LETTERATURA: I MAESTRI: L’Ultimo anno del “Bertoldo”12 Aprile 2018 di Mosca Gli ultimi anni del «Bertol do » furono memorabili. S’in tende, per noi che lo faceva mo e per il gruppo di giovani, assai folto in verità, che ci se guiva. Di questi giovani cono sco non pochi, e continuo a co noscere, ormai tutti coi capelli bianchi: non v’è città o paese in cui mi rechi dove uno non mi venga incontro per ricor darmi il tempo delle «Lettere fra noi ». Erano lettere aperte che Gilberto Loverso ed io ci scambiavamo settimanalmente, e una fece scalpore, quella su Appelius, l’« annunciatore del regime », il quale, invariabil mente, terminava i suoi pisto lotti di propaganda con un re pellente « Dio stramaledica gli inglesi ». Ora, è indubitato da tutti che non sempre, per ciò che hanno fatto, gli inglesi ab biano meritato d’essere bene detti, ma quell’anatema, se anche aveva radici in certo èmpito savonaroliano, era as solutamente incivile, e nume rosissimi erano gl’italiani che se ne sentivano profondamente offesi, specialmente i giovani. Negli ultimi anni del fasci smo era venuta formandosi, fra costoro, una schiera di de mocratici che la democrazia avevano imparato non dai trop po lontani e sconosciuti fuo rusciti, ma da sé, per reazione a una dittatura che nelle diffi coltà e nel pericolo mostrava i suoi volti peggiori. Quella let tera contro Appelius, nella quale senza tanti riguardi e, ormai, senza più timori si di ceva che ci rifiutavamo di ri conoscere in quella voce l’e spressione dei sentimenti del popolo italiano fu come un improvviso squillo di tromba dopo un infinitamente lungo silenzio. Il « Bertoldo » andò a ruba. Quando venne l’ordine di sequestro, era già esaurito. Fu ristampato e distribuito gratis. Nessun aperto provvedimento contro di me, ch’ero il diretto re responsabile, ma un siluro segreto: il richiamo alle armi e partenza per la Tunisia, do ve, di lì a pochi giorni, l’Ita lia non avrebbe avuto che un’armata di prigionieri. Mi venne in mente il colonnello De Dominicis, che non cono scevo, ma spesso inviava al « Bertoldo » lettere di plauso e d’incoraggiamento. Era a Mi lano, in via del Carmine, al l’ufficio reclutamento. Andai, mi presentai, mi chiese: «Chi le vuol male? », stracciò il ri chiamo in Tunisia lo convertì in un richiamo al VII Reggimento in Piazza Sant’Ambro gio. « Speriamo non se ne ac corgano ». Non se ne accorsero. E noi continuammo. Ricordi, Lover so, le conferenze in viale Ro magna, alla Casa dello Stu dente? In prima fila Fuscà, amicissimo, capo dell’ufficio stampa della prefettura. Con gli occhi supplicava modera zione, con l’animo era con noi. Gli studenti finivano in piedi sulle sedie e sui tavoli per ap plaudire più alto. Chiedevamo che il fascismo si facesse da parte per lasciare a un gover no democratico la guida del Paese. Direte: ma erano gli ultimi mesi del fascismo, la baracca scricchiolava, ci voleva poco a fare gli eroi. Può darsi, ma alla Casa dello Studente non vennero altri a parlare, e le organizzazioni clandestine con tinuavano a diffondere la no stra lettera contro Appelius rimanendo clandestine. Dal «Bertoldo » nacque, in fine, La sommossa, l’unica com media satirica rappresentata in Italia durante i vent’anni. Un atto unico. Nell’isola di Corcira tutti vestono la stessa divisa, e, sul cappello, una piuma oscu ra, ma un cittadino, deciso a far la sommossa da solo, se ne mette una celeste e genera una rivoluzione che giunge fino alla rocca del Governatore, non solo padrone, ma anche creatore di tutto: prima di lui, difatti, l’al ba, il tramonto, gli alberi, i fiori, gli elefanti, i cavalli non esistevano, e, per questo, ogni mattina, alle sette, una dele gazione di metallurgici si recava a rendergli grazie. Un atto unico non basta a riempire una serata, perciò ne scrissi altri due, L’anticamera e La giostra e portai il tutto a Luigi Cimara, a capo, allora, d’una compagnia della quale fa cevano parte Laura Adani ed Ernesto Calindri. La tentazione era grande. « Ma senza il per messo preventivo non possiamo far nulla » disse Cimara. «E a chi bisogna chiederlo? ». « A Zurlo ». Chi era Zurlo? Un prefetto cui Mussolini aveva affidato il compito di gran censore. Aveva l’ufficio in via Veneto. M’acco glie cordialmente, è un lettore assiduo del « Bertoldo », « Di che cosa ha bisogno? ». Dava del lei, non del tu. « Vorrei far rappresentare questi tre atti ». «Me li dia, appena potrò li leggerò, e le farò scrivere ». «Eccellenza (già a quel tempo il titolo era abolito) non posso aspettare. Fra questi atti ce n’è uno al quale è difficile che lei possa mettere il visto, e la compagnia non può metterlo in prova se non vistato. Gli altri due li legga quando vuo le, sono innocenti ». «Bene, venga domattina alle undici ». Andai, aveva appena finito di leggere, e teneva in mano la matita con la quale non aveva fatto né un taglio né una mo difica. Subito mi chiese: «Sa quanti anni ho? ». Esitai. Non è soltanto alle donne ch’è dif ficile dire l’età. « Sessanta ». «Magari. Ne ho compiuti ses santacinque, e fra pochi mesi vado in pensione. Se mi ci mandano in anticipo, niente di male. E poi la penso come lei. Eccole il visto e buona for tuna ». Non con tutti gli attori della compagnia posso rievocare i bei giorni delle prove. Cimara, che aveva la penna celeste, non c’è più. Ma la Adani e Calindri ricordano bene il me raviglioso sapor di congiura che ebbero quei giorni, e Fuscà, che veniva a trovarci, a certe bat tute esclamava: «Ma questo è impossibile! Mi mettete nei guai! », e noi, ogni volta, a mettergli sotto gli occhi il visto di Zurlo, fino a che anche lui non veniva preso nel gioco e non gridava: «Ma sì, ma tanti saluti, andrà come Dio vorrà! », e andò benissimo, a Milano â— teatro Olimpia, oggi diventato un magazzino â—, a Roma â— teatro Eliseo â—, e in tante al tre città. Mi fischiarono per La giostra, m’applaudirono per L’anticame ra, per La sommossa gridaro no evviva, sul palcoscenico saltò anche Fuscà, gli detti uno spin tone, lo buttai giù: «Sei mat to? ». E sì che, prima di ridere, ce ne avevano messo di tempo! Alle prime battute ebbero pau ra. Silenzio di tomba. Poi, quando i metallurgici andaro no a ringraziare il creatore de gli elefanti e degli alberi da frutto, l’ilarità esplose, si perse ogni ritegno, i questurini sparsi nella platea risero anche loro, e c’era poco da ridere: sul no stro povero Paese incombeva il disastro che di lì a poco ci avrebbe travolti come una va langa.
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