LETTERATURA: Kubrick e Biamonti30 Agosto 2008 di Francesco Improta Per quanto possa sembrare strano Stanley Kubrick e Francesco Biamonti sono molto più vicini di quanto si creda. Contemporanei e quasi coetanei, hanno vissuto e testimoniato la crisi degli ultimi vent’anni del ventesimo secolo, attraverso opere di grande tensione morale e di eccezionale bel Âlezza che hanno dato lustro e spessore al cinema e alla letteratura contem Âporanee. Le analogie sono rintracciabili, innanzitutto, nel modo di vivere: lontani dalla folla, in un’aristocratica e severa solitudine, nel tentativo di perseguire con ferocia la loro purezza umana ed artistica. Chiuso nel suo castello di Sant Adams, lontano da sguardi indiscreti Kubrick; ap Âpollaiato sulle colline dell’entroterra intemelio, fra gli olivi argentati e le adorate mimose, Biamonti. Le uniche sortite erano, per Kubrick le passeggiate in automobile con il fido autista, che non doveva mai superare la velocità di 40 miglia (a tal proposito vale la pena ricordare che un giorno, quando al volante della mia autovettura avevo premuto il piede sull’acceleratore, Biamonti seduto al mio fianco mi disse con la sua solita ironia: “Non sarai mica diventato un futurista?”), e per Biamonti, invece, le scorribande notturne sulla costa in cerca di volti, di situazioni, di esperienze da trasportare nei suoi romanzi. Entrambi, perfezionisti fino alla mania, sono tornati più volte sulle loro opere correggendo, tagliando, aggiungendo scene, immagini, semplici parole; nel suo ultimo film “Eyes wide shut” Kubrick ha fatto girare a un divo famoso, qual è Tom Cruise, 96 volte una scena di una semplicità disarmante (si trattava di chiudere una porta) e Biamonti riscriveva decine di volte la stessa pagina nel tentativo, sempre coronato da successo, di una scrittura scarna, prosciugata e pregnante come non mai, una scrittura “liricamente arida”, mi si passi l’ossimoro che è, del resto, la figura retorica dominante nei film di Kubrick. Il cinema di Kubrick, non diversamente da quello di Ejzenstejn e di Pasolini, si basa sulla forza della contraddizione ed infatti i suoi film sono caratterizzati da una spinta in avanti, verso il futuro, la sperimen Âtazione, le innovazioni ed un altrettanto significativo salto all’indietro, al passato, alle origini del cinema nel tentativo di recuperare le carat Âteristiche peculiari della fotografia e della pittura; si viene a creare, per Âtanto, un contrasto, fin troppo scoperto, fra le immagini e il racconto, per cui le immagini non sempre si compongono in maniera unitaria e coerente, ma spesso si contrappongono al discorso che attraverso di esse viene fatto, fuoriescono dal racconto, acquistando piena autonomia ed in questo ca Âso si può dire che il particolare oscura l’insieme e cresce a sue spese. Nasce un conflitto tra la significazione che è racconto e la visione che è percezione, come dice Bernardi, acuto studioso di Kubrick, tra ciò che le immagini mostrano e ciò che esse significano. Si assiste quindi ad uno svuotamento della significazione a tutto vantaggio della visibilità . I film di Kubrick – come quelli di tutti i grandissimi – non mostrano immagini per raccontare storie ma raccontano storie per mostrare immagini; non è un caso che tutti i movimenti della m. d. p. (panoramiche, carrelli laterali, zo Âom, carrelli indietro etc.) mirano a forzare la scrittura cinematogra Âfica, svuotando l’enunciato e limitandosi ad istituire uno spazio ed un tempo, cioè le coordinate fondamentali di qualsiasi forma di espressione. Sono movimenti immobili (ritorna l’ossimoro) e mirano a creare uno spazio non diegetico ma iconico, cioè non funzionale al racconto ma bloccato nell’autorappresentazione, come in un quadro. Lo stesso dicasi per i primi piani che non si integrano in sequenze narrative ma si reggono da soli metonimicamente meglio ancora per sineddoche, sono parti che rappresen Âtano il tutto. Il tempo, poi, in Kubrick si moltiplica, nel senso che nei suoi film esiste la coscienza del tempo come coesistenza di passato, presente e futuro e talvolta il tempo addirittura diventa visibile, corposo, materiale come in Rapina a mano armata e in 2001: Odissea nello spazio. Anche in Biamonti il tempo acquista molteplici valenze in quanto è filtrato attraverso la coscienza e soprattutto la memoria dell’autore e dei suoi straordinari personaggi, radicati alla terra d’origine eppure sempre pronti a viaggiare, incapaci, come sono, di mettere radici; ne consegue che il paesaggio, vero protagonista dei romanzi di Biamonti, pur conservando tutta la sua concretezza, è un paesaggio dell’anima, materiato di an Âgosce, ossessioni, labili e confuse speranze. Lo spazio, quindi non diver Âsamente che in Kubrick è iconico, scarsamente funzionale alla storia sempre esile e povera di casi, ma si carica di valenze simboliche e di stra Âordinarie suggestioni. Monaco della luce, come è stato definito, Bia Âmonti descrive i cieli alti della Liguria, il delirio del mare, di ascendenza montaliana, la luce che rotola a blocchi sulle rocce arroventate, i tronchi contorti degli ulivi e il profumo penetrante delle mimose con l’intensità e la forza rappresentativa di Cezanne o, nell’ultimo romanzo – ambientato quasi tutto di sera – di George de la Tour. Entrambi, infine, sono riusciti a frantumare con un pessimismo sempre più agghiacciante mode, miti e illusioni di massa, siglando con largo anticipo la deriva del secolo. In un’intervista, nell’immediata vigilia del nuovo millennio, Biamonti ha testualmente detto: “Il secolo muore nel disonore e nella vergogna ed il futuro non sarà certo migliore”. Letto 2907 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by marino — 30 Agosto 2008 @ 19:07
Bel pezzo come sempre, professore.
marino
Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: Kubrick e Biamonti - Il blog degli studenti. — 31 Agosto 2008 @ 08:29
[…] senna977: […]
Commento by Giorgio — 1 Dicembre 2008 @ 23:19
Apprezzato molto lo scritto anche per la originale e ‘curiosa’ comparazione tra Kubrick e Biamonti (che, temo, non amasse molto la mimosa -come fiore- …)