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LETTERATURA: INCIPIT: Ismail Kadaré: “Eschilo il gran perdente” – Edizioni Controluce (2008)

10 Giugno 2008

Traduzione dall’albanese di Adriana Prizreni
Se in una giornata di ottobre, in una di quelle giornate di otto ­bre che sembrano fatte appositamente per leggere qualcosa di spe ­ciale, frugando nella libreria ci capita fra le mani un libro di Eschilo, capiamo subito che forse abbiamo trovato il giorno adatto per fare proprio quella lettura. In realtà, Eschilo è uno di quei creatori che non vanno bene in una qualsiasi giornata. Egli richiede un partico ­lare stato d’animo. E questo per il fatto che noi lo abbiamo già conosciuto in gioventù, lo abbiamo studiato a scuola, abbiamo sen ­tito parlare molto di lui nelle trasmissioni televisive di cultura e in altre circostanze: quindi non ci incuriosisce più nulla. Leggerlo o, più precisamente, rileggerlo è in sé un “atto di predilezione”.
In realtà, il termine “leggere” oppure “rileggere” in questo caso potrebbe sembrare inesatto. Sfogliare un suo libro è qualcosa che assomiglia più a una meditazione che a una lettura: anzi, mentre si legge sarebbe naturale che il libro più che aperto rimanesse chiuso.
D’altra parte però, perché accada qualcosa di simile si deve avere un particolare stato d’animo, ma questo non accade così facilmen ­te e in modo automatico. E allora se riusciamo a capire che la gior ­nata non è delle migliori, è preferibile riporre il libro di nuovo fra gli scaffali della libreria e aspettare un altro giorno.
Questi sono alcuni appunti su Eschilo buttati giù in differenti periodi. Dai pensieri che dovessero suscitare si potrà giudicare quanto fossero adeguate le giornate in cui sono stati scritti.

1.

È ovvio che si voglia sapere come lavora uno scrittore, quali fan ­tasie ha, quali sono i suoi orari, come è l’ambiente dello studio in cui lavora. Nei confronti degli scrittori antichi poi, quando non sol ­tanto loro, ma la loro vita intera è avvolta nell’oblio, un cosiffatto desiderio si trasforma in un incubo straziante. Tutto sembra lonta ­no, inesistente.
Eppure quelle tragedie immortali furono scritte da una mano: una mano che reggeva uno strumento il quale con le tracce che lasciava intrecciò la tessitura di quelle tragedie lettera dopo lettera, rigo dopo rigo. E ci fu pure una casa, una stanza in cui esse venne ­ro alla luce.
Ma come era la stanza di lavoro di Eschilo? Noi non sappiamo nulla; sappiamo però la cosa fondamentale: non c’erano libri.
È stato “il padre della tragedia”, come lo hanno definito, uno dei padri della letteratura mondiale. Come tale era solitario. Ma cosa significava questo destino particolare: enorme tristezza o meravi ­glia? Nessuno potrà saperlo. Così come di lui molte cose non si potranno mai sapere. Si può solo immaginare che avrà avuto un ambiente di lavoro: probabilmente un qualche scrittoio, su cui di ­sponeva le tavolette sulle quali scriveva con un qualche cuneo. In un angolo della stanza forse c’erano altre tavolette che recavano inciso qualche monologo dalla tragedia appena interpretata da Frinico, oppure dei versi tradotti da Gilgamesh. Forse conosceva a memoria Omero. Tutto qui. Il resto doveva crearlo lui.
Nella stagione fredda le finestre dovevano restare chiuse. Attraverso la carta oleata filtrava una luce color nebbia, fatta di sogno, una luce che lo univa e allo stesso tempo lo separava dal mondo.
Ma quell’illuminazione avrà avuto qualche ruolo nella colora ­zione delle sue tragedie? Come sarebbero state le tragedie se le fine ­stre, più che di carta oleata, fossero state di vetro? Due mila anni dopo, l’inglese Shakespeare, che scrisse le sue tragedie alla luce del vetro, non le fece più limpide, ma tutt’altro. E qui quale fu il moti ­vo: il tetro vento del nord o le nuvole che lui si portava dentro?
Quando sfogliamo Eschilo ci sorgono molti quesiti e molti dilemmi. È per questo che la sua lettura risulta più ricca e più veri ­tiera se il libro è chiuso.
Come a ogni creatore, dopo una giornata di lavoro, anche a lui sarebbe piaciuto andare fuori. Andarsene forse al teatro per parlare del prossimo dramma, oppure recarsi dagli strateghi, per risolvere qualcuno dei problemi che erano emersi nell’ultima rappresentazio ­ne. Oppure semplicemente fare una passeggiata al mercato.
Le immagini che lui aveva davanti a sé erano del tutto diverse da quelle che noi possiamo rappresentarci. Lo spazio sembrava più esteso perché la gente che lo riempiva era di meno. E ancora di meno erano gli uomini liberi. Altrettanto scarsi erano i templi, rispetto ai piccoli edifici noiosi. Ma in questo spazio, che al nostro occhio sembrerebbe vuoto, si aggiravano cicloni del pensiero e della fantasia mai esistiti fino ad allora.
Non c’era documentazione, fotografia oppure identikit che potesse fissare gli eventi avvenuti un mese prima, ma neppure quel ­li di una settimana o persino di un giorno prima, per non parlare degli eventi molto più remoti. Preda della fantasia e dell’interpreta ­zione di ciascuno, alcuni di quegli eventi venivano alterati al punto da poter essere confusi con i contorni di immagini che ci offre il sonno.
Quell’uomo che aveva un aspetto dimesso, pochi capelli, come lo rappresentano le sculture, era una di quelle macchine che produ ­cono ondate di pensiero e di delirio creativo e che per migliaia di anni avrebbero attraversato il pianeta che si chiama Terra. Ma in quel periodo, nessuno, e nemmeno lui, per quanto potesse essere consapevole della propria statura, poteva immaginare con precisio ­ne le sue vere dimensioni.
La tragedia era appena nata. Ma era ancora solo un cantiere: e chi poteva esserne travolto era soltanto lui, architetto e muratore allo stesso tempo. Quali novità letterarie poteva ascoltare al merca ­to oppure nei luoghi dove gli attori del teatro si radunavano? Qualche brano del prossimo dramma di Frinico, al quale finalmen ­te la commissione incaricata di effettuare la selezione aveva conces ­so la licenza per la rappresentazione, qualche pensiero di Tespio, il suo predecessore, ma anche nei suoi confronti con qualche dubbio, visto che si era fatto grazie alla prostituta X, un tempo amica del defunto. Oltre ai poemi di Omero, la tradizione era tutta qui: edi ­zioni, critiche, propaganda. Ah, certo, anche la letteratura stranie ­ra. Tempo prima, forse da qualche viandante forestiero, aveva ascol ­tato casualmente trenta versi di un poema assai antico sumero-acca ­dico di un certo Gilgamesh. Un poema sul terrore della morte. Ma non se ne trovava il seguito. E qui finiva la tradizione universale.
Solitario, doveva rientrare nella stanza di lavoro con gli spettri che si portava dentro. La tragedia stava proprio lì, ai suoi piedi, con le fondamenta ancora solo scavate, con gli abbozzi incompiuti e con le impalcature e la polvere della costruzione.
Ed essere il padre della tragedia era motivo di tristezza o motivo di gioia? Essere un padre millenario che partorisce una creatura di cui non conosce il destino o, più precisamente, che come tutti i padri si ritiene responsabile del suo destino.
La sorte ha affidato a Eschilo uno dei rari destini che possono toccare all’uomo: dare inizio alla tragedia, nel senso che noi attri ­buiamo oggi a questo genere letterario. Ovviamente, prima di lui ci sono stati altri che il tempo ha coperto di polvere. E oltre a loro c’era la tragedia della poesia orale greca e degli altri popoli dei Balcani. E c’erano anche le feste dionisiache e le cerimonie nuziali, le cerimonie funebri e decine di altri fenomeni naturali e sociali: da tutto ciò il dramma sta solo a un passo di distanza. Perché, in fin dei conti, come afferma Czeslaw Milosz, “un albero che abbia le radici conficcate nella terra, come nel fondo di un pozzo, che abbia il tronco e una chioma di una potenza esplosiva, un albero dunque che dalle viscere della terra miri solo al cielo, è un albero che ha già scritto la Divina Commedia prima di Dante”.  

SCHEDA LIBRO:
Ismail Kadarè
Titolo: Eschilo, Il gran perdente
Collana: Riflessi 1
Editore: Controluce

CONTENUTO:
Kadaré una delle più interessanti voci poetiche del panorama mondiale si misura con Eschilo, il massimo autore di tragedie dell’antichità classica greca. Fonte principale della tragedia Eschilea è la vita di ogni giorno, fatta di feste e lutti, nozze e riti funebri, vita e morte che ha portato alla costruzione dei pilastri della società civile e del vivere comune. Su uno di questi, il diritto, Kadaré interroga la tragedia eschilea traendone un insegnamento di sconvolgente attualità: giustizia e diritto sono due categorie differenti di cui la prima è inviolabile la seconda no. Non solo una chiave di lettura delle opere di Eschilo dunque ma anche un valido strumento per comprendere la politica del nostro tempo.

AUTORE:
Ismail Kadarè nato ad Argiocastro nel 1936, dal 1990 risiede stabilmente in Francia. Romanziere poeta e saggista di fama internazionale in odore di Nobel, per Besa ha pubblicato il romanzo “La commissione delle feste” (2000).

 

 


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3 Comments

  1. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: INCIPIT: Ismail Kadaré: “Eschilo il gran perdente … - Il blog degli studenti. — 10 Giugno 2008 @ 13:42

    […] danielemuriano: […]

  2. Commento by vincenzo guarracino — 13 Marzo 2010 @ 16:40

    gradirei potermi mettere in contatto con Kadaré: è possibile averne l’indirizzo e.mail? grazie.
    V.G.

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 13 Marzo 2010 @ 16:54

    La rivista non ha l’indirizzo dell’autore. Occorre chiederlo alla Casa editrice.

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