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LETTERATURA: L’attenzione che riserviamo agli altri è la soluzione che creiamo per noi stessi

8 Marzo 2014

di Fabio Strafforello

L’attenzione che riserviamo agli altri è la soluzione che creiamo per noi stessi.

Sono partito con questo ultimo elaborato con l’idea che ringraziare un caro amico fosse giusto anche nell’attenzione che egli mi ha riservato, ho capito così sino in fondo i nostri profondi stati d’animo:

Caro Natalino,

sono felice che tu abbia lasciato su rivistaparliamone un tuo personale commento al mio ultimo elaborato: Oblio della morte, esso assume un valore particolare perché scritto da te che sei una persona di elevata sensibilità, ed anche perché riporta e conferma nei miei confronti, se ve ne fosse ancora bisogno, i buoni propositi con i quali pongo particolari attenzioni nei riguardi dell’animo umano. E’ un elemento di autenticità quello che lega ogni individuo al suo animo e che ne rende ovvia ogni spiegazione al suo specifico comportamento, ponendo in diretta relazione gli esseri viventi col proprio vissuto, sviscerando e rendendo palese, attraverso l’indagine conoscitiva di azioni dirette e l’espressione indiretta dei sentimenti umani nati in modo spontaneo, la naturale conseguenza di ogni terreno atteggiamento. In sostanza si tratta di un percorso di ricerca effettuato alternativamente fra i contenuti esteriori e quelli interiori dell’essere umano e sia pur nel senso inverso, cercando di trovare il capo di una matassa che è solo parte di un risultato complesso, così da risalire alla sorgente e alla matrice di ciò che ne ha costituito i valori in gioco, quali elementi preponderanti di un insieme di comportamenti.

Non è uno scavo o una ricerca di sola appartenenza psicologica, ma ponendosi oltre la sfera dello scibile si riporta alla conoscenza e alla comprensione dell’individuo posizionandolo fra i contesti razionali ed irrazionali che ne compongono la propria identità personale. Non è neanche una sorta di sperimentazione, dove voler dimostrare in modo quasi scientifico che ogni risultato e frutto di ogni azione ben determinata. Tutto è basato sull’ascolto, sulla ricerca, sul pensiero e sulla riflessione, tutti elementi indispensabili per cogliere ogni indizio di origine irrazionale, sensitiva e indefinita, così come in fondo è anche il pensiero umano, per poi trasportarla e renderla visibile o comprensibile all’attenzione o alla definizione di ogni individuo.

Definisco l’animo umano una sorta di identità vivente, la cui presenza nell’uomo è rappresentata da una forma indefinita di materia e la cui origine è legata al mondo dell’irrazionale. La forma irrazionale è ciò che l’uomo non sa razionalizzare o comprendere nel suo standard di osservazione, ed è ciò che appare indefinito alle regole o nel computo di un risultato prevedibile. E’ attraverso le sensazioni che l’anima giunge a manifestare la sua presenza sulla “superfice†umana, fra quegli elementi che compongono la realtà apparente che ogni uomo vive nel suo percorso dell’esistenza e ponendone il dubbio sulla veridicità dei concetti apre una frattura fra ciò che esiste nella definizione della conoscenza e quindi della coscienza. L’anima rimane ancora oggi una forma indefinita, e lo rimarrà per lungo tempo ancora, per effetto dell’incapacità umana di trovarne e di darne la giusta dimensione; essa non è legata al tempo dell’uomo, o se preferite all’unità di misura con la quale l’uomo concretizza parte del tempo. Un giorno l’uomo riuscirà a definire e a comprendere l’identità dell’anima ed allora vorrà dire che sarà giunto al cospetto di Dio, rientrando a far parte della sua giustizia. Le anime percorrono il sentiero del tempo, la dove non esiste ne prima ne dopo, ma solo il susseguirsi degli uomini e delle forme naturali, in un avvicendarsi di azioni, identità solo di se stesse.

Ricordiamo sempre, però, che è indispensabile lasciare per ognuno di noi la libertà di credere, di pensare, di immaginare quali fra le opportunità di scelta di ogni individuo sia ciò che maggiormente ci appartiene, tanto che si può sperare in Dio o rifiutarlo, ci si può inoltrare nella vita ed accettarla, oppure si può credere al nulla come sola possibilità di riscatto, ma vivendo ugualmente nelle regole comuni del reciproco rispetto. Fa parte, anche questa parentesi, della felicità individuale, quel luogo immaginario dove ogni essere umano e forse vivente proietta se stesso alla ricerca della pace, della serenità e della comprensione nei confronti di ogni cosa e di ogni evento.

Credo al male come fine di ogni cosa e credo al bene come continuazione di ogni cosa, tanto che nell’origine stessa della loro ragione si nasconde il moto relativo del pensiero umano, quale significato e giustificazione dei contenuti posti in essere. Sarà liberando l’uomo dalla costrizione del dolore, che entrambi questi valori, annullandosi vicendevolmente, comprenderanno altresì il significato della vita, frantumandone ogni riferimento temporale .

E’ vero Natalino, ci conosciamo da oltre cinquant’anni, anche se non sempre abbiamo avuto l’occasione di frequentare le stesse compagnie o di convergere negli stessi atteggiamenti di vita, tuttavia non dimenticherò mai quanto di bello, di coinvolgente e talvolta di trasgressivo abbiamo vissuto in una compagnia di amici o di soli conoscenti “sani dentroâ€, dove il rapporto umano è sempre stato il tramite imprescindibile attraverso il quale costruire delle realtà non solo soggettive, ma anche oggettive di ottimo profilo e valore sociale. Per noi amici sei sempre stato un punto di riferimento, vista anche la tua imponente mole e la tua importante barba, ma a parte gli scherzi e al di là delle sole apparenze, essendo anche in età leggermente più avanzata rispetto alla nostra, abbiamo sempre visto nella tua figura una persona, un carattere ed una passione particolare nell’affrontare con umanità e con sensibilità molte tematiche di carattere sociale o anche solo strettamente individuale. Oltre ad essere un grande e ottimo conoscitore del dialetto ligure locale, attraverso il quale hai scritto molte poesie e racconti bellissimi nei quali sei stato giudicato da opportune giurie ed anche premiato più volte, non viene meno pure il tuo impegno in molte altre iniziative umanitarie o di tipo naturalistico alla quali partecipi attivamente con continuità e apportandone un notevole incremento culturale. L’opera più grande che assieme a tua moglie Pierangela avete contribuito a completare e ad arricchire, non solo per voi stessi e sotto molti aspetti, si è concretizzata con la vostra unione, creando una grande intesa e una forte sinergia, in un mix fatto di omogeneità, di semplicità, di elevata sensibilità, di onestà intellettuale e di grande umanità. Pierangela è, fra le tante belle cose che sa fare, anche una straordinaria acquarellista che più volte si è prestata, alla mia specifica richiesta, per fornirmi l’immagine di copertina di alcuni dei testi che ho precedentemente pubblicato. Su questa rivista potrete visionare alcuni ritratti nati dalle sue peculiarità e pubblicati su un volume intitolato: Il rissoso pettirosso e gli altri digitandone opportunamente il cognome Trincheri.

Nel nostro piccolo paesino di Bellissimi, posto poco a ridosso del nucleo urbano di Dolcedo e affacciato in bella posizione verso il mare nello scorcio della città di Imperia, abbiamo formato e cresciuto la nostra identità, la nostra condizione psicologica, umana e pratica, conoscendo e rapportandoci con una realtà fatta di sacrificio, di fatica fisica, di impegno, di privazione, di rinunce e di abnegazione dei soli propri egoistici desideri. L’improvvisazione, la creatività, la sperimentazione, la solarità del gioco e la libertà individuale   sono tutte realtà ed opportunità che non ci sono mai mancate nel contesto di questo ambiente e in quel particolare periodo, dove abbiamo arricchito e completato il nostro animo con la curiosità e col desiderio di provare sempre stupore anche per quello che oggi giorno appare oramai solo come scontato. Non dimenticheremo mai, almeno credo, quelle “spedizioni†improvvisate e organizzate lì per lì e con i modesti   mezzi di cui si disponeva, per recarci a pescare pesciolini, trote e anguille nel Torrente Prino, ma solo dopo averne prontamente deviato il corso d’acqua così da facilitarcene il compito e per centrarne almeno parte del risultato. Non dimenticherò mai le belle scampagnate sul Monte Faudo, nel periodo estivo naturalmente, lì dove fra prati e boschi i nostri contadini provvedevano a rifornirsi di fieno per foraggiare gli animali nel periodo invernale, o di legna per scaldarsi o per realizzare costruzioni necessarie al mantenimento dei loro averi.

Dalle cave di pietra ricavavano le “ciappe†che sfogliavano poi a colpi di mazzetta, utilizzando scalpelli o cunei di ferro da inserire fra le lastre dei banchi stratificati in modo naturale per poi caricarle in numero di alcune unità sui muli, ma in certi casi, per gli uomini più forti, era anche possibile apporre sulle proprie spalle una parte del lavorato percorrendo molta strada per portarlo sino al luogo di consegna. La “ciappa†è una sfoglia sottile di pietra, impenetrabile dall’acqua e quindi utile a coprire i tetti delle case dove abitavano, ma buona anche per coprire i fienili e le stalle dove alloggiavano gli animali o per proteggere ogni altro genere di bene che fosse di interesse e di utilità per la famiglia. I Liguri nei secoli hanno lavorato molto, hanno lavorato troppo, costruendo milioni di metri quadri di muri a secco, piantando altresì milioni di piante di ulivo, ed ora che vedo tutto questo abbandono e tutto questo sfacelo sul territorio, mi piange il cuore nel ricordarne il loro grande valore. Per chi vuole essere meravigliato, nei suoi viaggi fra le cultura, da qualche cosa di non maestoso, ma di imponente, non credo basti e occorra visitare solo le Piramidi Egizie o vedere il Grande Muraglione Cinese, per capire quanto di interessante esiste in questa Italia, ma occorre sia pure inoltrarsi negli splendidi scenari della Liguria per cogliere universalmente tutte quelle impressioni e quelle sensazioni di un passato di rigore, di passione, di necessità, di forza, di mitezza e rispetto da parte di un Popolo che ha abnegato la disattenzione umana e relegando nella bellezza il ricordo del suo valore.

“Muri storti, franati di passione, appoggiano   con la forza del volere il nostro modo di crescere, di vivere, i nostri ricordi e le nostre paure, a nulla può l’uomo, oltre il portare se stesso con lo stupore della vita, che cercare fra il desiderio della libertà la forza di poter continuare ad agire e a sperare.

Quello che unisce i Liguri nel loro modo ostinato, convinto, malinconico e a volte distaccato di rimanere lontani dall’abbondanza e dallo sperpero, è scritto dal passato, è un legame stretto fra la durezza della terra e il ripido mare nel quale essa va a calare, allontanati poi dalla sensazione comune che tocchi ad ognuno di noi scalarne la vetta; è il profondo silenzio che accompagna la convinzione che la “rinuncia umana†sia l’obolo sacrificale con cui pagare l’oblio a cui siamo predestinati “sia pur se spinti dal piacere che a viver la vita ci fa   desiderar sollievoâ€, felici che tutto cambi senza essere mutato, distanti da un clamore che pur durando per un solo attimo è poi difficile da allontanare.

Sentimenti forti che sfuggono dalle maglie larghe del giudizio, ma catturati con sensibile emotività dalla comprensione umana , repressi fra le azioni millenarie del lavoro, del sacrificio, della rinuncia, e lontani   dalle troppe e inutili parole che portano distanti “dove non occorre sapereâ€, assolti magicamente da una voce che a tono basso ci ricorda che non c’è altro modo per non essere dimenticati “quel che l’uomo lascia in ricordo a questa vita, è nella speranza d’esser ricordato†.        

La Liguria, una Terra ricca di colori, sfumature e ambienti intrecciati, dove camminando   fra foglie d’ulivi, d’argentei   riflessi, sospese a mirar dalle colline le facce del sole, ti sembra di incontrare ancora quei   volti d’uomini a scolpir con la forza del carattere e fra le scafe della terra il loro profondo umore. Luoghi dove la biodiversità   e il clima mite, rendono il nostro modo di vivere una prerogativa importante, un’occasione da non perdere e un tesoro da conservare.

Ritornerai girovago del mondo, ritornerai lì da dove non sei mai partito, da dove non ti sei mai allontanato, a vedere se fra quel che hai lasciato c’è ancora il tuo modo originale di cercare, in un mondo ora diverso da come lo hai conosciuto e da come lo puoi ora   ricordare, ma dove la povertà parla sempre la stessa lingua “quella del disagio, della sofferenza, sia pur mostrandone col viso della diversità un altro aspetto e un altro coloreâ€.

Ci incontreremo, ci incontreremo ancora, ognuno alla ricerca della propria risposta, vicini ad una verità che sfugge sempre all’ultimo momento dall’esser catturata e lontani da una comprensione che va oltre il nostro volere.

Quel che manca non è una ragione.                        

Ci vedremo lì, nelle pubbliche piazze, popolate e vive fra i ricordi della nostra mente, colme di sguardi di chi   ci ha già abbandonato, è fra quei pensieri che c’è anche il nostro cuore, mai stanco nell’attesa d’esser capito, fra i volti di gente normale che al risveglio del mattino cantava per   accudire quel che di essenziale gli era prezioso, distanti dal dover litigare ad un incrocio o per la rabbia di voler frettolosamente passare.

Raccolti tutti assieme in quelle piazze e adornate ad anfiteatro dai loro umori, mostravano, sia pur fra i veti personali   nell’omertà nascosti, con qual coscienza l’uomo può essere colto nel suo lato più delicato, indicando con occhi umettati e lucidi di vivida ragione, la capacità di penetrazione del dolore nell’animo umano. Di qual forza sono gli uomini se spinti alla gioia o alla sofferenza dai sentimenti che provano?           Essi, rappresentando fra scene di comprensione o di delirio, quelle azioni consumate ad ogni nuovo giorno e al mutar delle stagioni, si mostrano come attori consolidati sul palcoscenico del teatro della vita.

Di qual vanità e di qual lecito desiderio sia ovvio sfamarsi mai lo capiremo.

Questo spazio essenziale di libertà che l’uomo ha posto lontano da se stesso, richiudendosi nella solitudine, fra l’egoismo e la centralità dei suoi bisogni, sono l’immagine soffocata del desiderio di indipendenza dalla condizione umana, ma poi catturata ed imprigionata da uno schermo e così riprodotta prima in un volto liscio e poi sempre più quadrato “ per esser con la scienza mutatoâ€. In quello schermo tutto appare sempre bello da vedere, gradevole nel parlare, edotto nel sapere, ma forse troppo lontano dalla profonda verità umana e dove l’ipocrisia della conoscenza, lo squallore degli intenti, la miseria nella volontà di giudizio, il desiderio del potere, la violenza come mezzo di sopraffazione, sono sempre gli elementi trainanti di questa evoluzione.

Persone che hanno lasciato un vuoto,   per chi voleva ascoltare il valore dell’uomo, fra i discorsi, i pensieri, i modi di dire, le favole, le bugie e le paure, raccontati in quei “luoghi comuni†dove ogni essere umano   riconosceva una parte di se stesso nascosto fra i sentimenti, gli accadimenti, i silenzi e le speranze di tutti gli altri esseri umaniâ€.

 

Oltre al dissesto e al decadimento naturale al quale sono sottoposte le opere murarie eseguite dall’uomo, con crolli di muri e crolli di tratti di strade o di mulattiere un tempo faticosamente costruite a mano, ora si mettono a pesare negativamente sul contesto ambientale le intense piogge che si riversano copiose anche in periodi di fuori stagione, le quali mettono a dura prova il nostro delicato territorio e creano molti e seri problemi alla popolazioni in loco insediate.

Una volta l’avvicendarsi naturale delle quattro stagioni scandiva il tempo biologico dell’uomo e come in una sorta di simbiosi o ancor più di osmosi ne comprendeva e ne influenzava la complessa figura umana, trasportando l’essere vivente verso un rinnovamento, a volte di solo carattere irrazionale e percettibile prevalentemente da elementi sensitivi, ma utile a ritrovare, a ricomporre e a riconoscere l’uomo come variabile imprescindibile dalle funzioni naturali. Ora l’uomo si sente escluso da questo sistema di equilibrio e di trasformazione che comprende la natura come fenomeno della vita e ancor più che sentirsene per certi versi protetto e tutelato nella sua straordinaria forza e vitalità, ha l’impressione che sia proprio essa a provare odio e repulsione nei suoi confronti. L’uomo, nella sua azione di distacco o di trasformazione volontaria o involontaria nei confronti delle funzioni naturali, sta perdendo un altro collegamento con il mondo della mutazione naturale e del rinnovamento. L’azione di mutazione posta in essere nei confronti degli esseri viventi è esercitata sempre dagli elementi naturali, anche se in minor proporzione rispetto al passato, in quanto il comportamento umano, nella sua interazione e nell’utilizzo smodato della tecnologia, ne ha reso meno ovvio, meno equilibrato, meno proporzionato e meno prevedibile il risultato finale, escludendo l’individuo dal comprendere una ragione superiore e “oltre†le proprie capacità e forze. L’intrusione forzata e a ritmi incalzanti attuati dall’uomo nei confronti degli elementi naturali, creerà forzatamente e di riflesso, una mutazione dell’identità umana, ponendo l’essere umano al di fuori di una trasformazione logica, portandolo a scavalcare e a inibire ogni passaggio di identità nei confronti del contesto esterno.

L’ennesimo motivo di ansia, per quello che sta accadendo, è ciò che si sta costruendo lentamente fra gli stati d’animo umani, aggiungendosi progressivamente ad una vasta scaletta di altre variabili che scatenano nell’uomo un senso di impotenza, di precarietà, di inutilità e di tensione per non saper controllare, contenere e modificare nulla fra quegli avvenimenti che agiscono direttamente sulla nostra vita; questo è ciò che ci travolge e che ci umilia ogni giorno per l’incapacità di trovarne le giuste soluzioni e alternative. E’ per effetto di una trasformazione che si contrappone il desiderio umano d’essere l’unica figura protagonista in questo scenario terreno, alla forza e all’imprevedibilità della natura. Temo che se i fenomeni atmosferici procederanno in questa direzione e si intensificheranno ancora nei prossimi anni a venire, per effetto del surriscaldamento del pianeta Terra, la conclusione ovvia che ci spetterà sarà quella di subire grandi danni provocati all’ambiente da parte di un clima impazzito dove chi ne pagherà il prezzo più alto saranno quelle persone chiamate a condividere col territorio lo stesso, inteso e prolungato stress.

Ma ritorniamo ora sui nostri sentieri.

Per sola curiosità vorrei dirvi ancora questo: la distanza da coprire fra l’andata e il ritorno di questo lungo viaggio da effettuare in giornata e naturalmente a piedi, perché la strada carrozzabile ancora non esisteva, in compagnia di un mulo o di un bue necessari a camallare fieno o legna e colmando un dislivello complessivo di 1000 metri, era di circa diciotto chilometri, da effettuare per metà in salita e col raggiungimento, nella parte finale, di una pendenza della strada pari al 18%. Partendo di prima mattina, ancora col buio pesto e procedendo per le mulattiere, i contadini giungevano in prossimità della vetta, a quota 1149 metri s.l.m, lì dove volgendo lo sguardo verso l’orizzonte nella fase dell’albeggio si può intravvedere l’intero Golfo Ligure, le coste della Toscana, l’isola D’Elba e non meno la parte nord della Corsica. Orientandosi poi ad occidente il golfo si amplia in direzione della Costa Azzurra. Guardando verso nord appaiono, come coni gelato rovesciati, una miriade di punte montuose che fanno parte della catena delle Alpi Marittime. E’ uno spettacolo sublime quello che appare ai nostri occhi e se la bellezza delle cose talvolta è in ciò che si aspetta con desiderio, in questo caso è in ciò che non ci si aspettava di vedere.

E’ un ambiente magico ciò che appare agli occhi dei visitatori, sia che essi siano assidui frequentatori di questi luoghi, perché intenti alla caccia del cinghiale, alla ricerca dei funghi, o anche solo per effettuare delle escursioni sul territorio, ma è ancor più interessante e bello per coloro che si improvvisano per le prima volta in questa esperienza.

Scusa Natalino se mi sono dilungato un po’ troppo con questo preambolo, ma mi pareva giusto e doveroso specificare, per chi segue i nostri lavori su questa rivista, quanto orgoglio, quanto legame di appartenenza e quanta ammirazione proviamo nel sentirci parte profonda, radicata e solidale nei confronti dei nostri predecessori, perché figli di un popolo antico, insediato con caparbia, forza e determinazione su questo impervio territorio da oltre 5000 anni… gente silenziosa, ma concreta nei fatti!

Come tu hai ben specificato nel commento che hai lasciato al mio lavoro, io non ambisco a cattedre ne a pulpiti di nessun genere dai quali lanciare encicliche o avvertimenti per nessuno, ed è già da molto tempo che ho rinunciato a questo tipo di scelta di vita o di soddisfazione personale e se talvolta i miei enunciati e le mie teorie appaiono altisonanti, lo sono per i contenuti che rappresentano e non per le mie pacifiche intenzioni di voler apparire realmente ciò che sono dentro.

Nella nostra esistenza non ci sono giudizi e insegnamenti sufficienti da imporre per nessuno; il mio unico interesse e conseguente tentativo è quello di ricercare fra le persone quali condizioni di comunicazione, sia pratica che teorica, siano ideali per riportare ogni essere umano sul terreno comune del confronto e dello scambio emotivo. E’ ciò che so fare con naturalezza, con istinto, con orientamento e il mio desiderio maggiore sarebbe quello di “aprire†in ogni individuo una via di ascolto che possa condurre ogni persona nel profondo dell’interiorità umana, per ritrovarne lì i valori più essenziali e necessari dell’esistenza.

Capisco comunque che quello dell’interiorità umana sia un campo e un argomento difficile da affrontare, data anche la difficoltà di rapportare nel reale situazioni di sole caratteristiche e di soli contenuti sensitivi. Tuttavia credo che ognuno di noi, nel suo piccolo, sia richiamato dal dovere e al dovere di mostrare agli altri individui di quali bellezze, ordini e spontaneità si adorna l’intera sfera del vissuto, così da contribuire attivamente alla formazione di individui consapevoli che possano costruire un mondo migliore, dove le diversità rappresentano l’opportunità di arricchire la nostra conoscenza e di ampliare i nostri valori di umanità.

Ogni essere umano e vivente in genere è portatore di una ricchezza personale che come un timbro di autenticità ne dà valore e significato compiuto al senso della vita, è così compito di ognuno di noi scoprire quale ricchezza sia l’espressione più elevata e più appropriata per creare delle forme di bellezza in almeno un campo dell’esistente, dove la riflessione, l’ascolto e l’attenzione sono elementi fondamentali per rapportarsi con la conoscenza e col frutto diretto dell’esperienza .

Fra le tante persone che lo hanno già detto e fra le molte che lo hanno anche dimostrato attivamente, prendendosi cura e impegnandosi direttamente per mantenere in vita le molte anime che popolano questo mondo, giungendo sino a riprodurne i sapori, le utilità, i suoni, i colori, le sfumature, le espressione, i silenzi, le voci, i vuoti, i misteri, le arti ed ogni altro genere di ricchezza razionale ed irrazionale che coinvolge l’essere umano, tutto converge però in sola parola: BELLEZZA.

Non so se sarà la Bellezza a salvare il mondo, così come citato da alcuni grandi personaggi dediti alla ricerca dell’arte in ogni sua eccelsa forma ed espressione, o se sarà forse la Paura ad allontanare l’uomo dall’arricchire e completare la dimensione vuota dell’oblio, gettandovi ed abbandonandovi ogni suo desiderio e riferimento col passato!

Tuttavia non credo che nessuna di queste due possibilità si possa concretizzare col mantenimento della sua unica prospettiva come soluzione ad un problema, in quanto penso che il bisogno che l’uomo ha di andare avanti nella ricerca di una prospettiva, sia più forte di ogni attaccamento nei confronti del vissuto e quindi anche del passato. Se da una parte l’uomo provvede a migliorare la qualità della vita, attraverso la conoscenza, lo studio, l’approfondimento e l’applicazione delle molte materie che entrano in gioco nella nostra sfera esistenza, dall’altro fronte ne crea però un vuoto, dovendo altresì abbandonare i vecchi riferimenti culturali e abitudinari per portarsi in una nuova dimensione e in un nuovo punto di visuale.

Un museo delle bellezze è solo ciò che sopravviverà all’oblio portato dalla conoscenza, ma solo dove il desiderio del sapere è senza confine.

Dove la conoscenza è tutto, non rimane nulla per lasciare spazio all’incoscienza.

L’incoscienza è ciò che fa parte della struttura irrazionale ed emotiva dell’uomo, è un luogo nascosto dove l’essere umano proietta se stesso per sentire, rivivere e provare quelle emozioni che solo la spontaneità e la naturalezza sanno e possono richiamare dalle sue profondità. E’ la voce dell’indefinito, ed è quello che egli si sente nascere da dentro, risvegliandolo da un lungo sonno e da un lungo silenzio perché privo di contrasti, quali elementi necessari e imprescindibili per motivarlo a difendere e a combattere per sostenere la propria libertà e la propria identità dall’appiattimento dei loro contenuti, spinto in una battaglia di ordine interiore.

Caro Natalino, sono partito per scrivere un semplice contro commento, per ciò che tu mi hai lasciato scritto sulla rivista di Bartolomeo, volendoti anche ringraziare per tanta stima e per tanta generosità manifestata nei miei confronti e sono finito poi, passo dopo passo, per mettere insieme un’altra pagina di riflessioni e di valutazioni. Tali approfondimenti, sia pur personali, sono utili ad accendere in ognuno di noi una fiammella, grande o piccola che sia, ma pur sempre viva, che accresca il desiderio di voler conoscere e di voler capire in che cosa consiste l’identità dell’Animo umano ed io così la definirei: identità razionale, in contrasto con la forma indefinibile della dimensione umana.

Sempre grato a te e a Pierangela per quanto impegno e sentimento mettete in ogni vostra azione, affettuosamente vi saluto.

Boeri di Dolcedo                      28/02/2014


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