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LETTERATURA: I MAESTRI: Salvatore Gotta: La saga dei Vela

14 Aprile 2018

di Mosca
[dal “Corriere della Sera”,   giovedì, 11 aprile 1968]

Chi in una di queste sere di primavera dia un non distrat ­to sguardo al continuamente cangiante firmamento della letteratura italiana contempora ­nea, non potrà non far caso â— fra lo sparire dì stelle che ancor ieri sembravano di prima grandezza, all’apparire di nuove il cui palpito non sai se pro ­metta mai visti splendori o pre ­luda allo spegnersi, e le righe effimere delle meteore â— al brillar fermo e costante d’un lume che primo a levarsi e ultimo a tramontare è col suo ampio arco il certo segno d un’arte lunga e di un viaggio sicuro.

Questo lume è la stella Salvatore, comparsa all’orizzonte ai primi del secolo, levandosi dai colli canavesi, resa ancor più viva dalla luce riflessa dell’incanto gozzaniano. Risplende ancora intatta, così come intatto è l’aspetto dell’uomo da cui prende il nome, il quale  i suoi ottant’anni, non è vero caro Gotta?, coltiva, come si farebbe d’una pianta ancor giovane, nel giardino d’una piccola, riposta villa di Portofino. Ho qui sott’occhi la ristampa aggiornata del terzo volume, editore Mondadori, de La saga dei Vela. Un tempo, ricordate?, si diceva Il ciclo dei Vela, ma pare che il sostantivo germanico meglio si presti a esprimere il   respiro     vasto     d’una     storia che avendo compiuto i cent’anni affonda le radici non dico già nella leggenda, ma in quella storia del Risorgimento che qua e là di luci di leggenda pur s’illumina.

Dal 1850 ad oggi. Lunga vicenda della famiglia Vela, e una trentina i romanzi che la illustrano, dei quali solo tredici, gli essenziali, sono stati raccolti nella Saga, il cui terzo ed ultimo volume non solo ristampato,     ma     rimaneggiato,     comprende     Tre     mondi,     Lula, Il peccato     originale,     I     sensitivi, Domani a te, L’ultimo dei Vela. Scritti come i primi?, come Pia, come il figlio inquieto, come L’amante provinciale? Direi di sì per ciò che riguarda la so ­stanza, lo spirito, di no per la forma che Salvator Gotta non già che soffra del vezzo di rin ­novare a tutti i costi per non apparir vecchio, ma che natu ­ralmente adatta a quanto di quotidianamente nuovo gli spi ­ra intorno. La pianta è quasi secolare, ma il vento è di oggi, il quale, però, per impetuo ­so che sia, penetra nel robu ­sto folto quel tanto che lo di ­simpolveri ma non lo privi dei profumi di cui nella lunga vi ­ta s’imbevve.

Nel groviglio dei rami riman ­gono Fogazzaro, Gozzano, D’Annunzio, e rimane quel Carduc ­ci, poeta «civile » da cui nac ­que il romanziere «civile » Sal ­vator Gotta che attraverso le vicende della famiglia Vela so ­spinta da tutti i venti che pos ­sano trascorrere il mare d’un secolo, ha narrato le fortune e le sventure d’Italia, oh non certo coi ruggiti e i voli del grande cui i cipressi, felici del suo ritorno, correvano incontro avventandosi come antichi cani da guardia, ma con il se ­reno, distaccato animo di chi, lungi dal commisurare i battiti del cuore al tuono delle valan ­ghe, metteva su carta le noti ­zie filtrate attraverso gli albe ­ri delle sue tranquille colline odorose di spiga.

Non ch’egli in quell’odore si rinchiudesse, in quella tranquillità si adagiasse: gli servivano, piuttosto, a temperar le passio ­ni cui non fu sordo, gli entu ­siasmi di cui s’infiammò, gli sconforti dei quali fu preda, le inquietudini che ancor oggi lo accompagnano, conseguenza di non risolti problemi. Se in Fo ­gazzaro senti urgere, in modi talvolta drammatici, quello re ­ligioso, vedi Salvator Gotta stesso conciliare e far convive ­re la religione col piacere, s’ac ­compagnano in lui a braccetto D’Annunzio e il cattolico in ­transigente, e mai che vengano a battaglia perché da questa esca, per sempre, un vincitore. Forse lui e Claudio Vela, il protagonista dell’opera, l’italiano perbene, pieno di sofferti e onorevoli compromessi, sono la stessa persona, oppure Gotta ha voluto tracciare nei suoi ro ­manzi il ritratto d’uno fra noi tutti e d’una fra tutte le no ­stre famiglie?

E’ ad ogni modo un ritratto vivo, animato da centinaia di figure e di figurine dipinte con fogazzariana bravura; di pae ­saggi e di nostalgie di paesag ­gi, e d’ore, e d’attimi in cui però il romanziere Gotta, coi piedi bene in terra, tiene gar ­batamente ma fermamente a freno l’amico poeta Gozzano; di lirici voli appena accennati ma sufficienti a colorare di fantasia le grandi e le piccole realtà, le presenti e le passate, ed è una fantasia così intrisa d’affetto e di familiarità che il tempo risorgimentale sembra di viverlo oggi e il tempo d’oggi sembra di ieri.

La lingua, come scrisse una volta G. A. Borgese, è insieme nobile e comune, letteraria e parlata, quale, del resto, de ­v’essere la lingua dello scritto ­re, al quale il lettore cosa chiede se non dì trasfigurare con la bacchetta magica della chiarezza e d’una sia pur de ­mocratica aristocrazia ciò che egli sente confusamente e «dia ­lettalmente »? Ma nobile o co ­mune, letteraria o parlata che la lingua di Gotta sia, delle parole tu non t’accorgi, preso come sei dall’evidenza e dal fascino della realtà ch’esse esprimono, una realtà la cui sostanza materiale e quella ar ­tistica si fondono al punto da riuscir questa a trasfigurare quella, e la prima a render fa ­cile, come fosse d’una cronaca, la lettura della seconda.

Nel terzo volume della Saga son rivissuti gli anni dal 1918 ad oggi, né mancano, quando si parli del fascismo, quei giu ­dizi che al lettore superficiale possono anche sembrare cauti e prudenti, e sono invece quelli di un uomo che pur sinceramen ­te e profondamente innamorato della libertà accompagna al sentimento di essa quello umano dell’indulgenza e quello cristia ­no della pietà.

Un vasto quadro di vita nel ­le cui figure e nelle cui figurine non c’è nessuno di noi che non possa riconoscersi. Que ­sta, sembra dire Salvator Got ­ta, è una famiglia italiana, an ­zi, di più, questi siamo noi ita ­liani seguiti nel cammino d’un secolo, coi nostri difetti e i nostri pregi, le nostre colpe e le nostre virtù, e soprattutto quel ­le contraddizioni che sono nel ­lo stesso tempo la nostra om ­bra e la nostra luce.

Quanto di inventato e di vis ­suto, quanto di distaccato e di autobiografico sia nell’opera non è facile dire e non è faci ­le distinguere, ma siamo del ­l’opinione, ben conoscendo Got ­ta, e avendo in questi ultimi anni frequentemente ricevuto le sue confidenze e goduto del piacere che si prova â— abile conversatore quale egli è â— ai racconti dei suoi ricordi che lo scrittore e l’uomo siano in lui fedelissimi compagni che, iniziato il cammino agli inizi del secolo, lo proseguano ora, nelle segrete campagne di Portofino, l’uno sempre più rico ­noscendo se stesso nell’altro, amandolo per la sua dirittura morale, per la sua nobiltà di sentire, e per le sue debolezze, le quali, via via che il tempo passa, diventano un vezzo, una civetteria teneri e commo ­venti.

Vorrei poteste ascoltarli nei loro colloqui durante un cammino che promette d’essere an ­cora lungo e fruttuoso: n’esce un uomo che se anche ha par ­te dei nostri difetti, possiede tutte le nostre virtù, e che nel ­la sua intelligenza, nella sua saggezza, nella sua civiltà, nel ­la sua modestia, e nel lavoro e nel sacrificio che ancora a ot ­tant’anni affronta con la fede e il piacere di chi ne ha venti, esalta quanto di meglio è nel ­la nostra natura di italiani.

 

 


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Bart