LETTERATURA: I MAESTRI: Voltaire, oggi8 Ottobre 2012 di Carlo Bo Ho passato gli ultimi anni di guerra in un paesetto del l’alta Brianza e quando andavo a Messa, la domenica, mi toccava sentire nella predica, un elenco villoniano delle glo rie umane destinate a tramontare per sempre, un puntuale accenno a Voltaire. Quel parroco di montagna chiudeva con questa domanda: Dove l’è Voltaire? Inutile aggiun gere che tale preoccupazione in quel tempo mi sembrava quasi divertente, c’erano ben altre gatte da pelare e Vol taire non era certo una lettura che potesse accendere l’atten zione o la curiosità di nessuno, neppure di chi come me era fatto in gran parte di libri. Le parole del parroco si riface vano a un’antichissima tradizione della oratoria sacra per cui Voltaire restava il nemico da combattere ma come sarei stato sorpreso di sapere che proprio nello stesso dicembre del ’44 un grande spirito, un maestro della nostra gioventù, si poneva la stessa domanda in un’aula della Sorbona. Valéry infatti arrivato alla fine della commemorazione di Vol taire per il 250 ° anniversario della nascita, si chiedeva: Che cosa potrebbe fare oggi Voltaire se fosse vivo? Quale Voltaire ci vorrebbe per un tempo di distruzione, per una lunga stagione apocalittica come la nostra? Valéry che pure aveva derivato tanti punti da Voltaire, era costretto a dare alla sua risposta un senso negativo; in parole povere era obbligato a decretare l’impossibilità di fare concordare le proteste, il riso e lo spirito di Voltaire con un mondo profondamente mutato, quasi sconvolto rispetto al piccolo disordine degli anni in cui Voltaire si bat teva per la libertà, contro il conformismo e la menzogna. Era un bel modo di rendere omaggio a uno spirito che nello stesso tempo appariva insufficiente, irrimediabilmente staccato dalle nuove esigenze e dal nuovo senso del mondo. Valéry nella Parigi appena liberata e in un mondo che combatteva l’ultima grossa battaglia contro la prepotenza nazista andava ancora più in là, si serviva di una santa pa rola per condannare l’abuso, la esaltazione del male e se pure dimenticava la prima parte d’invocazione, di perdono concludeva però l’esame della situazione con « Non sanno quello che fanno ». Il discorso del poeta può essere riletto ancor oggi con qualche frutto, soprattutto non lo si dimentichi, dopo avere esaminato il numero di febbraio della « Table ronde » de dicato a fissare l’immagine di «Voltaire au présent ». Del numero della rivista c’è ben poco da dire forse è meglio co minciare a notare che se si ha bisogno di una prova della scarsa attualità di Voltaire è proprio la « Table ronde » a fornircela. Il fascicolo si apre con un discorso generico del Maurois per tentare di illuminare le ragioni della presenza di Voltaire fra di noi: le cose non migliorano con Emmanuel Beri, il quale cerca per una strada inversa, la prova dei contrari, di dimostrare la nostra tesi. Ma si sa che quando si operano simili salvataggi la causa è, per buona parte, perduta. Gli unici contributi utili sono quelli degli specialisti, di René Pomeau a cui si deve il grande libro sulla religione di Voltaire e di Théodore Besterman, di cui abbiamo già lodato l’opera benemerita come editore della corrispondenza. Infine Henri Guillemin dà ancora una volta spettacolo della sua abilità nel mettere a fuoco l’immagine non conformista dei grandi. Voltaire in fondo gli offriva mille pretesti per procedere a una bella esecu zione ma neppure il lavoro del giustiziere ci appare utile: che Voltaire fosse il contrario di quello che intendeva apparire e generalmente si crede, che fosse eccessivamente prudente con i potenti, attaccato in modo incredibile al denaro fino a fare della speculazione e delle pensioni il suo primo pensiero, e infine facilmente accusabile di con traddizioni può essere divertente ma, tutto sommato, è materia morta, tutt’al più suscita la curiosità epidermica di chi ha il gusto della storia minore. Insomma Voltaire è lontano. Risultato inutile tale modo di recupero, è forse meglio riproporci la domanda di Valéry che, d’altronde, tolto l’ac cento drammatico, tolta la coincidenza tragica del 1944, era già stata suggerita dagli spiriti più criticamente vivi del nostro tempo, Gide in testa. Quello che ci sembra più opportuno stabilire è il grado di vitalità delle suggestioni volterriane, vedere se i suoi consigli sono rimasti attivi o se invece la sua è stata un’opera strettamente legata al tempo. A sentire Valéry ben poco della parte dei suggeri menti sarebbe valida ancor oggi, il mondo ha assunto altre proporzioni, il disordine della vita stessa, la spaventosa rot tura d’equilibrio fra lo spirito e la massa impedirebbero qualsiasi sfruttamento delle raccomandazioni volterriane. Qualunque interpretazione si voglia dare della famosa battuta di chiusura di Candide non si può fare a meno di osser vare che il lavoro del particolare, il contributo del singolo all’evoluzione dello spirito umano appare insufficiente, inadeguato. Lo strattagemma per contemperare le esigenze della speranza e quelle dell’illusione, secondo i versi del Poème sur le Désastre de Lisbonne Un jour tout sera bien, voilà notre espérance. non ha servito fino in fondo l’uomo o almeno lo ha aiutato fino a un certo punto. Se di Voltaire si può dire tutto il bene che si deve per l’opera coraggiosa di difesa dell’uomo, si è però costretti a notare che una difesa basata esclusiva mente sulle risorse dell’uomo non basta. Che cosa direbbe Voltaire, oggi, di fronte allo spettacolo offerto dal nostro mondo? Si è battuto per la libertà ma la nostra libertà è ben di versa da quella misura di indipendenza assoluta e spregiu dicata che egli sognava ed è costantemente minacciata in un modo per lui a dirittura inimmaginabile. Voltaire ha lottato contro la tortura e la schiavitù, ma di fronte ai casi particolari del suo tempo noi possiamo allineare infiniti casi generali. Valéry aveva fatto questa stessa osservazione ma eravamo nel ’44, oggi la guerra è finita, c’è un’apparenza d’ordine ma la tortura resta un fatto di grande attualità. Voltaire si è battuto contro fenomeni di stupido fanati smo, di cieca e vergognosa superstizione e noi a distanza di tanti anni combattiamo con ben altri fantasmi di universale fanatismo, registriamo nelle nostre cronache episodi di set tarismo scandaloso e, quello che è più grave, abbiamo una concezione estremamente ridotta, limitata e condizionata della nostra umanità. La sua speranza (è vero che, in se guito, alla fine del primo verso aveva aggiunto un bel punto interrogativo) ha assunto con gli anni, col volgere delle stagioni dell’uomo delle proporzioni sempre più ridotte, avvilite. Che colori avrebbe potuto prendere nei campi di concentramento, a Hiroshima, a Budapest? Le sue parole e i suoi sentimenti erano scatenati dal terremoto di Li sbona, cioè da un fatto naturale, ma di fronte a fenomeni puramente umani, a situazioni create e volute dall’uomo, forse la sua domanda di speranza si sarebbe taciuta. Quale era la morale della raccomandazione chiusa in Candide? Secondo Besterman, Voltaire avrebbe «coltivato il suo giardino » predicando la comprensione, la tolleranza e la pace. Che cosa resta oggi in noi di questi tre motivi? Siamo diventati troppo scaltri o siamo così mitridatizzati alle illusioni per non fare le dovute riserve per non sapere che accento spento sia meglio dare a termini così generici, così vaghi. La lezione di Voltaire coraggiosa e preziosa per tanti anni, utile ai fini della realtà del suo tempo, ha perso per noi ogni possibilità d’aggancio, è una lezione senza voce, di puro valore storico. Voltaire aveva suggerito un mezzo, una condotta di vita ma non ci ha mai detto per che cosa si batteva, su che cosa si fondava la sua verità. Aveva ra gione Gide, oggi non riusciamo più a capire che cosa volesse dimostrare o provare. Diceva benissimo Gide: Se ritornasse fra di noi oggi, come resterebbe indispettito di avere così poco trionfato di tante cose che attaccava male e di aver fatto il giuoco di tanti sciocchi. Goethe, se risuscitasse oggi, avrebbe ben altre soddisfazioni e così Montaigne. Sante parole, Montaigne e Goethe avevano puntato sul l’essenza dell’uomo, avevano creduto nell’uomo. Ma Vol taire? Per Voltaire gli uomini erano come i sorci sulla nave, degli animali, senza scampo e quindi ogni idea, ogni speranza di salvezza era inutile. Tutto stava nel rendere meno doloroso, meno avvilente, il tempo della traversata. 13 febbraio 1958. Letto 2695 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||