LETTERATURA: I MAESTRI: Rembrandt e l’Ermitage. Chi dirà qual è il più bello?13 Febbraio 2016 di Cesare Brandi Leningrado, luglio Nell’opera sterminata di Rembrandt tanti sono i capolavori, che, indicarne uno piuttosto che un altro, può sem brare fatuo, perché poi, messe in pre senza tutte quelle sommità, con quale parametro si può scegliere l’uno piut tosto che l’altro? Dopo aver fatto que sta professione di saggezza, mi smen tisco subito, perché veramente di fronte a nessun altro quadro di Rem brandt ho provato una emozione co me per il suo Figliuol prodigo. All’Ermitage sono venticinque i Rembrandt, e, fra questi, c’è la Danae giovanile che non cede il passo a nes sun altro. Giovanile, ma già presago del futuro, questo corpo nudo in un controluce discreto che impasta il co lore del Correggio con l’inesplicabile luce liquorosa di cui Rembrandt si portò il segreto nella tomba. Ma nel Figliuol prodigo è come se tutto fosse finito, tutto andato in cenere. Quel che non è finito e non è del tutto combusto, non è la parte più bella, e cioè le teste del padre e di un fra tello. Ma c’è un metro quadrato di pittu ra di cui non si può parlare senza fre mere. E in primo luogo perché qua si non se ne può parlare. Sono i piedi e il tergo, dalla cintola in giù, del Figliuol prodigo. Ho detto i piedi e il tergo, ma la referenza è assai la bile. In realtà è piuttosto un pezzo di pittura informale, della più violenta, protestataria, incenerita pittura in formale. Colore non ce n’è, o c’è quel lo delle foglie di tabacco scuro, del la cenere, della limatura di ferro, del piombo. E, tutto questo, impastato co me a caso, come se, piedi e dorso, ci si leggessero al modo che si inseguo no figure e paesaggi nelle nuvole o nelle macchie dei muri. E’ come se l’immagine sorgesse dal caos, per ag gregamenti faticosi e ancora quasi ca suali, per quanto fatali. L’ombra erode come un acido a len ta morsura, l’ombra pare piuttosto co me un’inarrestabile malattia che ab bia invaso il dipinto e lo consumi ine sorabilmente. La forza del dipinto sta in questo suo apparire come sull’orlo della dissoluzione finale. Sta nel non essere più che nell’essere. Come muoversi, dopo, in questo sterminato palazzo, sotto le sollecita zioni più sottili? L’Altai, o l’arte sasanide, l’arte bizantina, gli ori sciti o la pittura francese? Meglio andare, dopo Rembrandt, per evitare inutili confronti, a vedere gli straordinari resti di una civiltà scono sciuta dell’Altai. Sono venute fuori queste strane tombe fatte di tronchi d’albero come barricate, e per sarco fago un’enorme tronco d’albero col suo coperchio ricavato affettando il tronco e poi scavandolo all’interno. Ci sono anche delle ornamentazioni in rilievo che non sai se dire rozze o raffinatissime, perché in realtà sono l’uno e l’altro. La vicinanza con la Cina è innegabile, ma non si può du bitare la rivoluzione di una civiltà già consumata a una esperienza nuova, vergine, in un certo senso, che tra volge a suo piacimento quel codice eletto. Tuttavia non c’è solo la Cina. Da queste straordinarie tombe sono venuti fuori i reperti più antichi di tappeti, sia fatti a incrostazioni di fel tro, sia proprio a nappone come quel li persiani. Il grande arazzo di feltro su fondo bianco reca figure contur banti, con strani inediti copricapi, vi ste di profilo. E oltre alle figure ci so no dei cavalli non meno acerbi, e qua si verrebbe voglia di dire sofisticati, di quelli dell’arcaismo greco. Quei ga retti puntuti, e quelle grappe magre. Qui il codice cinese non c’entra. Ma in che secolo siamo? Pare che col carbonio 14 siano riusciti a datare in torno al VI-V secolo a.C. E’ certo che un’arte simile non è nata come le pit ture del paleolitico, a parte la evoluta tecnica artigiana che rivela. Ma scio gliere l’enigma delle fonti non è faci le; tutto quel che è noto si trovava troppo lontano, e d’altronde, quei tap peti che non assomigliano a niente altro, dobbiamo pensarli nati lì. Sconvolti dall’Aitai passiamo allora nel continente noto della pittura fran cese, ma per brevità, saltiamo ora tut to il Seicento, il Settecento, e anche il primo Ottocento avanti a Corot. Di cui c’è una notevole collezione e per di più con buone probabilità d’esser tutta di quadri di Corot, il quale, >.vendo co minciato in vita a firmare per bontà di animo quadri dei suoi imitatori, qua si ha autorizzato dopo morte i fal sari, fino a giungere al diluvio che si registra in America. Ma dove comin cia il primo gruppo di dipinti davvero eccezionali è con Monet. Nella divi sione che degli impressionisti e dei moderni è stata fatta fra l’Ermitage e il Museo Puskin di Mosca, anche Monet è stato pressoché dimezzato. E’ un peccato, perché in nessun altro luogo al mondo, né in Francia né in America, si può avere un’idea così ar moniosa e ricca dell’opera di Monet, a cominciare dai primordi, intorno al 1865. Tutte le fasi sono rappresentate con opere di altissima qualità, tutte le fasi fino alle Ninfee e passando per le Cattedrali. Perfino i due dipinti lon dinesi, quasi ridotti a un solo scher mo azzurrognolo, sotto l’influsso di Turner, sono dei pezzi straordinari, con quelle pennellate che fingono ap pena le onde, in un angolo, verdi, ver di come l’acqua, e leggere come piume di pappagallo. La serie dei Cézanne non è meno straordinaria, soprattutto per la presenza di stupendi paesaggi tardi, in cui la scomposizione cubista è, più che annunciata, già in atto, con quei rombi, quasi cristalli trasparen ti, di cui il dipinto appare contesto come di tessere musive. In una delle Saninte Victoire invia ta a Mosca, il cielo appare una con vulsa scrittura di segni verdi sul co balto, e questi segni verdi volutamen te non amalgamati al resto (il ricorso a Tobey è spontaneo), così sospesi nell’aria del dipinto come diverse stel le diurne, rappresentano la dramma tizzazione, altro che un’innocente ve duta, del paesaggio al di fuori della figura umana, al di là di un racconto. Se c’è da rammaricarsi di qualcosa è che i Van Gogh, ancorché superbi, siano assai meno numerosi dei Gauguin, la cui importanza è senza dub bio cruciale ma la cui qualità scen de ogni giorno di più. E’ un fatto, tuttavia, che dopo la « personale » di Monet, la seguenza superba dei Cézanne, sembrerebbe di avere raggiunto un livello che nien te altro possa far crescere d’una span na. Non si sono fatti i conti con Matisse, in una serie così numerosa e così alta. Veramente, seppure Matisse sia tanto rappresentato in Ameri ca, una simile scelta e dell’epoca più bella, fino al 1914, non si può vedere che in Russia. Matisse, al contrario di Gauguin, più passa il tempo e più cresce, ma soprattutto per questo pri mo, straordinario periodo. L’infallibi lità della individuazione fantastica di Matisse è qualcosa che sconvolge, perché colpisce l’oggetto come lo ful minasse, ne estrae un ritmo, un colo re, una luce: il modo col quale realiz za allora il dipinto è come un urlo tenuto senza riprendere fiato, ma d’un timbro limpido come il sole e quasi altrettanto accecante. E come tutto ciò nasca, bruciando lo, da un contesto di cultura squisita e decadente da Gauguin alle Seces sioni. E’ la pittura più integralmente pittura che mai sia stata, nel senso che riesce a caricare il colore di tut te le rappresentanze, eppure questo colore resta piatto, senza modulazio ne, quasi grezzo, quasi informe, subli me. Contenere una simile vicinanza non è facile: eppure la serie dei Picasso che va dall’epoca blu al cubismo ana litico ce la fa con estrema bravura. C’è un quadro di figura, contemporaneo delle Demoiselles d’Avignon, che è un pezzo straordinario: lo scambio fra l’ombra e il braccio in un nuovo con testo figurativo è di quelle trovate da mozzare il fiato. In fondo è bene che non ci siano i quadri più recenti, che avrebbero diminuito la forza rubesta di questa presentazione davve ro impareggiabile. Dopo di che la pittura va lasciata in pace e ci aspettano gli ori sciti. Forse la Russia è l’unico luogo al mondo dove non siano esistiti i ladri di tombe. Da noi si coltivano con pa zienza e sopportazione, pronti a pian gere ma a non far nulla, dum Romae consulitur. Il fatto sta che questa serie di straordinarie oreficerie ti co glie di sorpresa: immacolate, nei lo ro finissimi giochi di filigrana, le coro ne, le spade, i monili. Le vetrine so no vecchiotte, il locale è rigorosamen te sorvegliato, l’afflusso controllato e sospeso a periodi, ognuno è tenuto a firmare all’ingresso. Io non sono molto sensibile all’oro, ma certo queste collezioni di un’arte che di barbaro non ha nulla, anche se la popolazione era di nomadi o qua si, ha l’enorme interesse, oltre il lato tecnologico strabiliante, di mostrarci una serie parallela all’arte greca. Que ste riassunzioni di un codice che contiene tutta una cultura nel codice di una cultura quasi opposta, sono un monito e un insegnamento. Noi abbia mo altri esempi, soprattutto quello etrusco. Anche gli etruschi assume vano come l’alfabeto anche l’alfabeto delle immagini greche. Ma gli etruschi, quale fosse il con tenuto etnico particolare della loro ci viltà, è certo che una civiltà figurati va propria non l’ebbero, al di fuori della Grecia, presso cui si approvvi gionavano, non già una volta per sem pre, ma lungo tutto il loro cammino finché i romani non li sostituirono an che in questo rifornimento. Orbene, questa mancanza di un fon do figurativo proprio è tipico degli etruschi, per cui le varianti sull’ar te greca, senza che si possano indi ziare come dialettali, non sono deri vate dalla reazione di un sostrato fi gurativo diverso, ma da fattori indi viduali o anche culturali, però contem poranei non anteriori. Gli Sciti invece disponevano di quel sottofondo asia tico orientaleggiante che si ritroverà e perdurerà per altri rami fino ai merovingi, e il loro assorbimento del l’arte greca, di un’arte decisamente matura e non perfettibile, avviene in un modo, per un lato più letterale di quel che non si produca per gli etru schi. Con citazioni, cioè, il più possi bile fedeli e, appunto per questo, in fedelissime. Perciò per quanto avvincenti siano gli ori sciti, la collezione dei piatti d’argento sasanidi e bizantini, aveva per me un interesse di ben altro pe so. Queste cose, con pochi altri esem plari, fuori della Russia, sono presso ché uniche e non riflettono una ci viltà aliena, danno i frutti più sapo riti di quelle due civiltà di grande formato, la sasanide e la bizantina. E per l’influsso che i sasanidi ebbero sui bizantini continuano le loro pro paggini nel Medioevo europeo. Sono delle matrici, come matrici so no anche le stoffe stupende e gli avo ri. Ma la formulazione plastica dello sbalzo in argento è ben diversa da quella delle stoffe e degli avori. E per questo, come uniche testimonian ze indubitabili di una modalità della plastica che si porta alle soglie del la prima scultura islamica, si pongono come testimonianze fondamentali. Per non dire della loro bellezza formale, che oltrepassa l’importanza del docu mento. Letto 1426 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||