Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Pound bombarda Joyce

9 Aprile 2009

di Gabriele Baldini e Claudio Gorlier
[dal “Corriere della Sera”, domenica 15 giugno 1969]  

Il critico americano Forrest Read ha raccolto in un grosso volume una se ­rie di documenti – lette ­re, saggi, annotazioni, in parte inediti o poco noti, compresi tra il 1913 e il 1945 – che mettono a fuo ­co i rapporti tra Ezra Pound e James Joyce, i co ­siddetti inventori della poe ­sia e della narrativa mo ­derna. Il libro, che appare ora in italiano (Pound-Joyce, ed. Rizzoli, pp. 400, L. 3000), si presta, per la sua stessa natura e per la discrezione del curatore, a giudizi e valutazioni aper ­te alla discussione. Su un terreno per molti versi tan ­to scottante è ancora ar ­duo, e forse poco desidera ­bile, fare il punto con autentico distacco. Abbiamo perciò pregato due specia ­listi, Gabriele Baldini per la letteratura inglese e Claudio Gorlier per la lette ­ratura americana, di pren ­dere in esame il volume ciascuno dal suo punto di vista. Pubblichiamo insie ­me i loro contributi.

“Il ministro senza portafogli delle arti” è la definizione che Horace Gregory diede di Ezra Pound: ce lo rammenta Forrest Read nella prefa ­zione alla ricca antologia che documenta i rapporti tra il poeta americano e James Joyce. Ancora poco, forse. Nel volume, infatti, Joyce appare di scorcio, con intrusioni discrete an ­che se sostanzialmente re ­cise; per il resto si tratta di un frenetico, eruttivo, arlecchinesco monologo di Pound che si protrae dal 1913 sino alla morte di Joy ­ce e oltre.
Perché Pound si sia let ­teralmente impadronito di Joyce, lo abbia bombarda ­to di messaggi, prodigan ­dosi per aiutarlo anche dal punto dì vista economico e insieme inondandolo di con ­sigli sovente non richiesti che l’autore di Ulisse cer ­cava di schivare come po ­teva, riusciamo a compren ­derlo senza troppa difficol ­tà.
 

*

Pound si era attribuito il compito di grande sacerdo ­te della nuova letteratura, di supremo ingegnere del ­l’avanguardia, concepita co ­me una sorta di cantiere i cui lavori toccava a lui di ­rigere. Il « demone alla gui ­da di un furgone da tra ­sporto, tutto preso a traslo ­care il vecchio mondo in un nuovo quartiere », se ­condo il memorabile ritrat ­to di Wyndham Lewis, ave ­va bisogno di un romanzie ­re che verificasse i suoi pa ­rametri, che realizzasse pra ­ticamente i suoi principi, e lo trovò in Joyce, o per lo meno nel suo Joyce.
Ci sembra questa una in ­dicazione preliminare di lettura al libro raccolto da Read, e al tempo stesso una chiave per comprendere la apparente funzione di comprimario sostenuta da Joyce, la riluttanza dello scrit ­tore irlandese a incontrare il suo aggressivo interlocu ­tore, chiedendo magari soc ­corso a una terza persona (in una occasione, Heming ­way) per non venirne so ­praffatto. Infine, per co ­gliere la ragione del raf ­freddamento tra i due e del disinteresse di Pound per l’ultimo Joyce, in partico ­lare per Finnegan’s Wake, che non rientrava più nei parametri di cui parlavamo prima, e di cui Pound si sbarazzò con una noncu ­ranza persino sommaria.

*

Circostanze avventurose e imprevedibili percorrono la raccolta da cima a fondo. Per sette anni Pound e Joy ­ce non si conobbero, anche se tra il ’14 e il ’20 il pri ­mo indirizzò al secondo un’ottantina di lettere. La immagine fisica che Pound ha di Joyce derivava da qualche fotografia, e sa il cielo se Joyce potesse ri ­sultarne molto attraente. Ma Pound, con lena clow ­nesca, si sforzava di conqui ­stare Joyce grazie a una serie di capriole verbali, a una irrefrenabile mimica che lo poneva in gara con il suo corrispondente, e che Ruggero Bianchi si è molto ingegnosamente sforzato di trasferire in italiano nella sua pregevole traduzione. Lo blandiva e lo incoraggia ­va, gli indicava un buon oculista e gli suggeriva iti ­nerari ferroviari, lo aiutava materialmente e lo indusse a trovare una sede adatta per completare Ulisse, pro ­piziando il trasferimento da Trieste e Zurigo a Parigi. E si batté con singolare tenacia per la pubblicazione del romanzo, salutando poi la comparsa del « libro… la fine, il compimento di un’e ­ra… »; dichiarando che gra ­zie ad esso « … tutti i mia ­smi, tutti i fetori, tutta quanta la pustola della mente europea, erano stati incisi ».
Ulisse possedeva dunque, per Pound, un valore di pu ­rificazione e di termine di confronto di un periodo; chiudeva un arco che da Cervantes e Rabelais giun ­geva al Flaubert di Bouvard et Pécuchet. Questa valu ­tazione, indubbiamente con ­testabile, introduce il ripu ­dio di Finnegan’s Wake, del Joyce che « ha sentito la propria voce sul fonografo e ha pensato al suono, suo ­no, borbottìo, mormorio ». In altre parole, che non ha seguito una strada diversa, quella naturalmente dei Cantos, ove la reinvenzione e la risistemazione della pa ­rola, la riconsacrazione epi ­ca, riducono per converso, nel giudizio di Pound, gli esperimenti joyciani a fri ­vole divagazioni. Giudizio, senza dubbio opinabile, ma del  tutto coerente.

 

Claudio Gorlier

 

Rottura dopo l’amicizia

Nella raccolta di documenti del Read si parla di Joyce, e a Joyce, dalla prima pagina all’ultima, ma Joyce s’intromette ra ­ramente. Le sue risposte a Pound e i suoi interventi critici, qua e là, si possono anche immaginare, ma non proprio con le sue ar ­gomentazioni e le sue parole. La massiccia chiacchierata di Pound risulta così anche più frastornante, con forse una qualche distor ­sione: in altre parole Joyce sembra troppo passivo, tanto più che, come stimolo della fiumana, è lui, in definitiva, a dirigerne il corso. Si può parlare quindi d’un protago ­nista criptico.
La vicenda è semplice e lineare quanto ap ­passionante: Pound «scopre » Joyce alla vi ­gilia della prima guerra mondiale, per la se ­gnalazione di W. B. Yeats, e se ne elegge impresario e quasi infermiere – come per tutta la cura degli occhi – anche se a di ­stanza, fino a un dipresso al completamento di Ulisse (c. 1920), riuscendo non solo a far circolare e imporre il suo nome nel mondo letterario anglosassone e parigino ma addi ­rittura a cavare da tutto questo persino tan ­to danaro da permettere a Joyce e alla fa ­miglia di sopravvivere.  

L’incontro a Sirmione  

I due s’incontrano, dopo sette anni di fitta corrispondenza, nell’estate 1920 a Sirmione, e per una serie di ragioni non tutte facili da rintracciare i rapporti mutano. Il pretesto esterno è offerto dall’incapacità di Pound a seguire Finnegan’s Wake, a cui Joyce si de ­dica dopo Ulisse. Pound si sarebbe aspet ­tato che Leopold Bloom oltrepassasse il « Bloomsday », si risvegliasse all’indomani e continuasse la sua Odissea. Joyce, com’è no ­to, chiusa la giornata di Bloom, apre la not ­tata di H. C. Hearwicker; ed è proprio nel folto intrico di quella nottata che Pound si rifiuta di seguirlo. Finnegan’s Wake è un libro estremamente difficile ma non incomunicabile, una volta che se ne possegga la chiave, e Joyce ne ha fornite a sufficienza. Edmund Wilson, lettore nient’affatto terremotato, riuscì a penetrarci all’indomani della pubblicazione, e da noi se n’occupava Salvatore Rosati fin dal novem ­bre ’39 addirittura sulla « Nuova Antologia ». Sembra strano che Pound fosse tanto più conservatore. O era in malafede nel ’39 o lo era nel ’13 al momento di imbonire il Ri ­tratto dell’artista da giovane che per quel ­l’epoca era un libro difficile quanto Finne ­gan’s Wake lo è oggi.

Una vita a brandelli  

Ma un lettore attento di questo epistolario non può sfuggire all’impressione che le vere ragioni dell’improvvisa idiosincrasia siano al ­tre: anzitutto, si può pensare, dovette respin ­gere Pound l’aver visto Joyce in persona, il suo impertinente indifeso squallore, l’aver te ­stimoniato la sua vita a brandelli, la dedi ­zione totale alla sua arte che non ammet ­teva né tempo né occasioni all’espressione mondana. « Non mi fa paura commettere un errore », dice Stephen Dedalus, « anche un grande errore, un errore che duri quanto la vita e magari l’eternità ». L’errore non era nell’abbandono della fede cattolica, come molti intendono: era nell’imprendere la sua coerentissima rivoluzione linguistica. Pound aveva ripetuto che con The Portrait « na ­sceva » un modo nuovo d’espressione, ma per rifiutare Finnegan’s Wake – che proprio del Portrait è la conseguenza più naturale e fa ­tale -, più tardi, dirà che Ulisse « conclude » un’era e, in un panorama dei genii oc ­cidentali contemporanei, in cui figura persi ­no Cocteau, omette Joyce.
A Sirmione si saranno guardati negli oc ­chi. Joyce avrà riconosciuto il fondo borghe ­se di Pound, e Pound tutta la sgradevolezza di dover testimoniare della intima natura messianica di Joyce. Poi vennero divergenze politiche: o meglio insanabili contrasti fra l’orrore di Joyce per il mondo che si auto annientava senza saperlo e l’allegra irrespon ­sabilità di Pound che ostentava di credere in una soluzione fascista. A Joyce fu risparmiato di vedere il disastro, perché morì nel gennaio ’41. Perfino nel necrologio, Pound mancò di carità.
 

Gabriele Baldini


Letto 1946 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart