume, a voce bassa, con lunghi intervalli, appena scanditi dal sommesso scroscio della sua tosse; con quel timbro grave di confi denza che non avrebbe più cessato, nella sua prosa osti nata, di toccarci nel profondo. « Avevamo l’illusione, ci dis se, di poter rinnovare dal di dentro i partiti tradizionali, avevamo l’illusione di poter evitare nella politica italiana la spartizione in due campi: uno sotto la protezione russa ed un altro sotto quella americana. Avevamo l’illusione che in questo dopoguerra la Chiesa potesse essere risparmiata e occupare una posi zione diversa da quella tradi zionale. Queste nostre speran ze sono fallite. Nella nostra attuale posizione è implicita la confessione delle sconfitte politiche subite. Noi siamo certamente le persone che so no state più sconfitte ». Fu un discorso breve, di un antitrionfalismo assoluto; vòl to a metterci in guardia, più che dal giovanile conformismo dei giudizi, dalla mistificazio ne dei nostri stessi ideali, ci insegnava a non cercare mai di scaricare sugli altri, e su quei tremendi « altri » che so no i fatti, le nostre proprie responsabilità. Ma, al di là di questa pur singolare le zione di sobrietà morale, la cosa che più colpiva era un’altra. Da quella pacata e inesorabile registrazione di « sconfitte » non derivava sconforto, o rancore o tanto meno decadentistico compia cimento; se ne traeva al con trario, misteriosamente, una liberatrice forza di fiducia. Questo rimane un tratto fondamentale della sua per sonalità; e forse la sua più autentica radice poetica. Egli ama affondare le lame del suo plumbeo sarcasmo nella figura umana sfigurata dalla menzogna e dalla retorica, ai confini di un pessimismo «ci nico »; ma ciò che se ne ricav a è un intatto impegno di vita, una speranza implacabile. I protagonisti dei suoi libri sono perseguitati, uomini in fuga, costretti e quasi snidati dal Potere a uscire dal ritmo tranquillo, elementare e contadino, della loro vita di uomini semplici, per farsi testimoni e martiri della repressione che subiscono. Ma subito le parti si rovesciano, essi vincono nel momento stesso in cui sono violentati e sconfitti, poiché è sempre la vittima che dà al suo op pressore l’immagine dell’uomo riposta nel fondo dell’anima di ambedue. Non si pensi dunque a un Silone poeta dei « vinti ». Tra Verga e lui è passato tor bido il fiume della Storia, gonfio di tirannidi. Il destino non è più natura o Dio, ma è fabbricato ogni giorno nelle centrali di propaganda, si annida nei ruoli delle burocrazie del potere, o impugna come un arcangelo apocrifo spade dell’ideologia e del progresso. La tragedia contemporanea non chiede pietà ma milizia. La forza del Silone è quella di chi è riuscito a intuire sotto il travaglio minuto, quo tidiano, insistente, dell’illiber tà le linee universali di un dramma religiosamente umano. Il senso ultimo della sua opera, credo, va cercato nel conflitto senza fine tra Sto ria e Utopia, tra le Istituzioni che si arroccano su se stesse e la speranza che si rinnova senza limiti entro l’infinito che è l’uomo. Così, anche quando la più proterva storia trionfa, l’utopia la tallona, la smaschera, la insidia, non le dà pace, come un allarme pere nne, come un’ilare, libera voce imprevista; nello stesso modo, o presso a poco, in cui per un cristiano, la Re surrezione incombe sul tem po, minaccia e salvezza, rivo luzione permanente, « la scu re è posta alla radice del l’albero ». * In misura imparagonabile ad ogni altro nostro scrittore, l’esperienza politica è al cen tro dell’opera letteraria del Silone; ma per rendersene ragione sino in fondo, occorre dare al termine « esperienza politica » il significato più ampio, comprensivo di tutte le motivazioni che convergo no nelle scelte esistenziali che l’uomo è chiamato a compie re giorno per giorno di fronte alla realtà, alla storia, ai pro pri simili e alla propria co scienza. Per molti aspetti, il libro chiave è Uscita di sicu rezza, nelle cui pagine egli porta a chiarezza fantastica il suo sentimento della politica, intesa da lui non già come lotta per il potere, ma, per doloroso paradosso e quasi contrappasso, come lotta per lo spazio di libertà da strappare al Potere. Uno degli emblemi nei quali si potrebbe riassumere la sua opera è il conflitto eterno tra l’uomo libero (sia « cafone », intellet tuale, prete, organizzatore po litico o Celestino V) e l’uomo mascherato del potere (sia sbirro, fascista, Cesare, Pila to o papa). E’ un conflitto che si ripete nella storia con monotona se quenza, e assume nel movi mento del tempo le forme di un rituale, insieme sacrificale, lustrale e di aspettazione: di qui il volgersi naturale dello scrittore al teatro, ove quel rito trova la sua compiuta figura di tragedia e liberazione collettiva. In realtà, se c’è uno scrittore che non ha fat to che riscrivere lo stesso li bro, questi è Ignazio Silone. Alla vigilia del suo settantesimo compleanno (nacque il 1 ° maggio del 1900), sarà fa cile concludere che, come Se condo Tranquilli adottò per lo scrittore il nome di Silone assunto nella lotta clande stina, così l’opera letteraria, che prende inizio esattamente quando ha termine la sua mi lizia di partito, ne eredita senza residui tutta la mora lità e la passione. Egli aveva partecipato gio vanissimo ai moti socialisti, era stato costretto a un esilio che durerà vent’anni, e aveva avuto una parte di primo pia no nel partito comunista; un suo fratello più giovane, co munista anch’egli, era desti nato a morire nel penitenzia rio di Procida dopo crudeli torture. Nel ’29, rivelataglisi in tutta la sua ipocrisia e in famia la natura dello stali nismo e la viltà cui costringeva anche i migliori compa gni, abbandona l’attività di partito, da cui due anni dopo è espulso. Ma, nello stesso modo in cui non ha mai vo luto essere definito semplice mente dal suo antifascismo, l’uscita dal partito non ha mutato l’indirizzo e la natura delle sue convinzioni; e lo ha avvicinato, se mai, con più severa e amara consapevolez za alla solitudine in cui vive nel mondo la verità. * Tornato in Italia, scrittore ormai famoso nel mondo, non ebbe vita facile, cosa del re sto comprensibile per chi si definisce « socialista senza tessera e cristiano senza chie sa ». Sull’Unità una volta gli si rivolse l’invito a cambiare mestiere; ma poi l’articolista era preso da un dubbio e concludeva: « Politico? No. Scrittore? No. E che gli fac ciamo fare, pover’uomo? ». Alla intimidazione politica si aggiunse l’equivoco letterario, che lo coinvolse ingiustamen te nella moda e nell’ambigua sorte del neorealismo. Fontamara, il primo romanzo, letto dai più in pieno dopoguerra, fu infatti scambiato per social-populismo. Il libro risale al 1930, e allo storico del Novecento non sfuggirà che in quel giro d’anni il roman zo italiano esce dalla depres sione post-rondista e si rin nova. Il Silone partecipava pro babilmente ignaro a quel rin novamento, con un libro che introduceva nel realismo so ciale di tradizione meridiona lista una componente intensa e qualificante che possiamo definire insieme popolare ed esistenziale. Vide bene allora, ma furono in pochi, chi lo apparentava ai tormentati spi riti religiosi del Novecento europeo, cristiani come Bernanos e Unamuno, laici come Orwell e Camus. Non si insisterà mai abba stanza sulla sua « tensione » nell’interpretare in dimensione religiosa i problemi della so cietà laica. Egli è laico nella volontà e nel metodo di conoscenza, religioso almeno in due sensi. Il primo: nell’uso spietato, ultimativo della coerenza (in questo vicino alla gioventù d’oggi), nell’attaccare, demitizzare le ideologie prendendole sulla parola, in calzandole iuxta propria prin cipia. Il secondo: nel rispetto esistenziale della persona crea ta (in questo agli antipodi dei fanatici d’oggi, giovani o no) In piena egemonia idealistica, si leggeva in Fontamara: « La verità non sta nella coscienza dei poveri ma nella loro esistenza ». Queste due attitudini ten gono più del paradosso cri stiano che dello storicismo, più dell’anarchismo libertario che della socialdemocrazia tradizionale, pur essendo in lui innestate su una ferma fedeltà democratica. Se vogliamo provarci a condensare in un’ultima immagine il messaggio dello scrittore Silone, potremo dire che nella sua opera si cerca e si afferma la coincidenza di libertà e ve rità, libertà come dramma da vivere, verità come fondamen to e destinazione dell’uomo. In questo senso la sua paro la, proprio mentre interpreta l’ansia di coloro che credono nella grandezza dei valori an tichi o eterni dello spirito (« Habeas animam »), si apre fraterna all’intransigente pu rezza, al non conformismo, al rifiuto che illuminano d’uto pia l’inquieto paesaggio della contestazione. Letto 883 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||