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LETTERATURA: “La manomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio, Rizzoli

14 Giugno 2011

di Francesco Improta

L’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole, non è un romanzo e neppure un saggio di linguistica, come lascerebbe intendere il titolo di primo acchito; ma non è neppure un pamphlet politico o filo ­sofico, come lo stesso autore dichiara in maniera esplicita nell’epilogo posto a metà del libro, prima, cioè, della sua riflessione, consapevole e mirata, in quanto di sua specifica competenza, sul linguaggio giuridico. Si tratta, invece, di un gioco originale e spesso inevitabilmente arbitrario di cui parte integrante e indispensabile, come risulta dalle tante citazioni, sono i libri scritti dagli altri, a cui egli attinge a supporto della sua tesi di fondo che le parole, cioè, sono sottoposte a una continua e vergognosa manipolazione che le priva del loro significato originario, trasformandole da meccanismi delicati e vitali in materiali inerti. Da qui la necessità di smontare le parole, liberandole dalle diverse stratificazioni che nel tempo si sono aggiunte e dalle convenzioni verbali che impediscono ad esse di identificarsi con le cose alle quali, in origine, avevano dato voce. Restituire, quindi, dignità alle parole diventa non solo l’assunto del libro ma una specie d’imperativo morale categorico da parte di Carofiglio che non a caso sostiene con dovizia di argomentazioni e l’appoggio di au ­torevoli pensatori e studiosi che la cura delle parole è sinonimo di una società realmente democratica. Se è vero, infatti, che la democrazia si fonda, tra le altre cose, sulla libera circolazione delle idee è altrettanto vero che le idee hanno bisogno di un linguaggio ricco, chiaro e puntuale che le veicoli. All’opposto le società totalitarie si basano su poche, scarne parole d’ordine che non consentono discussione o confronto ma reclamano cieca obbedienza; cosa quest’ultima che si nota non solo a livello politico ma anche nella vita di ogni giorno. Sono i giovani, infatti, che dispongono di strumenti linguistici scarsi e inefficaci che alzano la voce quando non ricorrono addirittura alla violenza, perché non sanno gestire una conver ­sazione.

Né va dimenticato che la ricchezza di linguaggio e la sua capacità di chiarire i concetti e di creare immagini non solo favoriscono lo sviluppo della democrazia ma consentono anche un possesso più sicuro del reale e talvolta una reinvenzione della stessa realtà da qui la necessità rivendicata da Carofiglio di combattere con ogni mezzo l’impoverimento della lingua, la sciatteria dell’omologazione, la scomparsa delle parole.

Non presumo certo di aver esaurito i tantissimi argomenti affrontati dall’autore, che tra l’altro cerca di restituire verginità a parole fonda ­mentali nella vita di ogni individuo, quali vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta, vergognosamente sfruttate e manipolate, ma mi sembrava doveroso rilevare la bellezza di un’avventura intellettuale, singolare e atipica, lungo un itinerario che pur spaziando dall’antica Grecia ai nostri giorni conserva il fascino dell’attualità e il sapore dell’anarchia, senza rinunciare per questo al rigore dell’indagine e alla chiarezza dell’espo ­sizione. Un’avventura a cui dobbiamo alcune rare perle di saggezza e di eccezionale valore morale, mi riferisco, nel capitolo dedicato alla scelta allo scritto di Gramsci Contro gli indifferenti, comparso sulla rivista da lui fondata La città futura che ha i toni epici del manifesto politico ed etico e alla celebre poesia di Henley, Invictus, che non a caso è stata citata anche nel film omonimo di Clint Eastwood su Nelson Mandela.

(dal “Corriere Nazionale”)


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Bart