LETTERATURA: LIBRI IN USCITA: Renzo Saffi: “Bambole perdute”, Flaccovio, 2008
3 Novembre 2008
Incipit
Per Mirella
Â
L’amore è una grave malattia mentale.
Platone
1
Era mattina presto. Uscì dallo spogliatoio. Le sue scarpe anti-infortunistiche percorsero la distanza che lo separava dal reparto.
Turno nel seminterrato, direttamente in pancia allo stabilimento: mostro siderurgico, ettari di acciaio, inferriate e capannoni che si è soliti vedere sbuffare contro il cielo dall’autostrada vicino all’uscita di Dalmine.
Entrò nel gabbiotto della macchina del caffè. Salutò con la bocca amara nascosta dal bicchiere alcuni colleghi che avevano appena staccato il turno di notte, poi gettò bicchiere e paletta e si diresse alla catena di montaggio, verso il suo metro quadro, insieme a tanti altri che facevano la stessa identica cosa.
Certo, lì dentro non c’era da sentirsi soli.
Sette e trenta: indossò il casco di protezione. Attraverso la visiera, il mondo divenne subito violaceo. La fiamma ossidrica rispose con un bagliore azzurrognolo.
E cominciò come ogni mattina il suo lavoro, saldando di buona lena anelli di metallo intorno alle ghiere dei piccoli tubi che procedevano interminabili sul nastro trasportatore.
Prossima pausa concessa: dieci e trenta. Ancora un oceano di tempo.
Un gesto dopo l’altro, ognuno dei quali non differiva molto da quello seguente, se non per l’inclinazione da dare alla fiamma nel taglio. Gesti ormai appresi, sperimentati, consolidati. Non serviva neppure prestare attenzione. Se fosse rimasto cieco, il suo corpo avrebbe continuato a muoversi e lavorare nello stesso indistinguibile modo.
 E mentre le sue mani continuavano esperte il lavoro, ben presto si trovava nello stato in cui trascorreva gran parte della sua giornata, nel quale i pensieri correvano confusi e svagati agli elettrodomestici che gli sarebbero stati più utili, ai dubbi sulla pensione integrativa che aveva stipulato, al giorno del suo matrimonio, all’apparecchio per i denti di suo figlio, all’odore di legno dei comodini della camera da letto, al sapore degli Oro Saiwa mangiati al risveglio. Ogni benedetto giorno in quella terra di nessuno, dove la nebbia era diradata solo da qualche bestemmia, da qualche fischio, da qualche battuta che, da fuori, arrivava ovattata fin dentro il casco.
D’altronde questo era il suo lavoro, e questo il suo destino.
E non c’era neppure da lamentarsi, c’era anche di peggio. Ad esempio non invidiava per nulla i magazzinieri: bancali e bancali di tubi di acciaio e spranghe da catalogare, ordinare, accatastare, imballare e sistemare.
E non poteva nemmeno lagnarsi della paga, che dopo dieci anni di servizio era di gran lunga superiore a quella degli ultimi arrivati: ragazzini costretti a ingoiare per molto meno, uno dietro l’altro, i giorni che sarebbero venuti…
Si sentì toccare il braccio. Si levò il casco e il mondo riprese i suoi colori come quando ci si desta da un sogno.
Davanti a lui una donna teneva in mano un piccolo tubo e un foglio di carta.
“Da parte di quelli del controllo qualità . Ambasciator non porta pena”, disse fissandolo con i suoi occhi neri. “Ciao, bello”. Si girò sui tacchi e se ne andò nel suo tailleur nero verso l’altro reparto.
Lui guardò il foglio, era una circolare firmata dalla direzione. Â
Si comunica che i pezzi devono rispettare i canoni imposti dalla produzione. La saldatura, come di consueto, dovrà essere eseguita rispettando la filettatura e le altre caratteristiche che, se alterate, porteranno all’inutilizzo dei pezzi stessi e alla conseguente vanificazione del processo produttivo. Se non saranno rispettati gli standard indicati e la percentuale dei pezzi scartati risulterà superiore al 0,04 per cento, il premio di produzione mensile sarà sospeso fino al raggiungimento dello standard indicato.
Distinti saluti. Â
Rigirò il tubo fra le dita, ma non trovò nessun difetto, eccetto nella filettatura all’estremità del tubo, interrotta diagonalmente da uno spacco.
Bloccò per un momento il nastro trasportatore, passò la circolare e il tubo a un collega e ritornò al lavoro.
In breve la circolare e il tubo fecero il giro del reparto. Alle 10.30 gli animi erano surriscaldati dalla notizia e non meno dalla donna che l’aveva portata. Le pareti del gabbiotto del caffè sembravano vibrare sotto i colpi gutturali dell’inflessione bergamasca.
“Bravììì… Bravììì… Bella novità à … Se ne potevano inventare di migliori almeno…”.
“Ma ti sembra possibile che sia colpa nostra?”.
“Ovvio, se qualcosa non va, è colpa nostra, mai di quelli che ci portano i pezzi che sono già da buttare”.
Guardava i colleghi mangiando una brioche presa al distributore, sedando il languore di metà mattina.
“Facile è, è facile stare di sopra seduti al caldo e noi giù, qua, a romperci il culo… Poi ci mandano la troia con le circolari…”, rincarò Pietroboni.
“Cosa c’entra lei, quella è una segretaria”, replicò Averoldi cercando di stemperare l’irruenza del collega.
“E allora che vengano giù loro, quelli del controllo qualità , a raccontarci le belle novelle… Ma non hanno mica i coglioni”.
“Sì, hanno paura di farsi vedere. Mandano giù le fighe credendo che noi, qui, ragioniamo con l’uccello… Lì al controllo qualità sono tutti culo e camicia con la direzione, maledetti froci…”, disse Balzani sputando nel cestino.
Gallo, che da poco aveva stipulato un mutuo, non mancò di fare risaltare il vivo del problema:
“Zero virgola zero quattro per cento. Ah! Sono proprio larghi di maniche, così larghi che se uno sbaglia lo zero virgola zero quattro per cento gli tolgono cento euro al mese di premio produzione. Non capisco, non è che ti tolgono l’equivalente, allora uno può anche dire: sto attento a non sbagliare e quello che sbaglio pago. Io la casa la devo pagare tutti i mesi lo stesso, non è che a quelli della banca posso raccontare: sai, hanno ridotto il premio produzione allo zero virgola zero quattro per cento…”.
“L’anno scorso era dello zero virgola zero otto per cento”, disse Pietroboni. “Ogni anno è più basso, so bene anch’io come si fanno i soldi… Ah, che bravi”.
“E poi non credo che sia colpa nostra”, aggiunse Averoldi. “L’avete visto bene lo spacco sul tubo? È possibile che sia stato anche un errore del reparto zincature. Oliviero, tu hai lavorato lì tempo fa. Che ne pensi?”.
Per un attimo scese il silenzio. I colleghi lo guardarono. Vista la sua anzianità non poteva evitare di dare una risposta, anche se sapeva a cosa avrebbe portato.
“Lo spacco mi sembra troppo netto per una fiamma ossidrica, pare più uno di quei difetti che si formano quando si bloccano i macchinari. So che al reparto zincature hanno comprato da poco delle apparecchiature nuove dal Giappone, è possibile che siano stati quelle”.
     Gallo ovviamente esplose:
“E allora, se giù al reparto zincature sbagliano, dobbiamo pagare noi coi nostri soldi, no?”.
L’intervento diede il via a imprecazioni, bestemmie e ingiurie di ogni genere.
Oliviero lasciò il gabbiotto del caffè e tornò a lavorare mentre i colleghi gesticolavano ancora animatamente.
Ancora qualche ora, solo qualche ora e sarebbe arrivata la pausa pranzo. Di solito il tempo, da quel punto della mattina, trascorreva più velocemente.
Ma all’ora di pranzo gli animi non sembravano affatto essersi calmati. Al tavolo erano presenti gli operai, Tina dell’ufficio contabilità e Ivana, la segretaria che aveva portato la circolare:
“No, è stata una novità anche per me, quelli del controllo qualità non avevano accennato a niente del genere prima, anche perché i tabulati sono usciti ieri. Escono tutte le settimane lo stesso giorno”.
Un altro operaio intervenne. “Ma è possibile che abbiano ridotto la tolleranza per gli errori registrati durante una sola settimana?”.
“Non credo”, rispose Ivana tamburellando con le dita sulla tovaglia incerata a quadri. “Probabilmente erano più settimane che accadeva”.
Oliviero mangiava. La segretaria era in una posizione difficile. Ovviamente non poteva dire tutto quello che sapeva, ma nonostante questo se la cavava egregiamente. Le parole uscivano sincere da quelle splendide labbra, tanto che gli operai finivano per crederci, diventando quasi dolci con lei.
“Ci vogliono i tabulati!”, esordì Balzani battendo un pugno sul tavolo che fece vibrare le posate. “Nero su bianco. Allora si può parlare, solo allora. Già , nero su bianco”, ripeté fermo. “So io perché siamo stati incolpati noi invece di quelli del reparto zincature…”.
La collega della segretaria si fece attenta: “Perché?”, chiese inclinando il capo.
“Perché al reparto zincature lavora Saleri”, disse Balzani con un’espressione da tragedia greca.
“Saleri?”.
 I colleghi si guardarono smarriti.
“E chi è?”, chiese Ivana.
“Saleri è il cognato di Riccardi”.
“Riccardi quello della direzione?”, chiese allarmato Gallo.
“Quello di Bologna, che sembra un eschimese?”.
“Quello che sembra un culattone?”.
E Balzani raccontò una storia dai dettagli alquanto imprecisi nella quale sembrava che Saleri un tempo si drogasse e fosse un buono a nulla. Solo che poi aveva smesso di drogarsi, ma era comunque rimasto un perdigiorno che passava ore e ore a fumare e a fare l’imboscato sul posto di lavoro. Era riuscito a ottenere quell’impiego esclusivamente grazie al fatto di aver sposato la sorella di Riccardi. Pertanto la colpa non poteva ricadere sul reparto dove lavorava il cognato di Riccardi.
Oliviero guardava lontano, fuori dalla finestra, oltre l’immenso cortile assolato fino a intravedere le colline che velavano via Padana Superiore, i suoi cementifici e dietro ancora le acque del Garda.
Sentì pronunciare il suo nome.
“Andiamo io e lui, no? Andiamo a fare un giro in direzione. Voglio vedere se non prendono paura quelli, con un metro e novanta di uomo come Oliviero”, disse Gallo ridendo.
Il clima sembrava essersi disteso.
“Già …”, sorrise Oliviero.
“Non ne dubito”, ribatté Ivana, lanciandogli uno sguardo bruciante. Lei e la collega presero i vassoi e si alzarono. “Ciao ragazzi, statemi bene”, aggiunse, e allontanandosi lasciò intravedere meglio le sue forme dentro il tailleur.
“Dovresti essere contento”, disse Averoldi rivolgendosi a Oliviero.
“Perché?”.
“Per quello che ti ha detto, era un apprezzamento, no? Sembra che sia una molto svelta”.
Averoldi non aveva tutti i torti. Molti uomini si sarebbero sentiti rinvigorire dai complimenti di Ivana. E a Ivana ovviamente facevano molto piacere i complimenti degli uomini.
Poco più che trentenne, Ivana Dionisi, segretaria all’ufficio contabilità , viveva attualmente con i genitori a Treviglio. Alle spalle, un diploma di ragioneria, due convivenze fallite, un aborto, vacanze al mare e cose così.
Spesso, il fine settimana, era solita dare appuntamento alle uscite dell’autostrada o nei parcheggi fuori Milano agli  amici, e Tina era una di questi. Un modo di trascorrere i fine settimana che piaceva molto alle due amiche, fino a quando una domenica sera Ivana si era spinta un po’ troppo oltre, e nell’aria satura di etere di un pronto soccorso si era accorta che la vita, così come lei la conosceva, poteva anche sfuggire via in un soffio. E per diversi mesi aveva portato con sé i lividi di un gioco finito male, nascondendoli con maglioni dal collo alto e molte lacrime. Â
Scheda del romanzo
Autore: Renzo Saffi
Titolo: Bambole perdute
Editore: Dario Flaccovio
Pagine: 192
Prezzo: 14 euro
Isbn: 987-88-7758-814-2
Contenuto Â
Oliviero Ferretti lavora in un gigantesco stabilimento siderurgico a Dalmine, una cittadina di provincia del nord   Italia. È sposato, ha un figlio, ma soffre di alessitimia, un malattia che porta all’incapacità di provare emozioni. Vive giornate tutte uguali, come se stesse recitando un copione. Almeno fino a quando Ivana, la segretaria del reparto contabilità dello stabilimento, ricorre all’aiuto di una zingara che, attraverso uno strano rito, fa sì che Oliviero si innamori di lei.
L’amore si trasformerà ben presto in un legame fatale. Oliviero deciderà di seguire Ivana fino alle più estreme conseguenze,   scoprendo verità  che rischieranno di distruggere per sempre la sua esistenza.
Biografia autore
Renzo Saffi è nato a Thiene (Vicenza) nel 1978 e vive a Riva del Garda (Trento).   Si è laureato al Dams, indirizzo cinema.   Ha pubblicato i racconti “Dolce come il miele” nell’antologia del concorso Criminalcivico e “Il testamento dell’orchidea” in “Criminalcivico2. Il delitto si tinge di verde” (editi da Osiride nel 2006 e 2007),   “Nuvole come gatti bianchi” in “Gatti dal buio” (Magnetica, 2007) e “Le favole che non ti ho detto mai” nell’antologia “Tutto il nero dell’Italia” (Noubs, 2007). E’ redattore del sito Borderfiction.
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 3 Novembre 2008 @ 22:54
Da questa pagina emerge un realismo spiccato dell’ambiente lavorativo, realismo che già evidenzia il contrasto tra chi si trova in un lavoro quasi a catena e l’asettica volontà di chi dirige. Gli effetti di certe storture, tuttavia, non vedono rassegnazione in chi subisce.
Anche il linguaggio ben si attanaglia alla vicenda ed ai personaggi. Viene solleticata, pertanto, la curiosità di andare oltre
Gian Gabriele Benedetti