LETTERATURA: “Legenda aurea”: San Vincenzo
1 Dicembre 2021
(Estratto da Jacopo da Varazze: “Legenda aurea”. Curatori e traduttori dal latino Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone. Editore Giulio Einaudi)
La “Legenda aurea” è un’opera del XIII secolo, a cui hanno attinto molti artisti. Ancora oggi la si legge con molto interesse. Ci narra la vita di numerosi Santi, raccontando fatti che pertengono più alla leggenda che alla storia. (bdm)
Vincenzo era nobile d’origine, ma ancor più nobile per fede e pietà. Fu diacono del vescovo Valerio, che, dal momento che Vincenzo si esprimeva con più facilità di lui, gli affidò l’incarico della predicazione, riservando per sé la preghiera e la contemplazione.
Per ordine del governatore Daziano furono portati a Valenza e rinchiusi in una orrenda prigione. Quando ritenne che fossero quasi morti di fame se li fece portare innanzi e, vedendoli in perfetta salute e gioiosi, furibondo si mise a urlare:
– Che cos’hai da dire tu, Valerio, che con pretesti di religione agisci contro i decreti dei principi?
Vedendo che Valerio gli rispondeva con troppa mitezza, Vincenzo gli disse:
– Venerabile padre, non sussurrare così timidamente, ma spiega la voce; anzi, se lo permetti, padre santo, affronterò io il giudice e gli risponderò.
– Già da tempo, figlio carissimo, – gli rispose il vescovo, – ho affidato a te il ministero della parola, e ora di nuovo, per la fede che ci ha portati qua, ti affido il compito di rispondere.
Allora Vincenzo, rivolto a Daziano, disse:
– Fino a questo punto la tua parola ha negato la fede; ma ricordati che secondo la sapienza di noi cristiani è un terribile delitto bestemmiare negando la venerazione dovuta a Dio.
Daziano allora, infuriato, fece mandare in esilio il vescovo, e In e mettere Vincenzo, giovane sfrontato e presuntuoso, su un cavalletto per strappargli le membra, perché l’esempio della sua peli ii terrorizzasse tutti gli altri. Quando il suo corpo fu tutto stravinto, Daziano disse:
– Di’, Vincenzo, guarda come si è ridotto il tuo corpo!
E quello che ho sempre desiderato, – rispose Vincenzo.
Furibondo, il governatore incominciò a minacciarlo di ogni genere di tormenti se non avesse acconsentito alle sue richieste. Ma Vincenzo:
Sono felice, perché quanto più tu pensi di tormentarmi, tanto più assecondi i miei desideri! Su, allora, miserabile, scatena la tua ferocia: vedrai che io, torturato, sarò più forte di te che mi torturi!
A queste parole il governatore si mise a gridare e a frustare e bastonare i carnefici, tanto che Vincenzo gli chiese:
– Cosa succede, Daziano? Tu stesso mi vendichi dei miei aguzzini?
Ormai fuori di sé, il governatore disse ai carnefici:
– Disgraziati, perché non fate nulla? Cos’è questa fiacca? Avete saputo piegare adulteri e parricidi che non hanno resistito alle Vostre torture e hanno confessato tutto, e ora Vincenzo, da solo, lui saputo sconfiggere i vostri supplizi.
Allora i carnefici presero dei pettini di ferro e li piantarono profondamente nel costato di Vincenzo: da tutto il corpo gli usciva il sangue a fiotti e fra le costole divaricate si vedevano i visceri Di nuovo Daziano insisté:
– Abbi pietà di te, Vincenzo, non perdere la tua bella giovinezza e risparmiati supplizi ancor peggiori.
Ma il giovane gli rispose:
– Velenosa lingua di diavolo, non temo i tuoi tormenti. Temo limi cosa soltanto: che tu finga di voler avere pietà di me. Quanto pili ti vedo infuriato infatti, tanto più esulto. Non voglio che tu diminuisca neppure un poco questi tormenti, perché sia tu stesso a proclamarti vinto del tutto.
Deposto allora dal cavalletto fu portato al supplizio del fuoco, mentre con foga incitava i carnefici ad affrettare il supplizio. Salì pili spontaneamente sulla graticola ove fu arrostito, bruciato e consumato: tutto il suo corpo fu trafitto da ogni parte con uncini di lei ro e lame ardenti. La fiamma si bagnò di sangue, le piaghe s’aggiunsero alle piaghe: fu sparso del sale sul fuoco perché aderisse alle ferite e la fiamma lo bruciasse più crudelmente. Ormai non nelle sue membra, ma nei suoi visceri penetravano i ferri, e già gli intestini gli scivolavano via dal corpo: ma rimaneva immobile e con gli occhi rivolti verso il cielo pregava il Signore.
Quando gli fu riferito quanto stava accadendo, Daziano esclamò:
– Siamo stati vinti, ma perché resti il più possibile in vita e continui a soffrire, rinchiudetelo in una prigione buia, piena di cocci taglienti, inchiodategli i piedi a un pezzo di legno e lasciatelo steso, da solo, senza nessuno che lo consoli, e quando sarà morto avvisatemi.
Gli aguzzini furono lesti a obbedire a un padrone ancor più spietato di loro. Ma ecco che il Re per cui il soldato ha sofferto muta la pena in gloria: l’oscurità della prigione è spazzata via da una immensa luce, i cocci taglienti si trasformano in fiori delicati, i ceppi svaniscono ed egli gode della consolazione degli angeli: quel dolce suono e il penetrante profumo dei fiori si diffondono lontano. I guardiani spiano atterriti dalle fenditure della. prigione e, vedendo ciò che accade dentro, si convertono immediatamente alla fede. Quando gli fu riferito tutto questo Daziano uscì fuori di senno:
– Cosa possiamo fargli ancora? Siamo stati vinti. Mettetelo su di un letto e copritelo con coperte finissime, di modo che non riesca, morendoci fra le mani, a trionfare su di noi. Poi, quando si sarà ripreso, torturiamolo di nuovo.
Fu dunque deposto su di un giaciglio morbidissimo; stette lì un po’ di tempo, poi morì. Questo accadeva verso il 277, ai tempi di Diocleziano e Massimiano.
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