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LETTERATURA: Maria Antonietta Pinna: “Lo Strazio”, poesia Noir

29 Maggio 2013

intervista di Roby Guerra
(da qui)

D-  Lo Strazio, poesia sperimentale e pulsionale, esatto?

Sì, pulsionale che cerca di scavare nuovi ritmi nati dall’estro creativo legato sicuramente a situazioni contingenti e nello stesso tempo in trascendimento delle stesse. Superamento del comune stereotipo che vede nella poesia soltanto sentimenti delicati o inni al sole nascente, all’amore, alla bellezza del cosmo, delle donne, alla dolcezza dei bambini. Si tratta piuttosto, come recita lo stesso titolo, di graffi a incisione del destino, nell’amara quanto reale constatazione della presenza lacerante del nulla che avviluppa l’uomo fin dalla nascita. Ritmi che non hanno rispetto per il comune buon senso, creati non per rilassare o distendere il lettore ma per farlo pensare. Immagini come lampi con cui ho voluto sporcare la pagina bianca in un momento storico in cui il mio percorso individuale non mi dava pennellate di grande felicità personale e sociale. Forse sono anche poesie tristi, ma di una tristezza ironica, tagliente, conforme al mio carattere leggermente camaleontico. “Lo strazio” svela l’illusione della felicità che ho sempre pensato come un’enorme stanza nera coperta di impalpabile polvere bianca con disegni fantastici. Peccato che non appena mettiamo il piede nella stanza la polvere si dissolva nell’impronta nera del corpo stesso. Ecco le mani e la polvere si dissolve lasciando segni neri di dita e poi segni neri di capelli e di corpi, fino alla constatazione della non esistenza di quell’illusione che pensavamo reale. Questo è il senso delle poesie noir. Arrivare al nero, a quello che c’è sotto l’apparenza.
Una passeggiata sulla lama dell’assurdo per raccontare il vero. Se ci sono riuscita bene, non spetta a me dirlo.

D- La poesia sperimentale  oggi, in Italia e-o all’estero?
Questa è una domanda difficile, perché i giudizi su un’opera poetica sono sempre molto soggettivi. Mi piace la poesia audace. Tra i collaboratori del blog  Destrutturalismo e altro  ci sono poeti che hanno buoni ritmi. Ogni tanto mi imbatto in libri pubblicati da piccoli editori che propongono validi poeti spesso semisconosciuti sia italiani che stranieri. In Italia la poesia vende poco. Forse perché è monopolizzata dagli stessi autori che pubblicano con i soliti conosciuti editori. Questi spesso osteggiano la sperimentalità e la poesia che si discosta da certi cliché sentimentali e di matrice buonista. L’idea comune è che il poeta sia pervaso di primigenia bontà e di un amore universale talmente grande da abbracciare l’infinito. Si dimentica che siamo un impasto di ombra e di luce, spesso fluttiamo nel grigio che certi autori cercano di nascondere con parole di infantile stupore e di finta bontà. Penso invece che occorra scendere dalle nuvole e graffiare la terra per mostrarne i vermi che la rodono. Compito della poesia contemporanea non è quello di applicare cerotti di temporaneo sollievo sulle ferite della società e dell’anima, ma quello di far vedere la crudezza del sangue, il dolore dell’uomo trascendendo il proprio. Sfatiamo dunque l’opinione che il poeta non possa essere cinico, presuntuoso, arrogante, a tratti perverso, ironico, graffiante, subdolo e incasinato. La nuova poesia ha il compito di mettere a nudo anche sofferenza e bruttezza, il nero contrapposto al bianco, i fantasmi che si agitano dentro l’armadio con rumore di tibie, la morte, la paura del nulla, l’angoscia esistenziale dell’uomo contemporaneo, la sua alienazione di fronte ad un mondo ostile ed ingiusto in cui la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi. Il poeta può essere un fallito, un idiota, spesso lo è, è un tizio a cui il mondo non va mica tanto bene così com’è, uno che vede un fiore rosso sui binari di una ferrovia, che vede una formica infilarsi dentro un buco del marciapiede e trova la questione interessante, mentre gli altri sono indaffarati a correre, per arrivare in tempo ad appuntamenti importanti. La poesia è estemporaneità, si vive, non si impara, si sente e non si può dominare sia essa buona o cattiva, trita il tempo. Il poeta arriva spesso in ritardo perché lo scorrere di particolari apparentemente insignificanti lo distrae. Se non è affermato è spesso deriso e ha pudore di dire “scrivo poesie”, due parole che  oggi  susciterebbero ilarità nel mondo reale. Il poeta sia esso pessimo o buono, sia esso maschio o femmina, nasconde perfino a se stesso l’idea di essere etichettato come poeta. Non dico mai a nessuno che scrivo versi, perché la risata sarebbe la prima ed istintiva reazione di chiunque. Mi immagino la scena al supermercato se dovessero chiedermi che faccio e rispondessi, “scrivo poesie”. Verrebbe da ridere anche a me nel dirlo. Dico solo che vendo libri, senza specificare che in realtà li compro, li vendo e li scelgo per conto di altri e di fatto lo Stato italiano, con tanto di laurea e specializzazione, mi lascia nella comune condizione di “senza futuro”. Così il poeta è soltanto uno che scrive, la sera, dopo che ha fatto un lavoro ordinario che farà arricchire altri e non lui. È un sognatore, un insonne, un insoddisfatto, uno che spesso rimane “fregato” dalla vita e dalla fiducia mal riposta, un acchiappa nuvole, spesso osteggiato nell’ambito familiare perché la poesia non paga in termini economici. Il poeta è solo, fa un lavoro che richiede solitaria concentrazione, scrive cose che sente senza sapere perché ma fa ciò che crede, ciò che pensa di saper fare. Il poeta non è sempre saggio, anzi, non lo è affatto, la sua scrittura può essere iraconda e ironicamente amara. Scrive perché non sa quasi niente, cerca di capire qualcosa ma spesso non ci riesce. In buona sostanza è uno che non ha capito granché. La poesia infatti non ha lo scopo di illuminare ma di spingere nel baratro oscuro e intrigante del dubbio. “Lo strazio” è un lavoro nato dal caso e pubblicato per caso. Spero che, sempre per caso, a qualcuno venga in mente di sfogliarlo e acquistarlo. Sarà esposto alla Fiera di Torino nello stand di Marco Saya Editore, accanto a libri di autori sicuramente più “troneggianti” di me.

D- Legami o influenze con certa neoavanguardia, tipo il Gruppo 63 e aree affini?
Il gruppo 63 era marxista e strutturalista, critico nei confronti di certa tradizione, però io non amo le etichette. Lo stesso blog collettivo che ho organizzato è destrutturalista. Il destrutturalismo è anti-etichetta, non è definente se non per l’aperta e talvolta politicamente scorretta ribellione contro certe strutture che impediscono la libera circolazione delle idee letterarie, contro meccanismi editoriali che spesso fanno emergere sempre gli stessi autori. Le avanguardie hanno il buon gusto della contestazione in periodi storici di sottomissione ai dogmi. Questa è una cosa buona. La desacralizzazione ed il superamento di ciò che è imposto dalla tradizione. Il coraggio di superare le mode, una guerra ideologica che serve a creare il nuovo.

D- E con la poetica surrealista storica?

Ho recentemente finito una raccolta “Ultrafanica” sull’oltrerealtà, ancora inedita e in cerca di editore. Mi piace la deformazione del surrealismo, la sua capacità di andare oltre attraverso l’uso di immagini simbolo. Sono altresì attratta dal mistero, mi diverto a manipolare il concetto di nulla che ritengo molto stimolante dal punto di vista creativo e personale, un concetto creato dall’uomo eppure molto sottovalutato al giorno d’oggi, talmente trascurato da essere riempito con l’illusione di Dio, sostitutiva dell’horror vacui. “Ultrafanica” è un’indagine sul nulla che mantiene lo stesso significato pur contraddicendosi, “sei nulla”, “non sei nulla”, affermazione e negazione che significano la stessa cosa. “Lo strazio” viaggia sulla terra scoprendo perversioni, vizi, interessi. “Ultrafanica” veleggia in un mondo di fantasmi e fenomeni paranormali che paradossalmente sono legati ad una dimensione terrena di paure consapevoli ed inconsce. Mi piacciono gli universi fluttuanti, l’idea che siamo solo frammenti dentro un frammento di un sistema solare che rimanda ad altri mondi, altre situazioni. Dubbio, relatività e assurdo per raccontare e a volte denunciare un problema, un moto dell’animo, un’angoscia, una paura. Questo per me è surrealismo o oltrereale.

 


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart