LETTERATURA: I MAESTRI: James Baldwin. Jimmy hai perso il treno16 Febbraio 2016 di Romano Giachetti New York, agosto « Guarda. Io sono giovane. Sono già stato sotto gli zoccoli dei cavalli e so no già stato picchiato con catene. Ec co. Vuoi che continui a finire sotto gli zoccoli dei cavalli, è questo che vuoi? No, se non è questo che vuoi, e io so che mi vuoi bene e non vuoi vedere le mie mani macchiate di sangue, allora devi convenire che abbiamo bisogno di armi. Non ti pare? E se mi rispondi che siamo pochi â— merda, ti dico. An che i primi cristiani erano pochi ». Queste parole si trovano alla fine del nuovo romanzo di James Baldwin, Tell me how long the train’s been gone (« Ditemi da quanto è partito il tre no »), e le pronuncia un giovane negro a un negro non più giovane. Sono due generazioni a confronto, « due modi di essere negro » nel pieno della crisi. Alle parole del giovane, il vecchio risponde con il debole assenso dell’im potente. Del resto il giovane ne aveva prevista la reazione poche pagine pri ma quando gli aveva detto: « Leo, non possiamo permetterci il lusso di pre star fede ai bianchi di questo Paese â— per farlo dovremmo essere matti. Ma, naturalmente, un mucchio dei nostri potrebbero pensare che tu sei uno dei loro, e in un certo senso, vedi, lo sei, perché hai da perdere altrettanto quanto i bianchi hanno da perdere. Ma non ci pensare ora. Non ti lasciare deprimere da queste idee. E’ solo che le cose stanno così, e staranno così per un pezzo ». In queste brevi battute di dialogo c’è tutto il succo dell’ultima fatica di Baldwin, il suo primo romanzo dopo Another Country: il protagonista del libro non è il giovane, Christopher, ma il vecchio, Leo Proudhammer, un celebre attore al culmine della carrie ra e della fama che, colpito da un at tacco di cuore mentre recita, trova modo, nella semiveglia della convale scenza, di riandare i fatti della sua vi ta, dalle umili origini alla ricchezza fino alla dolorosa conclusione che lo lascia solo e amareggiato, sì che l’im provvisa crisi diventa, più che una de bilitazione fisica, l’occasione per un esame profondo del suo essere uomo. L’esame dell’eroe di Baldwin condu ce per via descrittiva e romanzata alla sostanza della condizione negra di og gi. Inoltre, Baldwin ha troppo vissuto e troppo lottato per il’suo popolo per ché un suo libro, e specialmente un li bro impegnativo come questo, possa essere confinato nella fodera strettina dell’avvenimento letterario. In effetti esso fornisce l’opportunità per un’ana lisi non tanto della condizione del ne gro, quanto della particolare situazio ne degli scrittori negri oggi in Ame rica. E’ evidente che il problema negro può venire affrontato da un letterato di colore con gradazioni diverse di partecipazione: col sangue, cioè con una totale dedizione alla rivolta attiva fatta di analisi politica e sociologica e di incitamento rivoluzionario; con i sentimenti, mediante i quali il colore della pelle gioca un ruolo di primo piano al di là di ogni altra considera zione, ed è una partecipazione meno attiva ma non per questo meno impor tante; con la mente, ossia con il razio cinio che permette una visione pro spettica, storica, quasi profetica, in analizzatori isolati e generalmente colti. Una volta non esistevano distinzioni simili. Una volta c’erano libri buoni e libri cattivi. Lo scrittore negro parla va a nome della sua gente, e parlava ai bianchi. Oggi le cose non stanno così. In questi ultimi anni anche la letteratura negra ha subito un proces so di trasformazione tale che ora non è difficile distinguere gli scrittori della nuova generazione da quelli della vec chia. DALLA STRADA AL PALCOSCENICO La domanda suscitata in molti am bienti dalla pubblicazione di questo nuovo romanzo è: a quale generazione appartiene ora Baldwin? E inoltre: che ne è del profeta di The Fire Next Time? E infine: se nemmeno Baldwin rappresenta più la punta avanzata del malcontento negro (lui che una volta incitava dal corpo di pagine furiose: « Brucia, bambino, brucia! »), siamo dunque proprio arrivati al momento in cui « il treno è già partito e non c’è più speranza di risolvere la complica ta matassa per vie pacifiche? » Il libro parla da sé. Leo Proudham mer, come dicevamo, in qualche modo ce l’ha fatta. Ma come? Che cosa ha dovuto sacrificare per strada? Il rac conto, che usa a più riprese la tecnica del flash-back, inizia con l’infanzia di Leo in Harlem. Il padre di Leo è « un negro grande e grosso, sostanzialmen te stupido, gran bevitore, sèmpre tur bato dai sogni » che si è portato dietro dalle isole dei Caraibi; quelle isole continuerà a sognarle per tutto il li bro, ed è chiaro che il suo personaggio rappresenta la condizione più bassa dell’« immigrato » negro. Accanto al padre, la madre, naturalmente grassa, naturalmente grande discorritrice ma anche saggia della saggezza antica dei poveri, la quale è l’ultimo baluardo prima della disintegrazione della fami glia. Siamo, ovviamente, nel campo della letteratura simbolica. Il fratello Caleb, di qualche anno più vecchio, ha co minciato dalla strada, dove ha incon trato il sesso, il crimine, la polizia, la malavita organizzata, poi il carcere, l’illuminazione religiosa, il pentimen to, e infine « una decorosa sistemazio ne borghese tra le mura di una chie sa ». La descrizione dell’infanzia del protagonista, sebbene, come è stato scritto, « in larga parte priva di vera autenticità », ricalca forse volutamen te i prototipi cui ci ha abituati la lette ratura negra, e non ha per questo una « densità » meno indicativa: parrebbe anzi che lo scrittore, per non fuorvia re, ne abbia fatto di proposito un rac conto banale, come a volere indicare una comune radice umana in tipi poi così diversi. Durante le pagine sull’infanzia, e prima che il fratello Caleb se ne vada per sempre da casa, cì s’imbatte nell’e pisodio che ha fatto gridare allo scandalo « per una smisurata mancanza di giustificazione psicologica », mentre sarebbe facile obiettare che esso co stituisce di per sé, pur nella sua appa rente estemporaneità, la giustificazio ne psicologica dei fatti che verranno dopo. L’episodio tratta dell’amore tra i due fratelli: essi si amano così total mente, così svisceratamente, « in casa come sulla porta di casa », nei vicoli di Harlem come nel buio della loro came ra, che una notte, quell’amore, diventa anche più grande, e lo fanno, lo fanno fisicamente, tra loro, mentre nella stanza accanto i respiri dei loro geni tori sono « grossi e misurati, inconsa pevoli, come sempre ». Giustificata o no, questa scena, trat tata con la tipica matter-of-factness (direbbe Pavese) di Baldwin, apre le porte alla crescita del protagonista. Dalla strada, Leo finisce dietro le quinte di un teatro, poi sul palcosceni co, dove diventa famoso. Nel frattem po, ha conosciuto Barbara, se ne è in namorato, l’ha fatta innamorare: è lei che quando arriva l’attacco di cuore sarà al suo fianco, gli terrà una mano nelle sue, lo conforterà, « con gli occhi e le parole », come lo ha sempre con fortato e capito. Barbara, c’informa l’autore quasi subito, è bianca, ma una bianca speciale, che non lo giudica, che gli consente tutto, anche i nume rosi altri amori per uomini e donne che la sua « bisessualità » lo porta a cercare, e che costituiscono i capitoli della rievocazione. L’altro personaggio di rilievo è il già menzionato Christopher, il giova ne che a un certo momento chiede a Leo di « diventare il suo vecchio sporcaccione », di « dargli forza e coraggio ». Leo accetta, Barbara chiude un occhio. La paradossale situazione dell’amore a tre (Barbara intanto si è ar resa a Christopher per non perdere Leo) è mitigata dagli sforzi di tutti di dare una rappresentazione decente della vita », chi in teatro, chi alle riu nioni politiche. Christopher è infatti un militante in piena regola, prepara la rivoluzione, discute, legge, si istruisce. « guarda al mondo dei bianchi col disprezzo della superiorità ». E’ qui che il libro tocca il punto più alto del impegno. Dopo l’ospedale e la convalescenza, Leo, da San Francisco, torna a New York, dove, prima di riparti re per andare a girare un film, trascor re un giorno con Christopher e il pa dre, e li vede « tutti e due grandi, neri, belli, e così distanti ». E’ il dramma del negro preso tra due generazioni e incapace di concedersi interamente né all’una né all’altra. LASCI PERDERE LA RIVOLUZIONE La critica è stata feroce con questo libro. Eliot Fremont-Smith, sul New York Times, dice addirittura: « Inutile fare, il nuovo romanzo di James Baldwin è un disastro; un disastro, sostanzialmente, in ogni senso: come tema, come resa dei personaggi, come trama, come retorica ». Quest’ultimo punto, la retorica, sembra anzi quello su cui più hanno ribattuto tutti i critici. Ancora Fremont-Smith cita come esempio una frase che esce dalla penna di Baldwin quando il protagonista viene portato all’ospedale: « Tutto il mio peso, il peso misurato dalle bilance e quello che nessuna bilancia può misurare, sem bra premersi contro quella mano », la mano di Barbara che lo sorregge. E Mario Puzo, nel supplemento lettera rio dello stesso giornale, dice: « Questo libro pecca di semplicismo, è unidi mensionale e presenta personaggi di cartone più che di carne e d’ossa; è po lemico più che narrativo, povero d’in venzione, privo di scelte felici… Forse e tempo che Baldwin lasci perdere la rivoluzione negra e cominci a pensare a se stesso come artista, che è poi il modo migliore di fare la rivoluzione ». Comunque, linguaggio e giustificazioni psicologiche a parte, il libro si presta, letterariamente parlando, a più di una critica. Ma essendo, questo, compito del recensore, è importante notare qui che le intenzioni di Bald win erano di fare un romanzo emble matico, di tracciare un profilo della si tuazione del momento. I personaggi sono, è bene ripetere, ovviamente sim bolici. Non si fa fatica a identificare Barbara, per esempio col « liberalismo bianco » che alla causa negra concede e permette tutto, in una « inazione » così totale che non diventa nemmeno « olocausto, perché anzi ne imbruttisce la fisionomia intellettuale ». Christopher vuol fare la rivoluzione, vuol rizzare le barricate, ma ha bisogno dell’appoggio del vecchio Leo, dell’uomo che in definitiva crede ancora alla ricetta bianca del progresso pacifico. Da anni si sente ripetere in America: « Le cose non procedono bene, ma stiamo facendo progressi ». Nessun personaggio di Baldwin lo ripete apertamente (il solo che potrebbe farlo, Leo, è smarrito nel labirinto della sua introspezione e ha gli occhi sbarrati « dalla paura e dalla sorpresa »), ma Baldwin lascia spesso intendere che questa è l’unica metafora che la mag gioranza negra crede ancora di potere opporre alla violenza di Christopher. L’aspetto singolare della posizione di Baldwin è che egli si pone oggi, di certo consapevolmente, a fare da pon te alle due letterature negre, quella di « prima della rivoluzione » e quella della rivoluzione. Come nota il giamai cano Jervis Anderson nell’ultimo nu mero di Dissent, « di solito quando si dice letteratura negra s’intendono que gli scrittori che, mentre da una parte hanno avuto esperienze da negri e ri flettono il punto di vista negro, dall’al tra si rivolgono a un pubblico più lar go nel tentativo di affermare il princi pio di un’identità negro-americana al l’interno della cultura americana gene rale. Soltanto pochi considerano come letteratura negra quella parte che s’in dirizza esclusivamente ai lettori negri â— ai bisogni psicologici e politici del popolo negro â— e che s’ispira al con cetto del separatismo razziale e cultu rale ». Baldwin appartiene quasi per intero al primo gruppo, anche se la violenza, che è il lievito delle idee del secondo, è comparsa spesso nelle sue opere. Del resto la violenza è sempre stata l’ele mento ricorrente della letteratura ne gra: c’era violenza sessuale in Cane di Jean Toomer; in Tropic Death di Eric Waldron i bianchi e i negri dei Caraibi non conoscevano che la violenza fisi ca per risolvere i loro conflitti; c’era addirittura un brutale omicidio in Na tive Son di Richard Wright; c’erano aggressioni armate, a catena, in If He Hollers Let Him Go di Chester Himes; c’era una rivolta in Invisible Man di Ralph Ellison; e violenza in forma di suicidio c’è in Another Country dello stesso Baldwin. Questo per non fare che pochi esempi. Si direbbe quindi che non la violen za, ma il più scoperto separatismo sia l’elemento essenziale della nuova let teratura. E tuttavia, come qualcuno ha osservato, « non ci può essere sepa ratismo senza violenza ». Ora, nel li bro di Baldwin l’unica forma di vio lenza che vi compare ha appunto la forma mitigata di un attacco di cuore. IL BIANCO NON E’ UN COLORE L’altra, quella vera, è appena adom brata nelle parole di Christopher. Ma mentre, come scriveva tempo fa uno dei critici dell’ultima leva, Theodore Gross, i « blues » costituivano una vol ta « la nostra migliore approssimazio ne della tragedia, e non erano tragedia perché non indicavano soluzione alcu na, offrendo come capro espiatorio il solo martirio individuale », i nuovi scrittori negri vogliono affermare la loro blackness, la loro « negrezza », perché essa è « emersa nelle loro men ti come l’unica cosa degna di essere affermata ». Ma affermata come? Uno di questi scrittori, Lawrence Neal, ha dichiarato recentemente che secondo lui « i romanzi, in fondo, non sono che un passatempo borghese » La lettera tura è diventata nelle loro mani uno strumento di rivolta. E’ diventata vio lenza. Baldwin è oggi lontano da tutto que sto. Qualcuno ha detto che « il treno del titolo del suo libro è partito anche per lui: il treno della rivoluzione ». Ve ro o no, Baldwin è più facilmente col locabile, specialmente con quest’ulti mo romanzo, accanto a Ralph Ellison, Lorraine Hansberry, Richard Wright, Ann Petry, Langston Hughes, John A. Williams e gli altri che erano e sono « negri e americani allo stesso tem po ». Essi hanno cercato il loro posto nella società americana e sono chiara mente in favore di un progresso paci fico anche se consapevoli che il prezzo da pagare è spesso un prezzo di san gue. Ellison si domandava: « Chi sono io, che cosa sono, come sono diventato quello che sono? ». I nuovi scrittori possono già rispondere: « Una volta pensavo che fossimo completamente staccati dall’Africa; oggi, più ci penso più mi accorgo che siamo ancora afri cani » (sono parole di William Melvin Kelly, uno scrittore educato a Har vard e che da poco ha lasciato gli Stati Uniti per andare a Parigi « a imparare il francese, con cui potrò parlare a tanta gente in Africa »). Il problema dell’essere negro, per loro, non esiste più in quanto dubbio esistenziale: è un dato di fatto che intendono riven dicare. Certo, a giudicare dal loro numero, questi nuovi scrittori sono ancora una minoranza. LeRoi Jones è senz’altro il più importante di tutti, il più « nazio nalista », e in un certo senso il più programmatico ( « Fuoco nelle strade, fuoco nelle case, uccidiamo, liberiamo ci dalla schiavitù di essere pochi: di ventiamo un popolo una volta per tut te! »), e il più seguito. Perfino i più giovani ammettono che tutto è partito da lui. I loro nomi, ancora secondo Anderson, sono « i poeti Lawrence Neal, A. B. Spellman, Ed Spriggs, Youssef Raghman, Willie Kgostitisile, Marvin Jackman, Don Lee, Sonia Sanchez, i narratori C. H. Fuller Jr. e Charles Russell, i commediografi Ed Bullins e Ron Miller », oltre al citato W. M. Kelly. Sono nomi ancora poco noti, che compaiono infatti spesso solo su riviste d’avanguardia, ma « il peso della loro azione equivale alla caduta giù dalla cima della montagna del sas so che diventa frana ». James Baldwin conosce benissimo il peso di quella caduta, ma forse, in lui, non c’è né la titubanza di Leo Proudhammer né la risolutezza di Christopher. C’è piuttosto la certezza che nel processo « chi ci rimetterà di più sarà l’America ». Pochi giorni fa, intervistato per Esquire, non ha sapu to rispondere che con lunghe tergiver sazioni a chi gli domandava di indica re che cosa dovrebbero fare i bianchi, in pratica, per alleviare le condizioni dei negri. Ripeteva spesso: « Dovreste saperlo », e aggiungeva poi: « Il bianco non è un colore, è un atteggiamento mentale. Siete bianchi per quanto pen sate di esserlo ». Né nell’intervista, né nel suo libro, ha saputo far sua la vo ce dei separatisti che ripete: « E’ tardi per domandarci di darvi dei consigli. Ora ciò a cui abbiamo diritto stiamo per prendercelo con la forza ». E’ per questo che molti negri rimproverano a Baldwin di aver dato nome e carat tere al personaggio di Leo Proudham mer. Ma forse sarà proprio per questo che un giorno Baldwin passerà alla storia della letteratura negra come l’a nima tormentata di questo periodo cu po.
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