di Maria Antonietta Pinna
“Coraggio, cominci”.
“Sono sicuro che lei non mi crederà”.
“Perché no?”.
“Semplicemente perché quello che sto per dirle è inverosimile. Quelli come lei non credono a queste cose”.
“Provi”.
“No, no, sarebbe inutile, è meglio che vada”.
“Si rimetta seduto e cominci! Nel mio mestiere ho imparato a non stupirmi di niente”.
“Io qui non ci volevo venire. Loro mi hanno obbligato”.
“Loro chi?”.
“I miei familiari, mia moglie specialmente”.
“Va beh, ormai è qui, tanto vale parlare, no?”.
“Sono sicuro che lei penserà che sono pazzo”.
“Tutti lo siamo, in fondo. Anch’io, per certi versi …”.
“Già, altrimenti non passerebbe il suo tempo a ficcare il naso nella vita degli altri”.
“Su, cominci. Devo confessarle che sono curioso. L’ascolterò con attenzione”.
“Tutto è cominciato durante una cena. Era la vigilia di Natale. Premetto che personalmente odio le feste. Trovo ridicolo vestirsi per l’occasione, sorridere anche quando non se ne ha nessuna voglia, e cose del genere. C’era tutta la famiglia di mia moglie al completo. So che non mi sopportano. Anna mi ha sposato senza la loro approvazione. Un professore fallito, ecco cosa sono. Non sono mai riuscito a passare di ruolo. Mia suocera dice anche che ho un pessimo carattere”.
“Ed è vero?”.
“Certo che è vero! Comunque, torniamo alla cena. C’erano i miei suoceri, Andrea e Stefania, le zie e la sorella di mia moglie, Noemi. C’era anche il marito di mia cognata. È ingegnere. Edoardo, si chiama, un grassone. Guadagna bene. Stefania bacia la terra dove cammina. Pfiui, uno che se lo vedi lo sputi, per quanto è brutto!
Mia suocera ha cucinato l’agnello. A me è toccata la testa. Non la vuole nessuno, specialmente le donne. Anna dice che non riuscirebbe a mangiarla. Le fa impressione. Non capisce una madonna, la parte migliore è.
Edoardo ha sempre mangiato poco davanti ai parenti. Usa per tutto la forchetta, pure per le olive. Deve fare scena, credo. Non l’ho mai sopportato. Mi dà quasi una sensazione di fastidio fisico. Quella sera avevo fame, nonostante l’ingegnere mi desse sui nervi. Decisi di mangiare con le mani. L’ho fatto apposta. Non so esattamente perché. Volevo sprofondare nel trash, nell’abisso dell’estrema disapprovazione di mia suocera. Ho affondato le dita nel cervello. Era buonissimo. Silenzio improvviso, tombale. Stefania mi ha guardato coi suoi grandi occhi celesti…
Non mi sono mai piaciuti gli occhi chiari. Li trovo cattivi, freddi. Quelli di mia suocera poi, sono assolutamente privi di calore umano, di profondità.
Anche le zie, tre scope secche che non le toccheresti neanche con la canna, mi hanno guardato con disgusto. Avevano la stessa espressione di chi, camminando per strada, ha appena calpestato la merda di un cane. Il trippone invece sprizzava gioia da tutti i pori. Mi rideva quasi in faccia.
Anna mi ha dato una gomitata che per poco non mi ha fatto andare il cervello dell’agnello di traverso. Soltanto Andrea mi ha degnato di uno sguardo di simpatia.
La conversazione riprende. Le solite cazzate! Le tre zie si lamentano del carovita. Figuriamoci! Quelle non mangiano per non cagare. E quel rotolo di coppa di Edoardo? Oh lui giura di seguire una dieta ferrea, e ride. Che cazzo c’avrà da ridere! Andrea si è fatto la dentiera nuova. Noemi va ogni mese dal parrucchiere. Anna invece, la tintura se la fa a casa. Ma chi se ne frega! Mi concentro sulla testa d’agnello. La divido in tre parti, attacco dalla mascella. Prendo la lingua con le mani e chiedo dell’acqua a Stefania. Lo faccio con la bocca piena. Voglio che si schifi. Anna diventa rossa come un peperone. Mi piace di più quando è imbarazzata. Ricordo che ero contento. Era la seconda volta che Stefania mi guardava. Avevo fatto il bis”.
“Il bis? Che vuol dire?”.
“Che avevo raggiunto il mio scopo”.
“E qual era il suo scopo?”.
“Mia suocera, l’arpia, mi aveva guardato dritto nelle palle degli occhi, per ben due volte! Mica una, due! Capisce? Due! Evviva! Non l’aveva mai fatto in trent’anni”.
“Ah!”.
“Bene. L’arpia mi da l’acqua con un grugno da far paura. Ancora più brutta del solito era! Ah, ah! Scusi, da ridere mi viene”.
“Non si preoccupi, rida, rida pure”.
“Finisco di mangiare la lingua e attacco la zona attorno all’occhio, sempre con le mani, ovvio. E l’osso me lo rosicchio per bene. Mi lecco pure le dita, come fanno i bambini piccoli. Quelli smettono di nuovo di parlare. Capisce?”.
“Si”.
“Smettono di dire quelle megagalattiche troiate, per guardare me qui presente! Che bello! Non stavo più nella pelle! Il gioco mi piaceva. Perfino l’ingegner mastro Trippa ha smesso di ridere. Credo che Anna, poverina, abbia farfugliato qualcosa del tipo non si sente tanto bene, scusatelo. Così, dopo un po’, la conversazione è ripresa. Io però volevo farmi notare, volevo toccare il fondo. Con le mani sporche di grasso ho preso il bicchiere del vino. L’ho portato alla bocca e avido, ho bevuto, cercando di fare il massimo rumore possibile. Silenzio tombale. Stefania, ferma con la forchetta a mezz’aria mi ha guardato di nuovo, occhi negli occhi! E tre! Non mi sono mai divertito tanto in vita mia! Ho cominciato a belare. Non so perché l’ho fatto. M’è venuto spontaneo. Ho detto una buona parola a tutti. Alle zie che sono tre befane, brutte come la fame o qualcosa del genere, non mi ricordo bene. A Edoardo che è una chiavica d’uomo e che, se non avesse avuto tutti quei soldi, non l’avrebbe cagato nessuno, a Stefania che mi ha rotto i …”.
“Sì, immagino, immagino”.
“Neanche io capivo cosa mi stava succedendo. Comunque, Anna mi ha mandato qui perché dice che da quel giorno non sono più io, che sono strano. Secondo me è colpa dell’occhio”.
“Quale occhio, scusi?”.
“Quello dell’agnello, no? Le ho detto che a quella stramaledetta cena ho mangiato una testa d’agnello?”.
“Si, certo, me l’ha detto”.
“Allora, arrivo all’occhio. M’era rimasto solo quello. Lo lascio sempre per ultimo perché è la parte migliore, secondo me. Polposo, grasso al punto giusto, con un po’ di sale sopra poi …”.
“Sì, allora?”.
“Eh, allora. L’ho staccato dall’orbita e me lo sono messo in bocca. L’ho masticato lentamente. Inutile dire che ormai, dopo la scenetta del vino, mi guardavano tutti. Mai sentito tanto silenzio. Stavo bene, ero vivo sotto gli sguardi di quelle pupille, fisse su di me. Specialmente quelle di Stefania, eh, eh, fredde come il ghiaccio erano. Non poteva fare a meno di fissarmi, sembrava ipnotizzata. Ero il primo attore, quella sera. Dominavo la scena. Ad un certo punto, mentre con voluttà affondavo i denti nell’occhio …”.
“Sì?”.
“È successo qualcosa di inspiegabile. Qualcuno, non so chi, deve aver rovesciato un bicchiere pieno di vino. La tovaglia si è presto inzuppata. Per qualche minuto mi si è annebbiata la vista. Una mano mi afferra la testa, senza troppi complimenti, la tira all’indietro, con forza. Non riesco ad oppormi, mi sento debole, indifeso. Cerco disperatamente di muovermi, ma sono bloccato. Mani e piedi legati. Poi un flash, gli occhi di Stefania, chiari, freddi. Non potevo vedere che quelli. Il colore assurdo di quegli occhi, penetrante come una lama, affonda lento nel mio collo. Quello non è vino, sangue è! Sgorga dal collo ed io sono un agnello. Sono la bestia che ho mangiato, vedo col suo occhio, provo la sua agonia. Grido ma niente. Un gorgoglìo che è un belato, mi fuoriesce dalla strozza. L’hanno sentito tutti. La nebbia si è poi dissolta. E ho visto!”.
“Cosa ha visto?”.
“Quando mi sono ripreso non avevo niente sul collo. Stavano ancora tutti lì, compresa Stefania. Anna si è scusata con tutti e mi ha trascinato via. La macchina l’ha guidata lei fino a casa, io non avrei potuto …”.
“Forse ha bevuto troppo vino”.
“No, non ero ubriaco e quello che è successo dopo lo dimostra”.
“Che è successo?”.
“Ho consigliato a mia suocera di non guidare la macchina”.
“Perché?”.
“Perché sapevo che le sarebbe successo qualcosa di orribile”.
“Come faceva a saperlo?”.
“Io l’ho visto. Stefania non mi ha creduto. Ha avuto un brutto incidente. Hanno dovuto asportarle un occhio. Capisce?”.
“Cosa devo capire?”.
“Io lo sapevo prima! Ho un dono!”.
“Ma no, è un caso, non deve sentirsi in colpa”.
“Io in colpa? Guardi che lei non ha capito! Sono finalmente felice! Io, uno che lavora si è no quattro mesi in un anno, senza prospettive, senza soldi, senza raccomandazioni, senza amici, senza un cazzo, io, intellettuale fallito, ho un potere. Mia moglie non lo capisce! Dice che sto male! Che non sono più io, che vaneggio, che son tutte cazzate. Ma io ora so”.
“Cosa sa?”.
“Tutto. Io vedo. Ogni mattina mi sveglio, apro la finestra e grido ci sono anch’io! Si, dottore, sono vivo, sono in linea col mondo. Nessuno mi potrà più fermare. Lo sa che tengo lezioni all’università su quello che mi è successo? Sono stato invitato anche ad un convegno. Alcuni studiosi di parapsicologia mi hanno già contattato. Un famoso giornalista vuole perfino scrivere un libro su di me!”.
“Io non credo che …”.
“All’inizio anch’io pensavo ad una semplice coincidenza, poi ho capito”.
“Come?”.
“Con questo”.
“Cos’è?”.
“L’articolo di un giornale. È del 27 dicembre. Legga, dottore, legga”.
“L’ingegner Edoardo Di Fraia è stato trovato cadavere nella sua villa in campagna. Legata mani e piedi, la vittima è stata sgozzata come un agnello… Impressionante davvero”.
“Capisce adesso?.
“No”.
“Allora è tonto! Anche questo ho visto quella sera a cena! Sono l’uomo più felice della terra. Da quando ho mangiato quell’occhio, io vedo”.
“Vuol dire che ha visto come è morto suo cognato?”.
“Sì”.
“Prima?”.
“Sì, prima”.
“E sa anche chi l’ha ucciso?”.
“Sì”.
“E chi?”.
“La sua idiozia l’ha ucciso! Io l’avevo avvertito! Ma lui mi ha riso in faccia!”.
“Ah”.
“Sì, l’ho detto che rideva troppo! Non mi ha creduto! Peggio per lui!”.
“Uhm, certo il suo è un caso complicato”.
“Lei non mi crede”.
“Le prescrivo delle gocce”.
“Cosa?”.
“La faranno stare più tranquillo”.
“Se la prenda lei, quella merda”.
“Non faccia così, cerchi di collaborare”.
“Lei vuole scherzare?”.
“No, voglio soltanto aiutarla. Ne prenda trenta gocce la mattina e trenta la sera”.
“Lo sapevo che non mi avrebbe creduto”.
“Ma io le credo”.
“Davvero?”.
“Sì. Sono convinto che lei è in buona fede, soltanto che la mente a volte …”.
“La mia mente non ha niente che non va! Perché si rifiuta di capire?”.
“Io la capisco”.
“No, lei è come mia moglie. Prima non contavo niente! Adesso che ho dimostrato di esserci anch’io in questo zozzo mondo, vi preoccupate, pensate che sono pazzo, che mi devo curare …”.
“Cerchi di calmarsi”.
“Sono calmo”.
“Ci vediamo domani, sempre alla stessa ora”.
“Non credo”.
“Perché, non verrà?”.
“Io? Lei piuttosto!”.
“Io cosa?”.
“Lei non viene. Questo è poco ma sicuro”.
“Ma cosa dice!”.
“Io vedo!”.
“Cosa vede?”.
“Non glielo dico, così impara! Certo, mi dispiace per lei, così giovane”.
“Le dispiace?”.
“Addio”.
“Perché addio?”.
“Eh, chissà!”.
“La smetta!”.
“Smettere cosa? Ho detto soltanto che domani lei non verrà”.
“Perché?”.
“Non glielo dico, tanto lei non mi crede”.
“Me lo dica!”.
“No, perché dovrei?”.
“Così, sono curioso”.
“Pazienza!”.
“Beh, me lo può dire, magari mi convinco che ha ragione”.
“No, no. Se mi crede bene, se no, au revoir”.
“Va bene, le credo. Dica”.
“Eh no! Troppo bello così. Prima mi prende per il culo poi …”.
“Senta, sto cominciando a perdere la pazienza. Sono il suo psicanalista o no?”.
“Mbe’?”.
“Deve avere fiducia in me”.
“Eh, fiducia, sembra facile. Lei non mi crede, glielo leggo negli occhi. I suoi studi le impediscono di credere. Però, c’è un angolo remoto della sua mente che si domanda, e se fosse vero? La verità è che lei ha paura!”.
“Paura? E di che cosa?”.
“Di morire, ovvio! Oppure che le succeda qualcosa”.
“Andiamo!”.
“Eh, sì, lei mi insegna, caro dottore che l’istinto di conservazione è molto forte nell’uomo. Chissà perché poi! In fondo la vita è come la scala di un pollaio, corta e piena di mer…”.
“Allora me lo dice?”.
“No, Però rifletta. Se glielo dico, magari si salva”.
“Salvarmi da cosa?”.
“Chissà! Potrei forse evitarle un incidente … Lei lo sa che non ho alcuna malattia organica?”.
“Certo, lo so”.
“Lo sa che se non dicessi di avere un dono, nessuno potrebbe dire che non sono normale”.
“Certo!”.
“Lo sa che non sono pericoloso, che non ho mai fatto male a nessuno in tutta la mia vita, tranne forse a me stesso?”.
“Sì, sua moglie me l’ha detto”.
“Lo sa che non ho mai sbagliato le mie previsioni?”.
“Sua moglie dice che è un caso”.
“Può darsi di sì e può darsi di no! Chi lo sa? Anna vuol farmi interdire, non è così?”.
“Io non lo so”.
“Non menta! Lo capisco dalla direzione del suo sguardo! Qualche trucchetto lo conosco pure io”.
“E va bene. Sì, vuole farla interdire”.
“Ha bisogno della dichiarazione di un medico per poterlo fare”.
“Sì”.
“Ha bisogno che uno strizzacervelli le dica che sono completamente sbroccato”.
“Sì, più o meno”.
“Vuole ancora sapere perché domani lei non verrà?”.
“Sì, mi piacerebbe”.
“Scriva allora che sono assolutamente sano di mente e perfettamente capace di intendere e di volere”.
“Ma”.
“Niente ma”.
“Non sono ancora arrivato ad una diagnosi precisa”.
“Hanno rilevato anomalie nel mio elettroencefalogramma?”.
“No. Il suo tracciato è perfetto”.
“E allora?”.
“Non ha una lesione organica ma …”.
“Ma cosa? Va beh, ho capito, arrivederci”.
“No, aspetti, me lo dica”.
“Scriva”.
“Va bene, scrivo, scrivo”.
“Ha scritto?”.
“Sì”.
“Ha firmato?”.
“Sì”.
“Bene. Ah, ah”.
“Perché ride?”.
“Così. Grazie del certificato”.
“Sì, prego. Allora?”.
“Le ho detto prima che mi dispiace per lei?”.
“Sì”.
“Così giovane”.
“Che vuol dire?”.
“Eh, che vuol dire. Così giovane, e già rincoglionito! Domani lei non verrà perché è domenica e la domenica lo studio rimane chiuso. Io vedo!”.
Commenti
115 risposte a “Io vedo!”
Guarda, Bartolomeo, solo ora, visto che ho scritto di getto, mi sono reso conto che ho dimenticato di cancellare un punto che si trova accanto al punto esclamativo. Non vorrei che qualcuno rilevasse quella piccola dimenticanza mia e ne facesse una polemica… lunga così.
Gian Gabriele
Corretto, Gian Gabriele.
Al commento 50 scrivi:
“Sentirmi dire: con quale diritto mi permetto di scrivere commenti e che i miei commenti sono da far ridere, certo che m’aspettavo una difesa, altrimenti è considerato vero e giusto ciò che Maria Antonietta ha scritto a chiare lettere! ”
Ti riferisci evidentemente al commento 23 di Maria Antonietta, dove trovo scritto a caratteri maiuscoli (che aborrisco)
DATO CHE FA CRITICHE E SI PERMETTE DI CACCIARE LE PULCI NEI RACCONTI DEGLI ALTRI
Quel commento è di ieri.
Non c’è scritto però che i tuoi commenti fanno ridere ma che ti permetti di fare la caccia alle pulci nei racconti degli altri. E’ cosa diversa. Non si è espressa Maria Antonietta sulla qualità dei tuoi commenti. Ha detto invece qualcosa sui tuoi racconti, da lettrice, anche se con cattiveria, perché i tuoi racconti non sono affatto sciapi. Anzi.
Non sapeva che la puntualità dei tuoi commenti è ormai una importante costante della rivista e che i tuoi commenti sono da me caldeggiati. Caso mai potevo puntualizzarlo, ma la situazione in cui mi trovavo (scrivere in fretta per paura della mancanza di linea) mi ha tradito.
Comunque, ti ho scritto che ieri sono stato senza linea adsl. Se telefoni alla Sici Computer di Lucca, 0583 582923 e chiedi del proprietario Massimiliano Luporini, questi ti potrà confermare che ieri intorno alle ore 16 (stava anche nevicando) è venuto a casa mia e non è riuscito a ricollegarmi alla rete, che mi mancava dal giorno prima e anche il giorno prima l’avevo a spizzichi.
Ho potuto vedere tutti i commenti successivi al n. 16 (quindi anche il 23) solo stamattina alle ore 13 quando mio fratello mi ha invitato ad andare a casa sua per controllare la rivista. Sono intervenuto perciò, in fretta e furia, dal computer di mio fratello, avendo trovato, guardando parliamone, la sorpresa di questo prosieguo di discussione.
Penso che mi crederai. Comunque il mio commento delle ore 13 è stato fatto dall’IP 82.53.135.68 (che non è il mio, ma di mio fratello). Il mio è 84.223.178.93 e appartiene al commento delle ore 13,24 (il n. 46) quando ho riavuto la linea che credevo fosse ancora vacillante. Invece, per il momento, ce l’ho ancora, e spero che il guasto sia stato riparato definitivamente. Ormai però ho deciso di cambiare gestore ed ho avviato ieri, quando il tecnico se n’è andato scuotendo il capo in segno di resa, e quando voi stavate litigando a mia insaputa, gli accordi relativi con il nuovo gestore.
Dunque: tutti i commenti che avete fatto dal 16 in poi fino al 45 li ho letti stamani alle ore 13, e sono intervenuto in fretta con il commento n. 46 delle ore 13,24 mettendo in risalto che la discussione riguardava cose non di tale sostanza da accendere una diatriba come questa. E approfittavo “per ricordare a tutti che dobbiamo sentirci amici.” Tu che sei sensibile a questi richiami, avresti dovuto capirmi.
La tua risposta n. 16 (da qui in poi ci siamo perduti per via del collegamento a me mancante) mi faceva intendere che avevi capito. Ho scoperto poi (ossia stamani alle ore 13) che Maria Antonietta ha proseguito con lo stesso tono e tu gli sei andato dietro.
Ripeto che i tuoi commenti sono sempre stati graditi da me e dai lettori, e che anzi ti ho sempre caldeggiato a farli, essendo importanti e formativi per gli autori e i lettori.
Se non hai mancato di fare il commento ad un articolo è perché ti ho sempre spronato a non farli mancare. E di questo ti ringrazio.
Come ti ringrazierò se vorrai continuare a farne.
Ripeto: credo che anche Maria Antonietta trarrà una lezione da questa esperienza e voglio sperare che al più presto avvenga una riappacificazione tra di voi.
Mi rammarico solo che tutto questo sia accaduto in totale mia involontaria assenza. E mi dispiacerà se non vorrai proprio tenerne conto.
Bartolomeo, leggi al punto 28, dove si dice: “Le sue critiche mi divertono”. Io non sono né un comico né un saltimbanco. Cerco sempre di dare dei pareri seri e ponderati. Forse non sempre esaustivi e calzanti, essendo consapevole della mia limitatezza, ma con coscienza e serietà. Se queste critiche divertono Maria Antonietta, lungi da me continuare a divertirla: si può divertire con quanto scrive. Basta e avanza!
Ti ringrazio, comunque, Bartolomeo, per la tua vicinanza (ho compreso anche i problemi tecnici che hai avuto), ma al momento mi sento abbastanza amareggiato. Ho bisogno di tempo per riflettere con più calma.
Come sempre ti abbraccio, mai dimenticando la lunga profonda amicizia che ci lega e mai sottovalutando la generosità concessa a me e a tanti altri nella tua bella e ben avviata Rivista
Gian Gabriele
Mi era sfuggito quel punto. Ormai la discussione era uscita fuori dei binari. Andava fermata prima e non ho potuto farlo, ahimè.
Ti aspetto di nuovo, comunque. Scegli tu i tempi. Ti ringrazio per non aver chiuso la porta alla tua preziosa collaborazione. Ho fiducia.
Grazie ancora, Bartolomeo, per la tua comprensione, per la tua amicizia e per la tua stima.
A presto, Gian Gabriele.
Super partes mi sembra si si stia facendo una questione di Stato per questi “refusi”. A me il racconto è piaciuto. Io il libro me lo comprerei.
Monica Pace
Ciao Maria Ntonietta,
ho letto il tuo racconto e mi è piaciuto, ho provato a leggere anche i commenti, poi non ce l’ho fatta piu’, che noia……..
p.s brava, non risparmiare niente a nessuno……………
complimenti te li meriti tutti
Signori, ho seguito l’ intera discussione e non mi sono mai divertito tanto. Maria Antonietta è tremenda. Sanguigna, passionale, spregiudicata, ma proprio per questo autentica, genuina, vera. Io ho avuto modo di leggere molti suoi racconti e li trovo forti, pregnanti, con una vena horror che a tratti mi ricorda Poe. Cara Maria Antonietta, un appunto desiderlo fartelo anch’io: tu hai il dovere di controllare bene i tuoi scritti prima di renderli pubblici, e non prendere tutto come un gioco superficiale. E’ (anch’ io metto l’apostrofo al posto dell’accento per problemi col computer) una questione di immagine, di professionalità, anche se posso intuire che le incombenze della vita portano a correre e a fare tutto di fretta.
@Gentile Gian Gabriele Benedetti. La perdoni. Il personaggio è questo. Sono sicuro che se l’avesse avuta come alunna ne sarebbe stato orgoglioso, avrebbe saputo apprezzarne il carattere irruento e la grande personalità propri dei talenti.
Un caro saluto a entrambi.
Salvo Zappulla
Grazie, Salvo, di questo tuo intervento. La rivista te n’è grata.
Spero davvero che l’incidente possa essere dimenticato e che Gian Gabriele torni a commentare.
Anche stamani ho, di nuovo, problemi di collegamento. Poco fa mi è tornata la linea, non so quanto andrà avanti.
Spero che, se sarò scollegato, non succeda qui il finimondo.
Dimenticavo. Io sono il nonno di Maria Antonietta. Guai a farla innervosire. Non ci ha pensato due volte a mettermi all’ospizio.
Sono nonno anch’io, Salvo, suppongo però un po’ più giovane di lei. Ho due nipotini e una terza in arrivo a marzo. Il 14 gennaio compirò 68 anni.
Ha tutta la mia simpatia e mi permetta di augurarle un anno di buona salute e di tanta serenità.
Ciao Bartolomeo, ho voluto scherzare per stemperare i toni. Continuiamo a darci del tu. Sono nonno sì, ma non di Maria Antonietta. Ho 48 anni, faccio il giornalista (mi occupo di critica letteraria) e lo scrittore. Maria Antonietta la conosco da qualche annetto ed ha anche pubblicato un paio di articoli per il mio giornale. La stimo molto, come persona e come scrittrice, forse deve solo disciplinarsi ed essere più riflessiva ma non ho dubbi sul fatto che i suoi scritti siano molto originali e incisivi (niente a che fare con la solita letteratura stantia, trita e ritrita). Il signor Benedetti mi sembra una persona per bene, equilibrata soprattutto, che esprime i propri giudizi con competenza. Vorrei invitare entrambi a stringersi la mano virtualmente.
Avrei preferito che tu non avessi fatto quel commento delle 11,12, che ora acquista un sapore di burla che non mi piace. Io agisco sempre (o almeno cerco di farlo) in buona fede, e soprattutto nei confronti di chi conosco per la prima volta, sono portato a credere a ciò che dice.
Comunque sono d’accordo con te nell’auspicare una stretta di mano virtuale tra i due collaboratori della rivista.
Vorrei che fosse Maria Antonietta a fare la prima mossa.
Non voleva essere una burla, ma solo un tentativo di fare una battuta scherzosa e far distendere gli animi. Se l’hai inteso così, mi dispisce e ti chiedo scusa.
Ok, Salvo. Spero di incontrarti qui come lettore e commentatore. Ciao.
Vorrei soltanto precisare che non ho mai detto che gli interventi di Gian Gabriele Benedetti “fanno ridere”. E non ho neppure messo in ridicolo l’intera produzione dello scrittore. Ho soltanto detto che un suo racconto non mi è piaciuto, come non mi piacciono certi racconti che ho scritto io stessa (specialmente i primi). Chi scrive si mette sempre in gioco e non può ritirarsi dalla competizione soltanto perché incontra pareri contrari alla sua idea.
Credo che Benedetti debba continuare a scrivere per la rivista, non c’è ragione alcuna per abbandonare la collaborazione.
Accolgo con favore questo scritto di “moderazione” da parte di Maria Antonietta. Voglio precisare che io non me la sono presa per la critica negativa del mio o dei miei racconti. So da me di essere limitato alquanto. Addirittura, come dicevo ad alcuni collaboratori della Rivista, tramite mail, quasi mi vergogno di rendere pubblici i miei scritti, specie quelli in prosa. So anche che il mio stile e il mio modo di concepire la realtà e le situazioni risente dell’età e i miei argomenti spesso possono sembrare, in tempi attuali, un po’ desueti, anche se un certo ritorno alla dolcezza, al mondo dei ricordi, ad un piccolo sano romanticismo, a mio modesto avviso, non guasterebbe poi più di tanto. Anzi!
Il mio rammarico è scaturito soprattutto da due momenti particolari, desunti dalle parole di Maria Antonietta. In effetti mi sono posto in discussione, quando mi è stato detto, più o meno, come mi permettessi di far critiche ai vari lavori e quando mi si è consigliato di darmi… al giardinaggio.
Ciò accantonato, confortato da diverse mail e commenti di solidarietà e di apprezzamento, riprendo il cammino sulla Rivista, cammino che ero intenzionato ad interrompere. Sperando sempre in comprensioni ampie da tutte le parti ed un po’ di umile buon senso (anche nell’accettare qualche rilievo che doverosamente si deve talvolta porre).
Gian Gabriele Benedetti
Quella sul giardinaggio era soltanto una battuta dettata dall’enfasi del momento. Sono contenta che Gian Gabriele Benedetti abbia deciso di continuare a collaborare alla rivista.
Ritengo chiusa ogni polemica da parte mia, anzi approfitto dell’occasione per segnalare allo scrittore che il suo commento al mio articolo su “Canne al vento” mi è piaciuto.
Maria Antonietta Pinna
@ Gian Gabriele Benedetti.
Questo post le fa onore. La immagino un signore vecchio stampo, dai modi garbati e dai toni pacati. Io sono capitato per caso in questo blog, solo per la simpatia che nutro nei confronti di Maria Antonietta, e difficilmente penso di ritornarci; non perchè non lo ritenga interessante ma semplicemente perché ho impegni di lavoro che mi impediscono di dedicare troppo del mio tempo a internet. Magari avessi la possibilità di dedicarmi al giardinaggio, mi sentirei appagato e realizzato, sicuramente meno stressato di adesso. E con questo un caro saluto a tutti. Avete a disposizione un angolo virtuale di mondo dove potete condividere quanto di bello offre il piacere dello scrivere, la passione per la poesia, la narrativa, la gioa di creare una storia. Utilizzatelo nella maniera migliore, nel rispetto reciproco, pur nella diversità di opinioni.
Dimenticavo di fare gli auguri a Maria Antonietta: oggi è la befana!!!
Debbo ringraziare Salvo Zappulla per le sue espressioni di apprezzamento, di alto rilievo e dense di sagge considerazioni. Debbo ringraziare anche Maria Antonietta per la precisazione opportuna e per l’apprezzamento espresso ad un mio precedente commento ad una sua recensione.
In cotal ritrovata concordia Vi aspettiamo tutti alle presentazioni di un libro, ché G aleotto fu il “refuso”:
“Processo a Kafka. egrave Tutta colpa di Napoleone di Bianca Stefania Fedi, Jacqueline Monica Magi, Daniela Toschi”, Del ucchia Editore, Massa Rosa.
La dottoressa Toschi – pur non masticando bene i gialli – ha mangiato una poesia in “singolar tenzone”, come ben si legge in quell’articolo postato pochi giorni fa, netto e sfumato.
I refusi.
Una poesia:
“Le sex est-il-politique?” “Et l’anotomie?” Naturlamente
Agli intellettuali+
Voleva volare, le scannarizzarono il cuore, due polmoni, la
cistifellea,
l’anatomie du corps artificiel, passò all’inorganico anche il cielo,
un cielo sottosopra.
Metalli.
Lo conosci l’algoritmo dell’infinito?
Quando correvamo sui prati e il cuore batteva?
Banale lo so: c’era il sole di giorno
la luna e le stelle di notte
senza nuvole
o c’erano le nuvole
un po’ qua e un po’ là, forme.
Ah! La felicità certificata, il campo dei miracoli, mangiafuoco?
Il Mago di Oz.
Il padre e la madre cercano gli occhi do Omar e un piede,
vogliono scannarizzare la morte,
vogliono volare.
(…)
come fanno certi insetti, mettere le ali quando c’è bisogno
per mangiare.
(…)
L’algorittimo dell’infinito (…).
http://groups.google.it/group/it.arti.poesia/browse_thread/thread/c7a00400e59476e8#
Buona Befana e Buon Anno*)
+
[…]
L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
[…]
(Da: “La Guinea”, Poesia in forma di rosa, in “Bestemmia”, volume primo, Garzanti, Milano 1993) http://www.youtube.com/watch?v=Fu-2lpMh4uY
(In tal ritrovata concordia mi volevo presentare, sorriso – e mi si scusi la lungaggine)
La prima poesia mi riporta echi futuristici, la seconda più classica. Scavano a fondo nell’animo, nell’uomo, nel mondo, nella vita, nella sofferenza. La prima cerca voli infiniti, quasi, con studiata disinvolta ironia, esorcizzando il dolore. La seconda sanguina nel cuore e piaga.
Auguri vivissimi per la presentazione del libro. Un mondo di successo alle brave autrici!
Sono stato tutto il pomeriggio senza linea. Mi è arrivata due minuti fa e cosa trovo?
Questi commenti stupendi, impregnati di comprensione, di amicizia e di reciproco rispetto.
Vi ringrazio dal profondo del cuore.
E ringrazio Gian Gabriele per non aver esistato a tornare tra di noi.
Scrivo in fretta perché ho paura che la linea se ne vada ancora una volta. Se non mi leggerete, sapete che sto lottando con l’adsl.
Vi abbraccio tutti.
Al rientro da un splendida vacanza a Londra ( e dovrei scriverne, Bart, di questa come di tante emozioni che in un tribolato Dicembre sentivo dentro e che eventi di affari e lavoro mi impedivano di sublimarne la sostanza in dimensione scritta), tornando a casa, dicevo, ho letto la dolce leggenda del pittore di via Fillungo (ah, Lucca, città d’arte, di artisti e antiquari!) precipitandomi ai commenti. Qui trovo subito il consueto post di Gian Gabriele Benedetti, ormai è un must di questa Rivista, una fonte di apprendimento, ma mi accorgo che qualcosa non va nel suo tono . Non è il Gian Gabriele che conosco, una nube grigiastra ne sporca i cieli del pensiero, di solito assolati e sereni. Un secondo post, un altro ancora e ho la brutta impressone di trovarmi estraneo in casa mia. Non capisco, che è successo, spiacerebbe spiegare? man mano che scorro il puzzle diventa di ardua composizione e faccio per svignarmela, pensando che sia insorto qualcosa che in fondo non mi riguarda. E in effetti mi sembra strano intervenire così, come il classico ortaggio a merenda. Sto per cliccare sul menu Preferiti quando una scheggia di lume illustra l’idea, come le lanterne cinesi nel cielo di Londra la notte di San Silvestro.
E dunque la rispota all’enigma sta, deve per forza stare, nei post pubblicati in mia assenza ma, accidenti, non scorgo niente di nuovo ( mi riferisco a fatti accaduti a un tratto ritenuti perfino tragici, leggendo Bartolomeo che parlava di incidente, non certo alla fattura degli articoli che è sempre di spessore). Più giù, il cursore scende più in basso e a margine di un racconto di Maria Antonietta Pinna, Io vedo, che ti vedo invece io? settantasette commenti. Ecco il marcio di Lucchesia, mi dico parafarsando Shakespeare, e mi tuffo nella lunga, difficile lettura. Al cui termine mi sento di affermare, e senza timore di smentita, che quanto si è andato dispiegando è un magnifico condensato delle angosce nascoste in chi scrive, un distillato di quella fragilità fanciullesca, autentiche gemme per chi attinge a una certa narrativa o una determinata poesia. Guai, guai a noi se non emergesse almeno una volta questo magma cieco e talvolta cattivo, esso fa parte di noi e sempre noi tendiamo a rimuoverlo. Mi chiedo, e vi chiedo, perchè? per quale motivo la parte più onesta di noi deve essere tanto compressa? Gian Gabriele, le cui volute mi inebriano al pari di un pittore manierista o del barocco di Noto e di Lecce, nel suo bisogno di estrarre il meglio a volte si inceppa – posso dire si sgrida?- per sorta di pudore, che so, magari di certa legittima educazione, ma io vedo in filigrana di ciò che scrive che l’elemento dionisiaco di una certa sua anima bacchica spesso è costretto in ambiti convenzionali. Ma quell’anima c’è e quando la strada di impicca per la salita lungo i boschi di Apuane, essa sente la forza di esprimersi senza indugi e condizioni. Quest’anima interpreta il tormeno di un uomo giusto, di onestà eccessiva , la quale a volte lo conduce perfino al rigore del richiamo ortografico. La lingua è sacra, dice Gian Gabriele, e chi può dargli torto, Ma dentro di essa c’è, ci deve essere la sostanza, urla Maria Antonietta. E da qui, da questi modi diversi di impiegare le pulsioni essenziali avviene il cozzo.
Che dire, ho idea, per quel poco che ho capito girovagando per l’Italia letteraria, che oggi quel conflitto è superato. La forma è sostanza, proclamano unanimi i Visir delle Lettere, e con questo la damocle del vecchio sembra aver ragione dell’ascia di lei. Che però para e ha fulimea rientra nella guardia, al punto di attaccare col maiuscolo. E’ un urlo liberatorio, quello di Maria Antonietta, sono certo che formalmente è rivolto a Gian Gabriele ma in sostanza esprime soloun amaro canto di dolore, umiliazioni, forse un rifiuto, che il più giovane pur deve patire, pena il fallimento di una salvifica maturazione.
Un caro, carissimo abbraccio a Gian Gabriele, che vedo, adesso scorgo con nitidezza nel momitor dei pensieri mentre attende a quel giardino. E’ dei semplici dedicarsi a tali arti. Io li invidio parecchio. Anche perchè di Essi saranno quei Cieli.
Un caro saluto a tutti e scusate queste improvvisate noterelle. Domani alle sette sveglia e lavoro.
Carlo Capone
c’è qualche refuso, ma francamente sono stanco e sudato e vado a letto.
Saluti
Carlo
Grazie, Carlo, di questa pagina forte e intensa, ricca e significativa, stimolante e penetrante, vibrante ed incisiva, profonda e accorata, che si avvale quel pizzico di sana intelligente ironia, propria di chi racchiude in sé umanità e cultura. Sei un grande!
Ti abbraccio
Gian Gabriele
Come vedi, Carlo, anch’io, ho “saltato” un “di” dinanzi a “quel pizzico…”. Che cominci a perdere… qualche colpo? Alla mia eta, non sarebbe, poi, tanto, strano.
Caro Gian Gabriele, i colpi perduti di cui preoccuparsi sono quelli dell’anima. La tua batte egregiamente.
Saluti
Carlo
Ho saltato un accento, perbacco!, sulla parola “età”. Che me l’abbia preso la brava Maria Antonietta nell’ampia “disputa”? (spero che la piccola “battuta”, sia presa con la dovuta ironia e bonarietà. Se non si scherza un po’ in questo mondo, che spesso lascia l’amaro in bocca…!).
Saluti a tutti
Gian Gabriele
Ringrazio Capone per il commento psicoanalitico. Volevo precisare che il racconto non è assolutamente autobiografico e che prima di parlare di dolori, umiliazioni e varie, si dovrebbe avere conoscenza diretta delle persone.
I refusi ci sono, dato che le riviste con le quali ho collaborato provvedevano alla correzione dei refusi e pensavo che anche in questo caso sarebbe stato lo stesso. E con questo considero chiusa la questione refusi che rischia di diventare pesante.
Ho visto soltanto adesso gli auguri di Zappulla. Grazie. Ricambio sentitamente, anche se sta in vantaggio perché per lui tutti i giorni è il 6 gennaio.
Maria Antonietta
Sono rientrato ora da Prato. A casa ancora una volta non ho l’adsl. Sono passato perciò da mio fratello e ho visto i nuovi commenti. Vi raccomando!
Misura.
E soprattutto vediamo di considerare chiusa la questione.
Tenete presente che se non mi leggerete, sarà perché non sono collegato.
La questione dell’adsl che mi riguarda è così combinata: il tecnico che è già venuto due volte a casa mia dice che la colpa è del gestore Tiscali. Tiscali invece dice che tutto è ok. Il che non è verò perché sto molte ore senza linea e, quando viene, sto collegato per breve tempo, giusto per rispondere alle e-mail e controllare la rivista. Spesso non faccio nemmeno in tempo a completare una risposta che la linea se ne va.
Ho già preso accordi con un altro gestore, Tele 2, che ha promesso di fare quanto prima per sostituirsi a Tiscali, ma il tempo massimo che si è preso è di 4/5 settimane.
Non so quindi quanto durerà questo calvario. Dovete perciò pazientare se la mia presenza non risulterà puntuale come credo sia sempre stata.
“….. prima di parlare di dolori, umiliazioni e varie, si dovrebbe avere conoscenza diretta delle persone.”
Maria Antonietta, per carità, io parlavo di dolori ed eccetera riferendomi all’ambito letterario. Chi lo pratica è ad alto rischio di simili accidenti. Me lo dice l’esperienza, non necessariamente personale.
Se lei dolori ‘letterari’ non ne ha mai avuti mi compiaccio e mi congratulo.
Carlo Capone
PS Bart, tranquillo :-)
Quelli letterari, caro Capone, non possono essere definiti “dolori”, ma ferite autoinflitte. Uno scrittore si mette in gioco, sempre, in una prospettiva che non sempre è appagante ma irrinunciabile.
La scrittura è come una sana droga, crea dipendenza, attrazione smodata per il proprio lavoro. E il povero drogato raggiunge l’acme del masochismo quando si mette in testa di voler pubblicare le sue opere. Pura follia!
Chi pubblica oggi in Italia?
Parliamone…
Basta dare uno sguardo alle vetrine delle librerie. Su 100 libri pubblicati 99 sono puro business, come le scarpe cinesi da conto alla rovescia, 10, 9, 8, 7, 6.
10 giorni durata massima, poi le fiondi nel primo secchione sotto casa, perché sono materia morta. Forse il libro durerà qualche mese, poi? Dimenticatoio. Romanzi sfornati a ritmo di uno ogni 60 giorni dallo stesso scrittore di fama, trame inconsistenti, personaggi ridicoli, introspezione assente.
Romanzi destinati a lettori distratti che dopo aver consumato il pasto, abbandonano il libro sul treno.
L’editoria oggi privilegia qualità o business?
Secondo me il secondo, perché il denaro vince su tutto in questo nostro mondo.
L’esordiente? Un pazzo! Un perdente! A meno che… A meno che non faccia politica o lavori in Rai o faccia l’attore o il comico, o…
Molte case editrici se non conosci qualcuno neppure ti leggono, fanno soltanto finta. Dopo 5-6 mesi ti mandano un foglio che sembra l’anticamera dell’Inferno: “Non rientra nelle nostre linee editoriali”.
Personalmente ho mandato a diverse case editrici la mia tesi di laurea per la pubblicazione. Non rientrava nelle loro linee editoriali.
Poi l’ho vista pubblicata! Un miracolo! Peccato che il nome scritto sopra al psoto dell’autore non fosse il mio ma quello della mia prof. di storia moderna che se l’è tranquillamente copiata, pagina per pagina.
Lei è riuscita a farla entrare nelle linee editoriali di qualcuno, lei sì, grazie al finanziamento dell’Università.
Naturalmente ho sporto denuncia.
Trattasi di plagio letterario.
Vogliamo parlarne?
Maria Antonietta
Maria Antonietta, solo per dirle che almeno io non sono un masochista drogato :-) :-)
a parte la tesi, lei scrive? non c’è niente di male a dirlo, sa?
Scrivo e lo dico tranquillamente, senza problemi. Non ho di questi pudori, stia tranquillo. A parte la tesi ho fatto altri lavori. Ne sto scrivendo uno anche adesso. Tra l’altro è un lavoro che mi sta molto appassionando. Il termine “masochista” era puramente ironico nel caso mi fossi espressa in modo non chiaro e non riferito in particolare a lei. Idem “sana droga”, utilizzato soltanto per esprimere l’idea dell’irrinunciabilità alla scrittura da cui lo scrittore vero è dipendente. Un po’ di ironia non guasterebbe in questa sede, come non guasterebbe il coraggio di parlare di temi importanti inerenti l’editoria e la letteratura invece di limitarci soltanto all’autoincensazione tra amici della serie: “Il tuo racconto è splendido”, “la tua poesia meravigliosa”, etc. etc. Possiamo avere il coraggio intellettuale di dire le cose come stanno?
Possiamo avere il coraggio di parlare del libro usa e getta, sempre più pubblicato, presente dappertutto negli scaffali delle librerie? Parliamo di qualità, di profondità nella scrittura, di originalità, gusto. Parliamo di libri dimenticati, che nessuno legge perché non ci sono in libreria. Un esempio?
C’è un meraviglioso saggio di Massimo Izzi sui mostri nell’immaginario pubblicato da Basaia negli anni ’80. Trovatelo se ci riuscite! Ampissima bibliografia, costruzione eccellente, ottimo libro. Lo possiedo soltanto perché ho la passione bibliofila della ricerca, ma vi assicuro che trovarlo è un’impresa.
In compenso troverete facilmente i racconti pseudo-amorosi dell’ultima pseudo-attricetta di turno, davvero fantastico!
Questo è il mondo del libro-consumo, oggetto imbarbarito, depauperato di sostanza, prostituito al mercato, ridotto a pura merce.
Forse dal libro ci si aspetterebbe qualcosa di più o no?
Caro Carlo, ti ripeto che nel tuo amplissimo (non AMPISSIMO, poco comune, pressoché errato!) commento, scritto quando sei rientrato da Londra, ho trovato tanta saggezza e non è mancata intelligente ironia. Mi sembra, poi, che molti di noi abbiano “giocato” non poco con quella stessa ironia, che è il sale della vita.
Ti saluto
Gian Gabriele
Gian Gabriele
“… Romanzi destinati a lettori distratti che dopo aver consumato il pasto, abbandonano il libro sul treno. …”
Ci fu quello d’Ugolino e quello nudo, il pasto.
Be’, (oddio, ho sempre pensato fosse un troncamento – davvero! Sorriso.) Vi aspettiamo tutti a mangiar Kafka*)…e Napoleone, così ci si vede.
Sono ancora senza linea e rispondo dal pc di mio fratello.
Il tema trattato da Maria Antonietta è molto importante. E’ vero che è anche noto ed è stato discusso tante volte pure sul web (ad esempio su vibrisse), ma ciò non toglie che resti ancora di notevole rilievo. La grande editoria va in cerca di business, e non ha torto in una società di forte consumo come la nostra, ma ha però dimenticato di investire una parte del guadagno in direzione di nuovi talenti che si prodigano per dare una qualità alla scrittura ed al romanzo in modo particolare. Salvo rari casi, gli esordienti, presso le maiors sono di solito personaggi della società, già conosciuti per altro verso. Si deve alle case editrici più piccole l’uscita di qualche libro di esordienti che abbia un qualche interesse letterario. Ma come si sa il mercato di queste minors è assai ridotto e spesso i loro libri non riescono neppure a conquistare la vetrina di un libraio.
Ecco perché si deve anche puntare sul web e sul libro digitale, dove la scrittura non è mediata da interessi economici preponderanti. Dobbiamo puntare al risultato che l’autore sia l’editore di se stesso, e per fare ciò occore che l’autore si muova e si attrezzi per offrire ai suoi lettori un testo ineccepibile come struttura e come stile. Deve ossia mettersi in gioco ed imparare a divenire autore/editore.
Ad esempio questa rivista, che ha anche una sezione dedicata ai romanzi e ai testi a puntate, e che ospita molti lavori in home (racconti, saggi, eccetera) è nata a questo scopo, come palestra formativa e di confronto.
Sono convinto che la scrittura digitale avrà un ruolo importantissimo in un futuro non molto lontano, e cò comporterà un confronto alla pari tra autori noti e sconosciuti. Sarà il momento in cui le opere, sia pure gradualmente, si affermeranno presso i lettori principalmente, se non unicamente, per le loro qualità intrinseche.
Grazie a Bartolomeo per il suo intervento. Purtroppo il digitale comporta attualmente dei problemi. Tutti possono vedere il testo su Internet ed appropriarsene fingendo che sia il proprio. E guardate che succede più spesso di quanto si creda, infatti risulta che moltissime tesi di laurea sono copiate da Internet. Il fenomeno cresce…
E poi un autore ha bisogno di vedere su carta i risultati del proprio lavoro.
E a proposito di Kafka, il caso è emblematico. Oggi è considerato uno dei più grandi scrittori del Novecento, ma non è stato sempre così…
Il “genio” parla sempre ai posteri, è scomodo ai contemporanei.
Anche quando è così magro, come Kafka o Pasolini o Pound,
o gli tocca nascondersi dalle parti di Russel Square, tra Eliot e la Woolf – la “sorella” di Shakespeare; poco più in là c’è pure Jean Costeau – “Je reste avec vous”*)
Ciao
Intervengo solo ora, sono la terza scrittrice di Kafka, quella che ci ha tirato dentro Napoleone facendosi dare della pazza, almeno all’inizio. Pubblico con un editore vero, cioè non a pagamento e che ti fa le bucce a cosa scrivi, sul sito del mio editore trovate la mia biografia, faccio la giornalista e talvolta l’editor e ho la fortuna di aver avuto dal mio editore la richiesta di esclusiva, ma i refusi nei miei libri ci sono sempre, perché non dipendono dallo scrittore ma dall’editor. Nell’editoria è l’editor che fa la revisione finale, non lo scrittore. Nei testi stampati lo fa lo scrittore, quei testi cioè che lo scrittore paga per “pubblicare”, ma che sono stampe, non pubblicazioni.
Uno scrittore può dirsi pubblicato solo quando ha un editore vero e non uno stampatore che paga e gli fa controllare le bozze, quindi la vostra questione sui refusi è abbastanza puerile e non tiene conto dell’editoria. Ha ragione la scrittrice Pinna così come in parte ha ragione Benedetti, ma deve tener conto che spesso la colpa non appartiene allo scrittore e una tale ossessione per la perfezione e i refusi è fuori dall’editoria,
Ringrazio Jacqueline Magi. Finalmente una persona intelligente che interviene a proposito.
Maria Antonietta
Ora ho capito chi ha ammazzato Edoardo come un agnello! Non faceva mica l’editore senza correzione di bozze?
Edoardo si è ammazzato da solo come tutti quelli che capiscono poco.
Ma su una Rivista come questa gli errori di ortografia stonano non poco! Non si possono accettare. Possono capitare i refusi, quello sì. Succede anche a me, ma non l’errore marchiano!
Se Edoardo si è ammazzato da solo, come quelli che capiscono poco…, io ne conosco una!
Gian Gabriele