LETTERATURA: In Provenza come in Arcadia: Pierre Magnan
28 Novembre 2008
di Francesco Improta
Ho cominciato a leggere Magnan, uno scrittore di noir, nell’accezione più ampia e comprensiva del termine, e non solo di polar come J. C. Izzo, e lo trovo straordinario, soprattutto nell’ambientazione e nella costruzione dei personaggi. Magnan si muove nella provincia francese con la stessa disin Âvoltura di Chabrol o di Clouzot, fra atmosfere rarefatte e ritmi lenti e cadenzati dalla noia più che dalle abitudini, c’è, però, rispetto ai due grandi registi un’at Âtenzione maggiore nei confronti del romanzo gotico, da cui trae non tanto il paesaggio (nebbie e brughiere sono estranee alla ridente e lussureggiante campagna francese) quanto i personaggi bizzarri e sinistri, che si muovono con circospezione, piegati dal peso del loro stesso misterioso passato, segnati nel volto e nel corpo da vizi immondi e reconditi segreti.
In Messaggi di morte (1988), la storia si svolge nella valle di Barles tra le Alpi della Provenza dove vivono questi strani personaggi: un postino in pensione, che sorpreso dalla moglie mentre tastava le parti morbide di una compiacente tabaccaia (mi viene in mente la mitica figura, creata da Fellini in Amarcord), è stato allontanato dal talamo coniugale e trascorre il suo tempo nello scavarsi (materialmente) la fossa nel piccolo cimitero di campagna; un maestro di scuola, che nasconde sicuramente qualcosa, come dimostra la chiave legata all’orologio nel taschino del gilet, da cui non si separa mai, e che sistematica Âmente spenna come polli i suoi compagni a poker; un cercatore di funghi, che vive nello squallore più assurdo e che ogni tanto si allontana dal paese per ritornarvi dopo qualche giorno con le tasche piene di soldi con cui paga i debiti che nel frattempo ha accumulato; un capitano di marina, salato fin nell’anima, inseguito dalle onde del mare, che prima di fermarsi in paese si è assicurato che da nessuna montagna circostante si scorga il mare in lontananza. In questo paese, spazzato periodicamente dal Mistral, si aggira un serial Killer, calli Âgrafo, che prima di entrare in azione invia terrificanti missive alle sue vittime. Sono personaggi bizzarri che, descritti da Magnan con cura maniacale, com Âpongono una vera e propria galleria di Freaks; talvolta sembrano discendere da certi fumetti (non sono un esperto in questo campo ma leggendo il romanzo mi sono venuti in mente i racconti dello zio Tibia). Questo è il prologo… vi lascio immaginare il seguito.
A livello più specificamente stilistico prevale l’ipotassi e talvolta all’interno dello stesso periodo c’è una quantità , spesso insopportabile, di pro Âposizioni relative. Non so quante di queste scelte si possano imputare allo scrittore e quante alla traduttrice, certo è che a quest’ultima si devono alcune inaccet Âtabili interpretazioni relative alla belota e al pastis, ingenuamente accostati rispettivamente alla briscola e ad una bibita all’anice.
Ho letteralmente divorato un altro libro di Magnan, Un’alba insolita, uscito in Francia nel lontano 1946 – credo che si tratti della sua opera prima – e lo ho trovato bellissimo, superiore a molti dei suoi romanzi successivi; ci sono, infatti, una cura maggiore nei confronti dello stile ed un’attenzione minore nei confronti del genere, il noir, da lui successivamente prediletto, rimangono intatte, invece, atmosfere, suspense e caratterizzazione dei personaggi.
Siamo al tempo del secondo conflitto mondiale: due giovani partigiani, in fuga dai tedeschi, vengono accolti e nascosti dagli abitanti di un villaggio sulle Alpi francesi. Gente semplice, resa rude e dalla natura implacabile della montagna e dalla guerra che incendia l’Europa. Dopo un inverno rigidissimo, che ha reso impraticabili le vie di comunicazione impedendo l’accesso al paese, riprendono i rastrellamenti della milizia, la vita dei ricercati, quindi, è in grave pericolo…
Un giorno il paese si sveglia e rimane incredulo e affascinato dinanzi a un fenomeno che nessuno ha mai visto: è l’alba insolita del titolo, un’aurora boreale di straordinaria bellezza…
Al di là delle implicazioni ideologiche e dello spessore etico del romanzo, che hanno il loro peso, quello che mi ha particolarmente colpito è il gusto per l’alta montagna che a me, cresciuto con il rumore del mare nelle orecchie, è cul Âturalmente estraneo ma che comincia ad intrigarmi sempre più. Da quelle altezze e profondità (mi riferisco alla grotta dove vengono nascosti i due partigiani e dove viene improvvisato, con l’ausilio dell’eco, un concerto assai suggestivo) tutto appare sospeso e sfumato, si perde il contatto con la realtà greve e limacciosa e si ha la sensazione di galleggiare nel vuoto se non ad Âdirittura nelle acque prenatali; sembra di rinascere al mondo e le cose, smarrito il loro aspetto consueto, ritrovano il loro iniziale candore, si ristabilisce, cioè, quella simbiosi che esisteva nell’infanzia dell’umanità , al tempo degli dei della foresta, e che restituisce al mondo il suo stupore primigenio.
Da sottolineare che il titolo di questo breve articolo è in parte suggerito da un romanzo di Magnan Come un asino in Arcadia e in parte dalla bellezza incantevole, per non dire idilliaca, del paesaggio in cui Magnan ha ambientato tutte le sue storie.
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