LETTERATURA: “Legenda aurea”: San Paolo
17 Maggio 2022
(Estratto da Jacopo da Varazze: “Legenda aurea”. Curatori e traduttori dal latino Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone. Editore Giulio Einaudi)
La “Legenda aurea” è un’opera del XIII secolo, a cui hanno attinto molti artisti. Ancora oggi la si legge con molto interesse. Ci narra la vita di numerosi Santi, raccontando fatti che pertengono più alla leggenda che alla storia. (bdm)
Gli fu attribuito l’apostolato perché operasse fra i gentili; in Listra raddrizzò le membra a uno storpio; resuscitò un giovane che era caduto da una finestra ed era morto. Compì anche molti altri miracoli: nell’isola di Mitilene una vipera lo morse a una mano, ma egli la scosse nel fuoco e non ebbe nessun danno; si racconta anche che tutti i discendenti dell’uomo che in quel luogo dette ospitalità a Paolo non risentono degli effetti del morso dei serpenti velenosi, tanto che i padri pongono dei serpenti nelle culle dei bambini per aver la prova che si tratti proprio di figli loro.
Alcune volte si trova che Paolo fu inferiore a Pietro, altre volte che fu maggiore di lui, altre volte che fu pari a lui: in verità fu inferiore nella dignità, superiore nella predicazione e pari nella santità. Racconta Aimone che Paolo si dedicava a lavori manuali dal canto del gallo sino all’ora quinta per dedicarsi poi pienamente alla predicazione, parlando senza sosta per lo più fino alla notte: il tempo che avanzava gli bastava per mangiare, dormire e pregare. Remigio invece dice cosi: «Come leggiamo nei testi dei Padri, l’apostolo lavorava dall’ora prima fino all’ora quinta; dalla quinta fino alla decima predicava; dopo la decima badava all’ospitalità per i poveri e i forestieri e alle necessità del suo corpo; la notte pregava ». Era appena giunto a Roma, e Nerone non era ancora stato confermato imperatore, ma aveva sentito dire che era nata una disputa tra Paolo e i Giudei a proposito della Legge degli Ebrei e la Fede dei Cristiani; non dette tuttavia gran peso alla questione e lasciò Paolo libero di muoversi e predicare. Gerolamo invece nel De viris illustribus dice che venticinque anni dopo la passione di Cristo, vale a dire nel secondo anno di Nerone, Paolo fu mandato a Roma in catene, e per due anni poté disputare con i Giudei, libero, ma sotto custodia; poi fu lasciato libero e andò a predicare il Vangelo verso Occidente; nel quattordicesimo anno di Nerone fu decapitato, nello stesso anno e giorno in cui Pietro fu crocifisso. Questo dice Gerolamo.
La sua sapienza e la sua pietà erano ormai note ovunque ed erano tenute in grande stima da tutti; si era ormai guadagnato l’amicizia di molti della cerchia dell’imperatore, convertendoli alla fede di Cristo, e anzi alcuni dei suoi scritti furono letti in presenza di Nerone, e furono accolti molto favorevolmente da tutti; il senato stesso aveva una notevole considerazione per lui. Una sera Paolo predicava su di un terrazzo, e un giovane di nome Patroclo, coppiere di Nerone, a lui molto caro, per poterlo sentir meglio, con la gran folla che c’era, sali su di una finestra; in un momento, sonnecchiando, cadde dalla finestra e mori. Nerone provò un grandissimo dolore per la sua morte, e subito nominò un altro in sostituzione di Patroclo nella funzione di coppiere. Paolo, saputo questo in spirito, disse ai presenti di portargli il corpo di Patroclo, carissimo all’imperatore; non appena gli fu portato lo resuscitò e lo mandò all’imperatore con i suoi compagni. Nerone ancora piangeva per la sua morte, ed ecco che gli si annuncia che Patroclo è vivo e sta alla porta. Nerone, che poco prima aveva saputo che Patroclo era morto, provò una gran paura, e non voleva che Patroclo entrasse. Allora gli amici insistettero e lo convinsero a farlo entrare, e lui acconsenti. Nerone disse:
– Patroclo, sei vivo?
– Sono vivo, Cesare.
– E chi ti ha fatto vivere?
– Gesù Cristo, re di tutti i secoli.
Allora Nerone si scaldò e gli chiese:
– Dunque quello regnerà per tutti i secoli e scioglierà i regni?
– Certo, Cesare.
Nerone lo schiaffeggiò e disse:
– Dunque tu servi quel re?
– Certo che lo servo: mi ha resuscitato dal mondo dei morti.
Allora tutti e cinque i cortigiani dell’imperatore, addetti in permanenza al suo servizio, gli dissero:
– Perché, imperatore, picchi un giovane cosi prudente, che non ha fatto altro che risponderti la verità?
Nerone allora li fece rinchiudere tutti in prigione, per farli soffrire con la stessa dismisura con cui li aveva sino ad allora amati. Fece allora cercare tutti i cristiani, e li fece tutti punire con diverse torture, senza neppure contestare loro una qualche accusa. Allora Paolo fu condotto in catene al cospetto di Nerone, che gli disse:
– Uomo, tu che servi il Grande Re, eccoti incatenato davanti a me. Perché non mi porti via i miei soldati e non te li prendi per te?
– Non solo, – rispose Paolo, – ho raccolto soldati dal tuo cantuccio, ma dal mondo intero: a essi il nostro re darà doni che non verranno mai a mancare, e che vinceranno ogni povertà. Se vorrai sottometterti a lui sarai salvo: la sua potenza è tale che verrà a giudicare tutti, e cancellerà nel fuoco anche le sembianze di questo mondo.
Sentite queste parole Nerone si infuriò e, proprio perché Paolo aveva parlato della dissoluzione del mondo nel fuoco, ordinò di bruciare nel fuoco tutti i soldati di Cristo; a Paolo invece, reo di lesa maestà, si doveva tagliare la testa. Il massacro dei cristiani fu così imponente che il popolo di Roma irruppe con la forza nel palazzo, proclamando apertamente che si sarebbe sollevato contro l’imperatore:
– Basta, Cesare, fai cessare le tue disposizioni: sono nostri cittadini quelli che mandi a morte; essi stessi costituiscono la difesa dell’impero romano.
L’imperatore allora ebbe paura e cambiò l’editto, imponendo che nessuno toccasse i cristiani, fino a quando l’imperatore in persona non avesse con più calma deciso cosa fare di loro. Cosi Paolo fu portato una seconda volta dinanzi a Nerone, che appena lo vide si mise a gridare:
– Portate via questo mago, tagliate la testa a questo ciurmatore! Non lasciate in vita questo falso accusatore, uccidete chi travia la gente, cancellate dalla superficie della terra questo perturbatore delle menti!
Paolo rispose:
– Nerone, io soffrirò per un poco, ma vivrò in eterno in Gesù Cristo.
Nerone allora disse:
– Toglietegli la testa, cosi capirà che io sono più forte del suo re, se l’ho vinto. Vedremo poi se davvero vivrà in eterno.
– Per sapere che vivo in eterno anche dopo la morte del corpo, ti apparirò vivo, e allora potrai vedere che Cristo è Dio della vita, e non Dio della morte.
Appena ebbero finito di dire queste cose, Paolo fu condotto al luogo del supplizio. I tre soldati che lo stavano portando là gli chiesero:
– Paolo, spiegaci chi è quel vostro re che tanto amate, e che per lui preferite morire piuttosto che vivere. Che ricompensa ne avrete?
Paolo allora predicò loro del regno di Dio e delle pene dell’Inferno con tanta forza che li converti alla fede. Ma quando essi lo pregarono di volersene andare libero dove meglio gli pareva, Paolo rispose:
– No, fratelli, certo non fuggirò: non sono un disertore, ma un vero soldato di Cristo: so bene che attraverso questa vita transitoria me ne andrò alla vita eterna. E subito, quando sarò decollato, alcuni devoti porteranno via in segreto il mio corpo. Voi osservate bene il luogo, e domani andate là: troverete vicino al mio sepolcro due uomini in preghiera, Tito e Luca. Direte a essi per quale ragione io vi ho mandati, e subito vi battezzeranno, e vi faranno partecipi e coeredi del regno dei cieli.
Mentre stavano parlando, Nerone mandò due soldati a verificare se Paolo era già stato ucciso; Paolo voleva convertirli, ma essi dissero:
– Quando sarai morto e risorgerai, allora crederemo a quello che dici: per ora vieni alla svelta e tienti ciò che ti meriti.
Mentre lo stavano portando al luogo della passione, si fece incontro, nei pressi della Porta Ostiense, una matrona di nome Plau- tilla, discepola di Paolo; secondo Dionigi essa aveva nome Lemo- bia (può darsi che avesse due nomi). Piangendo si rimise alle sue preghiere. Paolo allora le disse:
– Vai, Plautilla, figlia della salvezza eterna. Imprestami il velo con cui ti copri il capo; me ne benderò gli occhi e poi te lo restituirò.
Mentre glielo stava porgendo, gli aguzzini la schernivano dicendole:
– Perché dai a questo impostore, a questo mago, un panno così prezioso che perderai per sempre?
Quando giunse al luogo del martirio Paolo si volse verso Oriente, tese le mani verso il cielo e pregò a lungo nella sua lingua materna e rese grazie. Poi disse addio ai confratelli, si bendò gli occhi col velo di Plautilla, piegò le ginocchia a terra, stese il collo, e così fu decapitato: il capo, proprio mentre si spiccava dal collo, gridò chiaramente, in ebraico, «Gesù Cristo! » il nome che durante la sua vita tanto dolcemente e tanto spesso aveva proferito. Si dice che nelle sue lettere il nome di Gesù, o di Cristo, o tutti e due i nomi assieme, ricorrono cinquecento volte. Dal taglio sgorgò un fiotto di latte che giunse fino alle vesti d’un soldato; poi fluì il sangue. Nell’aria brillò una luce intensissima e dal suo corpo emanò un odore soavissimo.
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