LETTERATURA: Olimpio si preoccupa del prete
29 Aprile 2022
(Estratto dal mio giallo “L’usuraio”, 1994)
Alle sette e un quarto Olimpio passeggiava irrequieto nel vialetto della canonica. Era fatto così. Don Saverio senza volerlo gli aveva confidato che intendeva essere di ritorno verso le sette, per poter sbrigare alcune faccende della chiesa, e Olimpio dalla finestra era stato a spiare. Davanti agli scalini della canonica, però, non vedeva la macchina.
«Vado in canonica » aveva gridato alla moglie Assunta. «Don Saverio non è ancora tornato. »
«Sei sempre il solito. O non è mica tuo figlio. »
«Non ha nessuno, quel prete, e morirebbe solo come un cane. »
«L’ha voluto fare lui il prete, mica glielo abbiamo detto noi. »
Assunta aveva meno cuore di Olimpio. Succede che le donne a volte siano più egoiste degli uomini. A Sunta interessava dei figli suoi, e per loro avrebbe cavato gli occhi anche a un santo. Degli altri, si occupassero i parenti, e se uno non ce li aveva, o li aveva lontano, com’era il caso di don Saverio, imparasse a sbrigarsela da solo.
«Don Saverio non ci chiede niente. L’aiuto che gli do, è per mia volontà, e tu non metterci becco. »
«Dovevi farti prete. »
«Non c’entra nulla con la carità. »
Altre volte lo rimbeccava perché pensava più agli altri che ai figli. Quando qualche mendicante o forestiero bussava alla porta, Assunta faceva di tutto per andare lei ad aprire, perché Olimpio si lasciava impietosire e non mandava mai via nessuno a mani vuote. Se non aveva spiccioli, dava del pane, o anche frutta, e persino pomodori aveva offerto.
Assunta l’aiutava nei campi. Ce n’era bisogno, perché non era possibile prendere un bracciante a ore, costava troppo e se ne andava tutto il guadagno. L’agricoltura aveva ripreso un po’ dell’importanza che nel corso del XX secolo aveva perduto. Non che gareggiasse con l’industria ed il commercio, ma offriva condizioni di vita più accettabili, e qualcuno l’aveva preferita. Anche se si era salariati, il padrone non era lo stesso che nella fabbrica, e c’era più umanità e rispetto della persona. Dopo anni in cui l’uomo era soltanto sfruttato, questa condizione che veniva riscoperta, a più d’uno sembrava un ritorno al paradiso terrestre. Però non erano molti i padroni che si potevano permettere uno o più salariati. La terra non dava ricchezza. Dell’aiuto, Olimpio lo chiedeva anche ai figli quando arrivava il tempo delle semine o dei raccolti. Angela, la figlia più grande, era la più disponibile, mentre Antonietta e Faustino erano riottosi, e si facevano pregare a lungo prima di acconsentire. Matteo era diventato troppo vecchio e passava i suoi giorni a far niente. Nemmeno Olimpio lo riconosceva più. Nella vecchiaia pareva essersi piegato. Contava sull’aiuto dei figli, invece, che erano la sola ricchezza che possedeva. Ma i figli non erano come lui, ai suoi tempi, che quando il padre Matteo lo chiamava, si spaccava la schiena per rendersi utile.
«Quanto ti devo pregare, a te, Faustino. Sgobbo per farti studiare, non lo vedi? »
Ma delle fatiche dei genitori poco importa ai figli. Il mondo si fa sempre più spietato. Così, Faustino chiudeva il discorso con un’alzata di spalle, e si ritirava nella sua stanza, oppure usciva in strada.
Olimpio, quando vide che erano già le sette e un quarto e don Saverio non era ancora rientrato, disse alla moglie di chetarsi, e che lui doveva andare a vedere se era successo qualcosa. Passeggiava sul viale in su e in giù, e Assunta si era messa alla finestra a spiarlo. Spilungone com’era, la sua agitazione arrivava fino a lei.
Alle sette e mezza, non ce la fece più, roso dall’ansia. Andò sotto la finestra e alzò il viso verso Sunta: «Vado a vedere se è al bar. »
«Sei tutto matto. Che vuoi che ci faccia a quest’ora don Saverio al bar. »
«Quel che ci fanno tutti. È un uomo pure lui. »
«Accomodati, allora, ma non sparire anche te, che fra poco si va a cena. »
«Pensi alla cena te, e a me non mi vien fame se non torna don Saverio. »
«Ma cos’è mai don Saverio, mica te ne sei innamorato? »
«Ecco un discorso a bischero, Sunta, che lo fan solo le donne come te. »
«Vedi di sbrigarti, allora, e non metterti a fare il citrullo. »
La gente si radunava al bar più spesso che nel passato. Era una boccata di ossigeno, dopo una giornata di lavoro in cui ciascuno si sentiva trattato come una macchina o un numero. C’era sempre chi discuteva a voce alta. La politica la faceva da padrona, più dello sport. Perché la miseria nera che si era attraversata negli anni passati nessuno se la dimenticava, e la gente stava in guardia, e anche se qualcosa di buono veniva fatto dal governo, il popolo non si abbandonava alle illusioni.
Olimpio non fece caso ai loro discorsi. Entrò e disse subito ai primi che stavano vicino alla porta: «Don Saverio non è ancora rientrato. »
«E allora? Avrà trovato una ganza. »
«Non scherzare coi santi, bischero. »
«Sarà un uomo anche lui, no? e gli piaceranno le donne. Che c’è di male. »
«Te Olimpio, a stargli troppo dietro, a quel prete, gli scopri gli altarini. Lascialo un po’ in pace. »
«È un bell’uomo. Sai quante gonnelle gli corrono dietro. Stasera gliene sarà rimasta attaccata addosso una. »
«Voglio vedere il giorno che avrai bisogno dell’olio santo. Allora ti farà comodo il prete. »
«Suvvia, si scherza, Olimpio. Lo sappiamo che gli vuoi bene, al prete, e che se sei venuto qui, è perché stai in pensiero. »
«Ora si ragiona, iolai » fece Olimpio.
Con una macchina sarebbero andati incontro al prete.
«Sei sicuro che è salito a Rupecava? »
«Così mi ha detto. »
«Non sarà mica andato a donne davvero… » Olimpio stava per montare in bestia un’altra volta.
«Non vedi che si scherza, Olimpio? Oh, ma non ti si può dire più nulla. »
Salirono in quattro, tra cui Olimpio.
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