LETTERATURA: I MAESTRI: Taccuino notturno: Un’ipotesi15 Novembre 2016 di Ennio Flaiano Su, comunichi, si sforzi di comunicare, avanti, dica qualcosa, l’essenziale è parlare, dialogare. Per farle piacere le dirò che lei mi è antipatico. Oh, vede che qualcosa ha da dirmi? Continui. Lei vuol farmi parlare perché è convinto di infondermi la sua verità. Dunque lei ammette che io posseggo la verità, e che non le nego il diritto di condivi derla! Mi lasci, a che servono queste unghie che sta tirando fuori? E questi denti? A dia logare meglio. No, dialogo im possibile, segue lettera, baci. * Bisogna tenersi pronti, mi scriveva Mino Maccari un an no fa, perché da un momento all’altro potremmo trovarci al centro della disattenzione ge nerale. Un cane sorpreso dal suo padrone a sotterrare un gattino vivo si scusò dicendo che l’aveva visto fare da al cuni ragazzi. Lui scrive, lei scrive. Si mettono allo scrit toio e scrivono a quattro ma ni. Per anni, aprendo il gior nale alla pagina degli spetta coli, abbiamo visto pistole puntate contro di noi. Adesso le pistole sono sopraffatte da donne che si annusano, anche giapponesi. Da un romanzo poliziesco: « Oh, disse il gio vane, lei è donna, che stra no, il sesso che preferisco ». Il critico teatrale di tanto in tanto pensava a Brecht e si svegliava in un sussulto di noia. Quest’altro, non sapen do dove andare nelle strade affollate, scendeva nei sottopassaggi pedonali e lì veniva assalito da una folla di ricor di e di colpo scopriva che esi stono ancora i calli e i duro ni, le enciclopedie a rate, i fo tografi d’arte e che si può fare la sauna in casa; e ne usciva stravolto dalla commozione. Lavoro teatrale, dice il mani festo, non tragedia, o dramma o commedia, terminologia borghese. La retorica continua allora lavoriamo: il romanzo sarà lavoro narrativo, il poema lavoro lirico, il sonetto la voro in quattordici versi. E io vi dico che chi amerà il la voro più di me sarà perduto. * Poiché le cose andavano male e se ne parlava, e tutti a destra e a sinistra la deside ravano, un giorno ci svegliammo con la dittatura. In attesa di sapere che colore avrebbe preso, ci fu una riunione. I dittatori in realtà erano due, ognuno pronto a divorare l’al tro, ma si facevano gran sor risi. I problemi da risolvere erano vari e complessi, e im pellenti. « Prima di tutto â— disse il Dittatore n. 1 â— non possiamo esaminare nessun problema se non sappiamo chi è il nostro nemico ». L’altro annuì. Gli rispose un ministro: « Fortunatamente, non abbia mo nemici. E anche l’econo mia è solida. La crisi è filo sofica. Urgono provvedimenti filosofici ». « Da oggi la Filosofia sia mo noi â— disse il Dittatore n. 1 â— e riteniamo che un nemico è indispensabile. An zi, uno interno e uno esterno. Quello interno l’abbiamo già, sono coloro che non ci ap plaudiranno. Quello esterno, per ora, è il nostro vicino. Da questo momento i giovani debbono odiarlo e disprezzar lo: per la rilassatezza dei suoi costumi, per la sua scarsa vi rilità, perché non è retto da una dittatura. Si facciano su bito manifestazioni di piazza contro questo Nemico, e ma novre militari alle frontiere. Si costruiscano navi e cannoni, ponendoli come alternativa democratica al burro. E adesso vediamo i pro blemi ». Presero un foglio e lo esa minarono. Il Dittatore n. 2 cominciò: « Gli scioperi? Na zionalizzarli. Gli studenti? In quadrarli col pre-salario. Gli intellettuali? Idem, col post- salario. I dissenzienti? Am monirli. La crisi dei partiti? Il parlamentarismo è finito, finita dunque la crisi dei par titi e anche la crisi delle cor renti dei partiti. La democra zia? Siamo noi, a tutti gli effetti. Resta da trovare l’ag gettivo che migliori il sostan tivo… » « Ma per questo â— inter ruppe il Dittatore n. 1 â— aspettiamo a vedere che piega prendono gli avvenimenti. Non mettiamo il carro dello Stato davanti ai buoi ». Tutti risero. « La crisi del turismo? â— riprese il Dittatore n. 2 – Ritirare i passaporti per fa vorire il turismo interno. La riforma burocratica? Aumen tare i burocrati, sino alla Pie na Burocrazia ». « Tutti statali, nessuno sta tale â— aggiunse il Dittatore 1. â— Ma terrorizzarli con la diminuzione degli stipendi. Quanto al ritardo dei treni io e il mio collega siamo d’accor do nel modificare gli orari, elasticizzandoli… Vedo qui al tri problemi minori. Venezia da salvare, dichiariamola fuo ri pericolo. II divorzio? Riba dire l’indissolubilità dell’adul terio. L’edilizia ristagna? Distruggere i centri storici e ri farli. I parchi nazionali in ro vina? Lottizziamoli. I porti di ventano angusti? Restringia mo le navi… » « I telefoni non funziona no? â— continuò il Dittatore n. 2 â— Mettiamoli sotto con trollo. La montagna si spopo la? Popoliamola di confinati politici. Si inquinano le ac que? Si beva più vino, e con ciò risolveremo anche il pro blema n. 16, la crisi vinicola. Le frodi alimentari? Spariran no, penso, con la istituzione delle tessere alimentari, assie me agli alimenti ». « Giusto â— disse il Ditta tore n. 1. â— Gli ortofrutticoli protestano? Affidarli alla Ma fia. E la Mafia? Corromperla. E lo Stato arteriosclerotico? Divinizzarlo. Il traffico para lizza le città? Potenziarlo ». Sorrise e continuò: « Se il mio collega mi permette un aforisma, dirò che oggi il suc cesso di ogni rivoluzione, e quindi di ogni dittatura, è condizionato alla paura dell’automobilista. Il nostro po tere poggia sulla tranquillità dell’automobilista. E’ perico loso toccare l’automobile. Quand la voiture va, tout va ». Ci furono altri applausi. Il Dittatore n. 1 si fece serio e riprese: « L’educazione ses suale? Sì, ma l’erotismo sia nazionale. L’erotismo sta di ventando un’industria, che po trà dare allo Stato un appor to economico non indifferen te. Considerarlo ancora come un’attività privata è voler ne gare il suo carattere sociale e collettivo. Ormai attorno all’erotismo e per l’erotismo, grazie alla pornografia, è tut to un fiorire di iniziative che vanno dall’editoria speciale all’aumentata richiesta di po sti-letto negli alberghi, argo mento questo che si ricollega al problema del turismo. Non parliamo del cinema, che per primo ha capito i nuovi tempi. Io propongo la nazionalizza zione totale ». « E il problema sanitario? Gli ospedali? » domandò un ministro. « Il nostro popolo è fonda mentalmente sano » rispose il Dittatore n. 1. Ci furono ap plausi prolungati. « La Giustizia è lenta? â— riprese. â— Acceleriamo l’in giustizia. Il costo della vita aumenta? Aumentare anche la tassazione diretta, anzi istitui re la scala mobile del fisco. Le alluvioni? Ignorarle. Le frane? Disprezzarle. I terre moti? Attribuirli alla geolo gia. La scuola? Lasciarla aper ta a tutte le innovazioni fino a disgustarne gli scolari… » « Ma non abolirla â— inter ruppe il Dittatore n. 2. â— Ab biamo bisogno di otto milioni di dottori ». Dopo gli applausi, il Ditta tore n. 1 continuò: « Resta l’aumento della criminalità. Attenueremo le statistiche. Il Mezzogiorno? Visitarlo spes so. La disoccupazione? Di strarla. E mi sembra che non ci sia altro. Ah, dimenticavo la stampa. Allinearla, censu rarla, abolirla, secondo i casi ». « Ma i giovani vorranno questa libertà », osservò un ministro. I due dittatori si consulta rono e risposero insieme: « Scrivete sui muri con ver nici indelebili: ‘ La libertà porta alla noia e la noia alla dittatura, e la dittature è quella che è’ ».
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