LETTERATURA: I MAESTRI: Simenon è un vero scrittore?27 Aprile 2012 di Giuseppe Bonura Uno lo guarda, e subito gli salta in mente la do manda maliziosa: è un vero scrittore? Naturalmente, se la tiene per sé, o almeno cerca di non porla in termini così aspri. Anche perché Simenon suscita più sentimenti fi liali che antagonistici. Un pa dre, ecco cos’è, un padre, di ciamo entre les deux guerres, gli occhiali con la montatura di tartaruga, la cravatta a far falla, il fazzoletto bianco mez zo fuori dal taschino della giac ca, e la pipa, che è il detta glio più famoso, quasi un trop po letterario. Un uomo sempli ce, socievole, lindo, ordinato, e soprattutto disposto a parlare, di sé, dei suoi libri, di quelli degli altri, della letteratura in generale. – Signor Simenon, l’impo nente successo di pubblico e di critica le sembra adeguato al valore complessivo della sua opera? – Non mi sono mai posto questo problema. Tutto quello che accade intorno a ogni mio romanzo, le vendite, le tradu zioni, i diritti cinematografici e televisivi, insomma quello che si chiama il successo ogni vol ta mi stupisce come se fosse la prima volta, come se questo accadesse a un Simenon diciot tenne, debuttante, timido e pie no di speranze al tempo stesso. – Lei ha affermato più vol te di essere infastidito dal suc cesso di Maigret. Tuttavia que sto successo non si è verificato improvvisamente. Perché ha seguitato a scrivere le sto rie del celebre commissario? – Premetto che considero il mestiere del romanziere un mestiere come un altro. Un ro manzo è un lavoro d’artigianato. C’è naturalmente il bravo e il cattivo artigiano. Con que sta idea, è chiaro che pensai subito al romanzo poliziesco come a un genere adatto per fare della letteratura né alta né bassa, diciamo popolare, che mi permettesse senza trop pe preoccupazioni intellettuali stiche di saggiare liberamente i miei temi. Nel romanzo poli ziesco ci sono alcune tecniche che si possono vantaggiosamen te sfruttare altrove. No, non sono infastidito dal successo di Maigret: vorrei solo che si ca pisse che Maigret mi serve, in un certo senso, da stimolo e in troduzione agli altri romanzi. Due segretarie, una francese e una inglese, nella sua incre dibile villa-monumento di Epalinges, nei pressi di Losanna, rispondono a tutte le lettere che giungono a Simenon. Qual che volta, lui stesso si prende il disturbo di rispondere. « La corrispondenza mi serve per far la mano allo scrivere », di ceva Balzac. – Signor Simenon, lei è stato spesso paragonato a Balzac. Questo paragone non le pare un po’ irriverente verso… Bal zac? – Ecco, è uno di quei con fronti o paralleli o paragoni, co me dice lei, che mi hanno fatto sempre sorridere. A volte, an che un po’ meno che sorridere. Vede, la molla che fa scatta re i personaggi di Balzac è la ambizione, la voglia smodata di primeggiare, l’avidità di gua dagno e sentimenti simili. In verità, non vedo proprio in che cosa i miei personaggi possa no rassomigliare a quelli di Balzac. No, io e Balzac non siamo neanche cugini… â— La sua fama, signor Si menon, è indiscussa. Ha fatto mai niente per aiutare questa fama, qualche compromesso con se stesso, con la sua voca zione per assecondare i gusti del pubblico? – No, mai. Ho sempre Scrit to quello che realmente senti vo di scrivere. Non ho mai tol to una riga dai miei romanzi o racconti se non ne ero perso nalmente convinto. Nei riguar di del cinema e della televisio ne, mi sono comportato allo stesso modo. Il successo mi è cresciuto tra le mani e ancora adesso, le ripeto, mi stupisce. Ma non faccio niente per as secondarlo. In effetti, Simenon parla del suo successo quasi si trattasse di altra cosa da sé, sua sì ma che potrebbe benissimo appar tenere a un altro, come il ve stito che indossa ad esempio. E non c’è affettazione in que sto, non orgoglio, non falsa mo destia o, peggio ancora, astu zia. – Signor Simenon, si sente uno scrittore impegnato nel definire il senso della realtà, della società? – Sì, e molto. Ma in una ma niera che vorrei spiegare. Ec co, se uno mi chiedesse di de finire questa realtà o società in termini politici, mi rifiute rei di rispondere direttamente. Del resto, non ho mai risposto a questa domanda neanche nei miei romanzi. Con la religio ne mi sono comportato allo stesso modo. Invece mi sento impegnato a definire sentimen talmente il mondo e l’uomo, insomma la società. Quello che realmente mi interessa è sco prire nell’uomo la sua umani tà, la sua dignità, la sua liber tà, il suo dolore e la sua gioia. Ma tutto questo, in quanto uomo di ieri e di oggi, di sem pre, svincolato da ogni contin genza effimera. Sì, credo nel l’individualità dell’essere uma no, nella sua particolare verità. â— Una volta di più lei ha affermato di non professare idee politiche, o almeno pre giudizi politici. Pensa sul se rio che un romanziere e il suo universo romanzesco possano essere apolitici? – Le ripeto, sono un indivi dualista assoluto, integrale. Tutto quello che limita la li bertà dell’uomo mi sembra in tollerabile, esecrabile. Non potrei sopportarlo in nessun modo e per nessuna ragione. Chiaro? Oscuro? Certo è che da questa domanda non si ca va molto di più. Ci hanno pro vato in tanti, alcuni anche au torevoli, e in occasioni specia li. André Perinuad, per esem pio, che nel 1955 gli fece pres sappoco le stesse domande alla Radio francese s’ebbe risposte identiche nella sostanza. Quel la volta Simenon disse che la politica non gli interessava in quanto romanziere ma solo « per diletto personale ». – Signor Simenon, nei suoi romanzi agisce sempre un uo mo comune, un tipico antieroe. Questo antieroe o uomo comune o uomo della strada è im messo in una struttura narra tiva tradizionale, che deriva, grosso modo, dal naturalismo francese. Non crede che i suoi personaggi siano degli abili aggiornamenti dei personag gi ottocenteschi e che proprio per questo diano un’immagi ne falsa dell’uomo contempo raneo? – Sta ai lettori e ai critici deciderlo. Personalmente, cre do che l’uomo comune non sia molto cambiato, che le sue passioni, i suoi sentimenti sia no sempre gli stessi. Sono gli intellettuali che cambiano. Ec co, le faccio un esempio. Ogni giorno c’è gente che si uccide o che uccide. Ebbene, ho no tato che il suicidio o l’omici dio dell’uomo della strada, del l’antieroe, diciamo così, non è mai l’atto di un pensiero che arzigogola su se stesso, che co struisce sul vuoto le proprie ragioni, ma l’impulso autenti co di una personalità autenti ca. L’antieroe non è mai arti ficiale e proprio per questo non cambia mai. La sorridente ma tenace po lemica contro gli intellettuali e gli intellettualismi di ogni genere è una caratteristica di Simenon, che ammette di non conoscere gli scrittori contem poranei, i Robbe-Grillet, i Butor, i Bellow ecc. Degli scrit tori italiani, figuriamoci, nean che un nome. Legato sentimen talmente e culturalmente ai grandi dell’Ottocento, non se n’è mai allontanato, se non per praticare incondizionatamente Faulkner, che cita spesso co me scrittore genuino, in con trapposizione a Hemingway, « che per eccitarsi ha bisogno di palliativi ». Da ragazzo leg geva moltissimo, disordinata- mente, ma captando già il me glio di quel che passavano le bancarelle. Forse è così che si forma un grande scrittore po polare di scarsi mezzi finan ziari: non potendo acquistare le novità per l’alto prezzo, vagola nei negozietti dei rivenditori, tra le bancarelle, nelle soffitte dove sono accatastate pile di libri ammuffiti. E lì trova, naturalmente, roba di tren ta, quaranta, cinquant’anni fa, e piglia a fiuto, legge a naso, sceglie d’istinto. E quelle parole, quegli odori, quelle at mosfere gli entrano dentro e non lo lasciano più per tutta la vita. Così è capitato a Simenon. « S’impara fino a diciott’anni », ha detto un giorno, « poi non si fa che pescare sempre nello stesso riposti glio ». Solo che lui, incredibi le, ogni volta pesca qualcosa di nuovo. – Signor Simenon, agli ini zi della sua carriera pensò di dedicarsi subito al romanzo poliziesco o alla letteratura, diciamo così, più impegnata? con la L maiuscola? – Al principio di tutti i prin cipi inseguivo una letteratura con la L non solo maiuscola ma addirittura gigantesca. Ma credo che questo accada a ogni uomo che vuol mettersi a scrivere. Si comincia sempre pen sando a divinità inaccessibili, e si finisce per coltivare il pro prio pezzetto di terra, dove esi stono cose che uno può tocca re e prendere con le proprie mani e le proprie forze. Quand’ero giovane, oh molto giova ne. avevo in mente modelli mi tici e confrontavo quel che scrivevo con quello che aveva no scritto loro, e il confronto mi induceva a inventare pseu donimi. Più tardi, quando ca pii che l’importante è di esse re se stessi, firmai col mio no me. Niente e nessuno poteva più toccarmi, ormai. – Giacché siamo in argo mento. può dire qual è la sua opinione sul romanzo polizie sco? Pensa che si tratti di un genere irrimediabilmente ne gato alla poesia, oppure no? – Non si può generalizzare, il romanzo poliziesco moder no è l’equivalente del roman zo gotico, del romanzo di av venture, del romanzo di cappa e spada, ecc. Insomma, ogni tempo ha il proprio romanzo popolare. Quanto alla poesia, se sia possibile o meno, be’, questo dipende dal talento del lo scrittore. Guardi Faulkner: quando si mise a scrivere il suo primo romanzo, o uno dei primi, ora non ricordo, voleva semplicemente far dei quattrini con un genere già collau dato, appunto il giallo, e ne venne fuori Santuario. – Quali furono i suoi primi maestri, i suoi primi modelli letterari? – Gogol prima di tutti. Vede, mia madre aveva una pensio ne dove spesso soggiornavano studenti russi. Avevo quattor dici anni, allora. Gogol mi im pressionò enormemente. Spes so mi capitava di ascoltare i discorsi di quegli studenti. Essi si meravigliavano, ad esem pio, che in Francia si leggesse soprattutto Zola; e Dumas per altre ragioni. Erano dei patiti di Maupassant, forse perché influenzati da quello che ne avevano detto Cechov e Tolstoi. Io, a quel tempo, di Mau passant non avevo sentito neanche parlare. Per quanto possa sembrare strano, Mau passant non è stato mai mol to popolare in Francia. Perso nalmente, lo stimo, ma non credo di averne subito il fa scino, o qualche influenza let teraria. Del resto, ho cominciato a leggerlo relativamente tardi. Dai quattordici ai diciott’anni, ripeto, praticavo soprat tutto i russi, in tutti i sensi. Dostojevskij, Puskin e Gogol in testa. In seguito, scoprii la letteratura inglese, scoprii Dickens, col quale mi sembra di avere delle affinità. Natural mente, non voglio dimenticare Balzac e Stendhal in questa rassegna, un po’ troppo rapida e inevitabilmente incompleta. Come si può dedurre, le letture di Simenon, le letture degli anni della formazione, non si differenziano da quelle di ogni scrittore di quel tempo. Tutta via, nei titoli e nei nomi c’era già un preciso orientamen to, un’intelligenza istintiva che gli permetteva di scegliere solo gli affini, per trovarvi o ritro varvi la gente della banlieu parigina, gli odori e sapori dei mercati, un’umanità vociante e sanguigna, tutta calata nei suoi bisogni istintivi. Simenon, allora, aveva già lasciato Liegi, dove era nato il 13 febbraio 1903, in rue Léopold. Nei regi stri dell’anagrafe: Georges, Jo seph, Christian Simenon. Quando Simenon nasce, il padre, Désiré, ha venticinque anni: fa il contabile in una piccola compagnia di assicurazioni. La madre ne ha ventidue, si chia ma Henriette Brüll, è di ori gine tedesca. Non si sciala, in famiglia: i conti della spesa si fanno su pessima carta, che forse ha un odore tutto parti colare, un po’ untuoso, di ma ni grasse e sudate. Simenon non ha mai dimenticato quegli anni, ha una memoria formida bile, forse ricorda anche i pri mi vagiti. – Lei ha scritto circa due cento romanzi e un numero imprecisato di racconti, inol tre reportages, pièces teatrali ecc. Come si sente: padrone di questo enorme movimento, di ciamo così, culturale e com merciale o vittima dell’industria editoriale? – Vede, io non ho fatto asso lutamente nulla, ripeto, per im primere una qualche direzio ne a questo movimento, come dice lei. Le richieste mi sono venute dagli altri, io ho soltan to dato il benestare. Se non mi sentivo di farlo, rifiutavo. Non ho mai scritto un roman zo su commissione, né una sce neggiatura cinematografica, né un originale televisivo. Su com missione non si può scrivere niente di valido. Se succede, è un miracolò. “Sono assolutamente incapace di scrivere un romanzo che non sento. L’idea, o il sentimento, o l’atmosfera di un romanzo mi si deve for mare dentro, improvvisamen te o lentamente non importa, comunque sempre in modo spontaneo. Vittima, quindi? Non direi proprio. Ma nean che padrone. Lascio che le cose mi nascano intorno da sole. Una volta dagli Stati Uniti un editore mi spedì uno chèque in bianco perché scrivessi una serie di racconti. Gli spedii indietro l’assegno con mille grazie. – Mi scusi, signor Simenon, non le è mai venuto il sospet to, sia pure ironico, di essere il protagonista di un bluff colossale? – No, mai. D’altronde, è un genere di sospetto che non ap partiene alla mia natura. Io scrivo perché mi piace scrive re, perché amo immensamente questo mestiere. Il resto non mi riguarda. – Per il fatto che i suoi ro manzi siano stati e siano tut tora letti da Churchill e Ti to, Malraux e Mauriac, ecc., con la stessa passione o lo stesso interesse, non le è mai venuto in mente, che la sua letteratura sia una sorta di loisir universale? – Ognuno di noi legge per di stendersi, per riprovare le emo zioni della prima infanzia, quando il mondo è ogni gior no una scoperta e le cose as sumono i contorni della favo la. Se i miei romanzi piaccio no o siano piaciuti a quei signo ri, la cosa mi rende felice. Quanto al loisir universale, be’, significa che il mondo dei miei romanzi è universale, parteci pa dell’umanità in generale e non solo di un uomo partico lare, di un paese o di una na zione. – Di lei hanno parlato be ne, e in qualche caso benissi mo, critici e scrittori famosi come Gide, Miller, Morand, Mauriac, Hemingway, ecc. Crede incondizionatamente ai loro giudizi? Gide, ad esem pio, in un primo momento si sbagliò clamorosamente su Proust, definendolo uno scrit tore per contese linfatiche, o qualcosa del genere. A questo punto Simenon fa una risata divertita, più diver tita delle solite comunque, per ché il sorriso di Simenon non lascia mai l’interlocutore, lo avvolge, lo accarezza con una bontà senza sforzo e sen za smancerie, umanissima, non corriva, e neanche indul gente. – Sì, Gide e gli altri che ha nominato hanno avute spesso e in diversi periodi parole di elogio per la mia opera. Se credo a questi elogi? Mah! Mi hanno fatto e mi fanno tutto ra piacere, ecco tutto. Umana mente piacere, come uomo, co me padre di famiglia â— di nuo vo sorride. â— Come scrittore, be’, che cosa ho da spartire io con questi signori? Prendiamo il caso di Gide. Era un intel lettuale raffinato, acuto, un letterato elegante e dotato di non comuni doti critiche. Ma che cosa c’entrano i miei ro manzi con i suoi giudizi cri tici? Sono due cose completamente diverse. 0 si è scritto ri o si è critici: le due quali tà non possono coesistere nella stessa persona. Gide mi scri veva lettere bellissime, ne ho in casa circa centocinquanta, tutte inedite, in cui mi parlava dei miei romanzi come se li avesse esaminati con una gi gantesca lente d’ingrandimen to. Ebbene, ho continuato a scrivere come avevo sempre scritto, non curandomi né di critiche né di elogi. – E’ noto che porta a ter mine un romanzo in undici giorni, certe volte anche me no. Non ha mai pensato che questi record reiterati siano una risposta, indiretta sì tut tavia derisoria nei riguardi di coloro che per fare altrettanto impiegano anni. Flaubert, ad esempio, impiegò cinque o sei anni per scrivere Madame Bo vary. Il nostro Manzoni venti cinque anni per rifinire I pro messi sposi. – Ogni scrittore è diverso dall’altro, ogni temperamento è diverso dall’altro, sia pure per sfumature minime, Tintoretto o Tiziano impiegavano mesi o anni per portare a ter mine uno dei loro giganteschi affreschi, Van Gogh impiega va quattro o cinque ore o una giornata per dipingere una te la. Mi risponda: vale più Tintoretto o Van Gogh? Oppure: è in grado di istituire seria mente questo paragone? – Signor Simenon, ha affer mato a più riprese di provare un grande dispiacere se, men tre sta scrivendo un romanzo, una qualsiasi contrarietà lo costringe a lasciare a mezzo un personaggio, perché poi non riesce più ad afferrarlo, a vederlo, a viverlo. Non le pa re che questa ossessione del personaggio a tutto tondo fa cesse parte della mentalità dello scrittore ottocentesco? – Altro che dispiacere. Sono disperato. Mi sento come una donna che ha un bambino di cinque mesi e lo perde improv visamente. Non portare fino in fondo un personaggio è un de litto contro la vita, mi sento un po’ come un assassino co stretto da circostanze più for ti di lui a sopprimere una creatura che non ha ancora espresso tutte le sue possibili tà. Mi dice che questa osses sione, questa disperazione fa ceva parte della mentalità del romanziere dell’Ottocento. Che cosa vuole che le risponda? Giudichi lei. – Molti dei suoi personag gi sono malati di nevrosi. Di rei che la sua missione di ro manziere sia di curare le ne vrosi dei suoi personaggi. Tut tavia, queste nevrosi hanno sempre una origine in qualco sa di molto circoscritto al per sonaggio, nel suo ambiente fa miliare, per esempio, o in una tara remota, in un trauma in fantile. Non ha mai pensato che l’origine reale di queste nevrosi possa trovarsi nelle strutture economiche della so cietà in cui viviamo? – No, certe malattie dell’ani ma esistono in qualsiasi tipo di società. Dico di più: in qual siasi tipo di civiltà. Il terrore o la paura, insomma i traumi che generano le nevrosi di og gi, di ieri, di sempre scaturi scono da una sorta di esperien za ancestrale dell’umanità, che si perpetua al di fuori delle strutture economiche. – Signor Simenon, una vol ta lei ha detto che le genera zioni passano ma che Maigret resta. Questa ostinata soprav vivenza di Maigret non potreb be derivare dalla sostanziale pigrizia del lettore medio, abi tudinario e conservatore? – Non lo so. So soltanto che è un vecchio trucco quello di non fare mai invecchiare un personaggio popolare. E io lo rinnovo continuamente. Pigri e conservatori i lettori? Può darsi. Che ne pensa di quelli che tengono sul loro comodino Omero? – Quale definizione ame rebbe per la sua opera: opera di un grande artigiano o di un grande artista? – Di un grande artigiano: è molto più tranquillizzante per tutti. – Quale posto pensa che occupa la sua opera nel pano rama della letteratura moder na? Ha aperto nuove strade al romanzo? Oppure ha con cluso una stagione tutto som mato felice, in cui il rapporto tra narratore e società, o real tà, era abbastanza pacifico? – Non posso rispondere con sicurezza. So per certo che molti romanzieri nordameri cani sono stati influenzati dal la mia opera. Ma io credo che ogni vero romanziere non do vrebbe imitare nessuno, che non dovrebbe soprattutto apri re una scuola per epigoni. Ogni vero romanziere è un qualcosa che sta a sé, che non somiglia a nessuno. Non apre e non chiude niente, insomma. E’ lì, e basta. – Quale dei suoi tanti ro manzi ama di più? – Sempre l’ultimo. Recen temente è uscito a Parigi Le chat, che io considero più una tragedia moderna che un ro manzo. E’ la storia di due vec chi sposi che si odiano e che passano le loro serate davan ti alla televisione. Lui adora un gatto, lei un pappagallo. Non si parlano tra loro, solo conversano con le loro bestio le, riversano in esse tutti i loro affetti. Ebbene, costretti a stare insieme perché a una cer ta età non ci si divorzia, lui uccide il pappagallo di lei, e lei uccide il gatto di lui. Que sta, per me è una tragedia. Uc cisi nei loro affetti, anche i vecchi moriranno. Insomma, si uccidono senza toccarsi. L’interlocutore tace. Pensa che questa storia di uccidersi senza neppure torcere un ca pello alla vittima fa parte del la storia dei nostri giorni, di tutti i giorni. Solo che l’uomo della strada non se ne accor ge. Com’è allora che Simenon se ne accorge? Semplice, istin tivo e tuttavia intelligente co me deve essere intelligente un grande romanziere, va sempre diritto al nocciolo del proble ma, con una sicurezza prodi giosa, però si ha l’impressione che, umanissimo e discreto, non spezza mai il nocciolo per studiarne la « struttura », per capire se sono le leggi di mer cato che ne determinano il pe so, la forma, le deformazioni e il valore: del nocciolo, s’in tende.
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Commento by giovanni micozzi — 5 Maggio 2012 @ 13:21
ognuno ha i suoi gusti e le sue opinioni, e questo in campo letterario vale forse ancor più che in altri campi.Io personalmente, di fronte a uno che si chiede (sia pure nel 1967) se Simenon sia un vero scrittore, resto perplesso . Anche a voler tralasciare i romanzi di Maigret, che pure sono capolavori nel loro genere, di fronte a libri come “Pedigree” o “Lettera a mia madre” non so come si possano ancora avere dubbi sul fatto che S. è non solo un vero scrittore, ma un grande scrittore. Il fatto è che in Italia, per uno strano pregiudizio, se un autore “vende ” molto i critici storcono automaticamente il naso. Come se vendere poco fosse un requisito indispensabile per essere considerato uno scrittore “di qualità”. Mah.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 5 Maggio 2012 @ 14:24
Sono d’accordo. Simenon è uno scrittore di qualità. Suggerisco anche il suo splendido romanzo:
Il Borgomastro di Furnes
Commento by maurizio testa — 14 Giugno 2012 @ 17:49
Sono d’accordo con Giovanni. Oggi nel 2012 chiedersi se Georges Simenon sia stato un “vero scrittore” non è solo oziosa, ma direi anche tardiva. Non so quanti anni abbia l’estensore dell’articolo e cosa abbia letto e soprattutto cosa abbia letto di Simenon, ma porsi una domanda del genere a quarant’anni dalla pubblicazione del suo ultimo scritto (Maigret et Monsieur Charles) fa pensare o che sia ancora giovanissimo, o poco attento al panorama letterario del ‘900 e all’oscuro dei giudizi che hanno dato di lui e della sua opera da André Gide a Gustav Jung a Fellini (per non limitarsi al campo letterario). Ad ogni modo ognuno ha pieno diritto di chiedersi qualsiasi cosa e di farsi piacere o non qualsiasi autore. Poi però deve accettare che le sue scelte vengano criticate e anche duramente. L’unico aggettivo che, a nostro avviso, può essere consono a questa “domanda” è “retorica”…
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 15 Giugno 2012 @ 00:12
Fate attenzione. L’articolo è frutto del mio lavoro di ricerca: I Maestri. E’ stato scritto da Giuseppe Bonura, scrittore morto nel 2008, nel 1967.