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LETTERATURA: I MAESTRI: Virginia Woolf apparteneva ad una società già finita prima che scoppiasse la guerra

24 Aprile 2013

di Adele Cambria
[da “La Fiera Letteraria”, numero 10, giovedì 9 marzo 1967]

Londra, marzo

La prima domenica in una casa di campagna inglese. Buckinghamshire, alberi con le foglie esattamente rosse, e vene rosse nel cielo, una ragazza a cavallo, la casa appar ­teneva al duca di Malbrough, do ­po ad altri, che l’hanno venduta allo Stato. L’ha presa in affitto il direttore del Victoria and Al ­bert Museum, che s’è dimesso in agosto: la ragione è che non ave ­va voglia più di lottare per una migliore amministrazione del Vic ­toria and Albert: io taccio pen ­sando i musei italiani e questi tiepidi, nitidi, dove si può vivere giorni guardando, godendo, e i bambini giocano a cache-cache, e le ragazze in miniskirt copiano i Della Robbia.

Ma ora la casa: archi di fitti mattoni, il colore di quest’Inghil ­terra è brunorosso, le mura alle ­gre come gli alberi, i Malesworth hanno adattato la fattoria del du ­ca (1710) a minima casa di cam ­pagna. Quanto continuo a impa ­rare. anche da questa regalata do ­menica, dal lunch al tè, perfetta.

Mi viene a prendere, con la sua macchina, la consigliera cul ­turale dell’ambasciata tedesca a Londra: la padrona di casa, Dame Eve, che ancora non ho mai visto, l’ha scelta per me, perché parla italiano. E’ una donna di cinquant’anni, pullover di lana grezza e sandali; per chi abita Londra questo limpido autunno è una giostra (the summer), l’estate, miracolosa, che ancora non finisce di girare. Parliamo: mi piace che sia una persona chiara, non si fa illusioni e non ne rifornisce gli altri: quando è arrivata a Londra sono tredici anni, niente era facile per una tedesca. « Come i Carandini », mi dirà, dopo, Lady Eve. « Il primo ambasciatore italiano a Londra, finita la guerra, aveva una pro ­babilità su cento di essere ama ­to. Ci sono riusciti, Elena e Ni ­colò ».

Primi esemplari

Direttamente a Mosley â— l’ex- direttore del Museo â— chiedo per ­ché gli inglesi, Churchill e gli altri, siano stati molto più duri con noi degli americani. Lascia la pipa, la bottiglia di vino rosso e risponde: « Il Paese del sole, il Paese di tutti i nostri viaggi sentimentali, come potevamo per ­donarlo? ». La sua passione e la tagliente franchezza, me ne con ­fermano la qualità aulica di in ­glese italianato: anche la mo ­glie. Si occupa dei giardini delle città satelliti di Londra. Lei, il marito, sono i primi esemplari che conosco di una classe senza più poteri, e quasi nessun altro privilegio se non l’educazione a comprendere, e, qualche volta, come in questo caso, a collabora ­re con le forze nuove. (Il li ­bro autobiografico di MacMillan, Winds who changed » è sul ta ­volo dell’orangery, e ne parlere ­mo, dopo). Ma ora, dal principio, questa lezione, privilegiato rega ­lo, di domenica in campagna. Il lunch è per l’una e trenta: pen ­so l’orario italiano come un sup ­plemento di gentilezza per me, e Dame Eve in grembiule colo ­re geranio â— laverà i piatti, do ­po, infilando il guanto di gomma sulla mano destra, e parlando delle sculture di Moore â— dice che lei ama avere una lunga, lunga mattinata: all’una e tren ­ta il lunch, alle sei i cocktails a Londra, che non le piacciono; ma, anche per due coniugi en rétraite (sposati da trentaquattro anni), qualche volta sono un obbligo. Alle nove, il pranzo.

In questi giorni, marito e mo ­glie stanno mettendo le doppie finestre, e gli stucchi al cami ­no, e oggi hanno verniciato di blu e di verde le griglie dell’Orangery. Sant’Antonio e San Francesco di gesso, dipinto d’oro, denunciano il gusto per l’Italia popolaresca (in parte finita, e lo sanno), delle processioni e dei taumaturghi. Ottimi Klein e Picasso e Giacometti, anche nell’Orangery. Non hanno nessuno che li aiuta? Un operaio, che ha meno di trent’anni, viene due volte alla settimana: « Questa è l’Inghilterra in cui si può spe ­rare », dice Mosley, « se ne infi ­schiano e sanno il fatto loro. Sia nel proletariato, sia tra gli intel ­lettuali. Al Victoria and Albert, non volevo, nel mio ufficio, che questi giovani perfettamente equipaggiati per vivere oggi. Mac ­Millan, e la sua amica Virginia Woolf, incantevole scrittrice, ap ­partenevano a una società finita già prima che incominciasse la guerra: anzi, una società inven ­tata da loro ». Mi avverte Eve:
« Attenta che qui Mosley salta fuori con la sua inclinazione per il paradosso ».

Intellettuali senza potere

La padrona di casa, prodigan ­dosi per me, immigrata, ignoran ­te (calabrese), mette fuori di con ­tinuo le frecce, per avvertirmi della topografia della conversazione. Ora quest’annientare il clan di Virginia Woolf: Virginia, figlia di un critico ed erudito, Mr. Stephen, che dirigeva il Cornhill Magazine, e aveva sposato in prime nozze una figlia di Thackerày. Virginia e le sue sorelle nell’album delle Fotografie vitto ­riane. Virginia sposata a Léonard Woolf, nella sua casa di Bloombury, frequentata da E.M. Forster, dall’economista Keynes, da Tho ­mas Hardy e da Harold MacMil ­lan. Virginia e il marito che in ­ventano la Hogarth Press e pub ­blicano, stampati a mano, il Pre ­lude della Mansfield e i Poems, ignoti, di Eliot. E la casa di cam ­pagna nel Sussex, e il cappello che galleggia sul fiume, quando lei si uccide, nel 1941, non sop ­portando l’idea di un’invasione nazista dell’Inghilterra?

Mosley insiste: « Gli intellet ­tuali non hanno mai avuto nes ­sun potere, in Inghilterra. Una volta, nella misura in cui riusci ­vano a mischiarsi con l’aristocra ­zia. Ma oggi qual è il ruolo della monarchia inglese? Ottimi impie ­gati, da adoperare nelle public relations. Per quanto devo dire che quel donnino, Elisabetta, fa molto meglio del padre: il padre, quando eravamo in piena guer ­ra, ogni volta che voleva parlare alla radio, per Natale, dava un colpo terribile alla volontà di re ­sistere del popolo. Balbuziente, atterrito ».

« Ma allora », domando, « come avete fatto a resistere? ». « Chur ­chill e il popolo. Una grande per ­sonalità, come non ce ne sono più, e anzi non servono più, e gli inglesi. Poi bisogna distin ­guere. Lei crede di essere arriva ­ta al Nord, nel suo lungo viag ­gio dalla Calabria. Nient’affatto. Lei è in una città meridionale che si chiama Londra. C’è uno spirito di indipendenza, da in ­glese a inglese, una diversità, dal ­l’uno all’altro, di cui voi italia ­ni credete di avere il privilegio. Nel momento del pericolo, certo stanno insieme e divéntano una forza. Ma le racconto una picco ­lissima storia di guerra: un bom ­bardamento nella City, e io con uno del Galles, insieme con le pance schiacciate per terra in un rifugio. Peccato che lei non possa capire…: insomma, quando è finita, questo qui s’è alzato in piedi, siamo usciti insieme, e tut ­ta Londra fumava, e lui ha fat ­to un gesto, così, e ha detto, più o meno, ma in italiano non è traducibile: ”Che piacere per questi signorini di Londra!” ».

Il burro, il salmone, il salame italiano, i toast che saltano, fi ­schiando, sul vassoio. Mosley va a prendere ancora vino, e ra ­pida Eve mi avverte, quasi una didascalia, del valore dell’amicizia in questo Paese. « Quando uno di noi diventa suo amico, non vuole sapere niente di che cosa è stata lei finora. Un ami ­co inglese può darle una quanti ­tà di aiuti concreti, senza mai una domanda personale ». « Que ­sto sarebbe il rispetto della pri ­vacy », dico, « segnalato anche nelle guide per visitare Londra in cinque giorni ». Allora, insie ­me, cerchiamo di snudare questo atteggiamento psicologico: Eve lavora con me, incuriosita, com ­prensiva: io dico che è, nel fon ­do, una misura di precauzione igienica: non si possono porta ­re sulle spalle troppe vite; le vite degli altri: « E verrebbe sem ­pre il giorno », avverte Eve, « che per questo surplus vorrem ­mo una retribuzione, sentimen ­tale, passionale ecc.

Arrivano gli altri invitati per il lunch: due giovani, che lavo ­rano con il ministro dell’Educazione Pubblica: la chiamano fa ­miliarmente Gene, è una donna, Gene Lynn. Mosley, conservatore naturaliter (al contrario della moglie) non le perdona l’igno ­ranza nelle cose dell’arte. Una rivista culturale, Apollo, l’ha at ­taccata con durezza e Mosley è d’accordo: « La polemica deve es ­sere personale â— non privata, si capisce â— ma diretta contro il personaggio politico. Altrimen ­ti è un bra-bra-bra che non in ­teressa nessuno ». Eve contraddi ­ce: « Se anche non s’intende d’ar ­te, è molto attiva, molto dinami ­ca: e l’Inghilterra ricordiamoci, ancora qualche anno fa, stava morendo per l’abulia dei suoi leaders ». « Ma sì, forse è meglio che non si intenda d’arte: Bach, Beethoven servono a zero, og ­gi ». Allora Mosley è un brillan ­te, gentile reazionario. La consi ­gliera culturale dell’Ambasciata tedesca ed Eve lo sgridano: for ­te, la tedesca; con un cumulo di honey, e sorrisi strizzati da azzurri occhi indomabili, Lady Eve.

Radici che dolgono

Ancora salmone e l’insalata e il pollo con le cipolline: siamo se ­duti su sgabelli a forma di cuo ­re, alti sgabelli a un banco cir ­colare, in una cucina arredata con Klein e forno elettrico. Ed Eve, che da una gamba fascia ­ta, va e viene, serve if pollo, la ­va i piatti â— noi non possiamo che asciugarli â— riposata e ras ­sicurante come se non avesse mai visto un medico in vita sua, e avesse intorno alla fragile, al ­tera persona, almeno quattro ca ­meriere, e camerieri e cuochi. Li ha avuti, bambina, giovanetta: la nanny celebrata nei libri di lettura di gusto vittoriano (an ­che in Italia), l’ha accompagna ­ta, con la madre, a Firenze, nel ’30. Eve ha vissuto a Firenze fino al 1935; ora questo Cima- bue perduto, per lei, è un dolo ­re: un sentimento con radici che dolgono (e per molti inglesi in questi giorni è così, che scri ­vono lettere al Times), e ha su ­bito telegrafato a un’amica di Fi ­renze per sapere notizie della salute di lei, e della città, e cosa potrebbero fare i Molesworth per Firenze. Dopo i due segretari del ministro, che si occupano dello sport, e sono, a vederli, niente altro che graziosi (scarpe e giub ­be di camoscio, belle camicie a righine), è arrivato Stuart: è un uomo di cinquant’anni, con la struttura evidente, fisica, dell’intellettuale d’origine e formazio ­ne proletaria. Capelli grigi ric ­ciuti, comune vestito grigio a ri ­ghe bianche, fiduciosi occhi cele ­sti: si occupa dell’istruzione pub ­blica dei Midlands, quattrocento- cinquantamila persone, fabbriche. E’ nel pieno della lotta per la prevalenza della State School, la scuola dello Stato, sulla Public School, la scuola delle élites. Ma ne parla con calma, dolcemente, minimizzando il suo lavoro che non deve essere facile: organiz ­za anche il tempo libero degli studenti, le visite ai musei, le biblioteche: ha formato tre or ­chestre di figli di operai, bambi ­ni di sette anni, ragazzi di di ­ciotto e per la prima volta, le orchestre, sono state invitate, per Natale, a un festival studente ­sco in Germania.

Tra il lunch e il té delle cin ­que (chocolate cake e scones preparati da Eve), passeggiamo, con grossi stivali, per l’umida soave colorata campagna. I jets dell’aeroporto di Londra, Heath- row, rastrellano il cielo che mai avrei creduto verde. Eve mi rac ­conta degli anni di Firenze, quan ­do studiava con Berenson, e di Paestum, visitata con Zanotti Bianco, e dei « carabinieri », (questurini), incaricati di segui ­re l’archeologo antifascista, a cui sempre Zanotti e lei, fermandosi a mangiare in un’osteria di cam ­pagna, mandavano, con il came ­riere, una o due bottiglie di vino.


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Bart