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LETTERATURA: LEGGENDE: Scrivere nel mito

23 Maggio 2013

di Nicola Dal Falco

Scrivere di qualcosa o scrivere dentro qualcosa? Scrivere dei miti ladini o scrivere nel mito?
Quando mi è stato proposto di raccontare, nuovamente e diversamente, la storia della caduta del regno di Fanes, il primo pensiero è stato quello di non cadere nella trappola del fantastico, cercando, invece, di seguire la via maestra delle immagini.

C’è, infatti, una grande differenza tra la fantasia e l’immaginazione. Avere delle fantasie, far correre la fantasia, fantasticare o sognare ad occhi aperti significa proiettare in un mondo contiguo, ipotetico e desiderato, i propri ideali, le proprie attese, i propri ricordi.

Immaginare, al contrario, è il modo con cui la cultura agisce a livello più profondo. Attraverso le immagini possiamo ricollegarci al passato, scrutando la strada fatta dai nostri predecessori.
Sulle immagini, molto più che sulle parole, poggia la coscienza di essere qui ed ora, di appartenere al mondo.
Chi, allora, se non Ey de Net, Occhio di Notte, può condurci al di là delle apparenze, giocando fino in fondo la partita della vita sotto lo sguardo ora luminoso ora sfuggente della luna?

Come dice l’ontano, nel capitolo intitolato In viaggio: «La magia non cambia il tempo, può solo raccontarlo. Chi la usa altrimenti, chi pensa sia un mezzo e non capisce che fa parte del canto delle cose, la volge contro se stesso. Il tuo cuore è ferito? Sanguina come questa corteccia? Nulla è caso. Usa la notte per vedere ».

Ecco, possiamo dire che sia proprio il canto delle cose a dipanare il filo del mito.
La vita chiama la vita anche se la morte corteggia ogni istante. Il mito serve a fare i conti con la parte oscura, a percepire diversamente il tempo frammentato dell’esistenza anche se il mito non offre scuse.
Il tempo promesso ha un termine e nulla potrà opporsi alla caduta del regno, alla chiusura del ciclo.
L’unica libertà consentita, nel tempo prima del tempo che fa da sfondo a i miti ladini delle Dolomiti, è quella di riconoscere i segni con cui la Grande Dea stabilisce i giri di ruota.

Da questo punto di vista, è la devozione a ricoprire il ruolo di sentimento cardine dell’umanità.
Solo chi pensa di farne a meno, chi crede scioccamente alla propria esclusiva volontà è destinato a perire ignominiosamente. Questa sarà, infatti, la sorte del falso re. Non falso, perché bugiardo, ma falso perché in disaccordo con il fato.


Miti ladini delle Dolomiti – Le Signore del tempo
di Nicola Dal Falco
con le glosse
e il saggio Nei labirinti del tempo
di Ulrike Kindl

Istitut Ladin Micurà de Rü
www.micura.it

Palombi Editori
www.palombieditori.it

Roma 2013
pagine 272
15 euro

Uscita prevista agosto 2013

Prosegue la rilettura e riscrittura dei Miti ladini delle Dolomiti, iniziata con Ey de Net e Dolasí­la e condotta su un doppio binario, letterario e saggistico, da parte di Nicola Dal Falco e di Ulrike Kindl, docente di germanistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Dopo la storia della caduta del regno di Fanes, preceduta dal racconto di Lidsanél, che ne rappresenta la più recente variazione sul tema e il vero antefatto mitico, costituito dalla vicenda di Moltina, il libro si era fermato a narrare dei Tre figli del Sole.

Ora, con il secondo volume, si riprende il filo della narrazione da ventuno storie, divise in tre sezioni di sette racconti, dedicate alle Signore del tempo. Signore che l’immaginazione carica di gesti e di prerogative diverse: le Regine, le Spose, le Parche a seconda del momento e dell’esito dell’incontro.

Il nuovo libro, Miti ladini delle Dolomiti – Le Signore del tempo, sempre edito da Palombi Editori in collaborazione con l’Istitut Ladin Micurà de Rü, continua ad alternare il testo letterario di Dal Falco con le glosse e il saggio Nei labirinti del tempo della Kindl, descrivendo il rapporto tra fato e destino, identificabile nel modello della triplice dea, su cui si regola l’alternarsi della luce e dell’ombra, l’ascesa e la caduta e, in definitiva, il cammino dell’anima attraverso la cosiddetta «gran passione » che la conduce a passare e ripassare il confine delle sette montagne di vetro, a scendere sulla terra e a tornare, poi, alla luce che l’ha generata.


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