LETTERATURA: Pardini Vincenzo: “Il mulattiere dell’Apocalisse”7 Aprile 2021 di Bartolomeo Di Monaco Si tratta di un breve radiodramma (la collana si chiama “Centominuti”) che la Rai commissionò all’autore, il quale si è cimentato, dunque, anche in un testo di tipo teatrale, trasmesso a Radiotre il 30 settembre e il 4 ottobre 1996, un anno prima di essere trasformato in volume. Erminia fu interpretata da Laura Betti. È un gelido inverno. La giornata è ventosa. Siamo davanti a un caminetto acceso. Giuseppe e Erminia sono cognati ultranovantenni, entrambi vedovi. Lei è inferma e lui l’accudisce. Conversano del più e del meno. Soprattutto di ricordi. Ad Erminia, che era una brava sarta, un giorno fu commissionato un abito dalla nipote della regina madre d’Inghilterra: “Era una ragazza alta, bionda, piena di lentiggini e che male parlava l’italiano. Giunse in sella a un cavallo bianco bardato di rosso.”. L’abito non fu mai pagato e della sedicente nobildonna non si è saputo più nulla. Erminia è la vedova di Rolando, il fratello di Giuseppe. Entrambi hanno fatto la guerra, che torna spesso nei discorsi dei due anziani cognati. Lo sono anche poiché la sorella di Erminia, Rosa, ha sposato Giuseppe. Le due donne hanno pregato molto affinché i rispettivi mariti tornassero sani e salvi. Così è stato. Dice Giuseppe: “La Madonna ci ha esaudito. Per ben due volte siamo tornati dall’inferno della guerra. E credimi, non è facile sfuggire in quei momenti alla morte. A volte ti pare di vederla, di vederla voglio dire fisicamente. Allora vorresti ucciderla.”. Riguardo ai due defunti, Giuseppe non ha incertezze: “Pensano e agiscono in modo completamente diverso da noi. Sono spiriti.”. Intorno ai due aleggia la morte, il cui pensiero li inquieta. Nel paese non vive quasi più nessuno. Paiono dei dispersi. Solo la mulattiera tiene i contatti, altrimenti sarebbero come in un altro mondo dove regni sconforto e solitudine. Sesto è il mulattiere che rifornisce quei pochi abitanti. Erminia pensa che sarà lui a portare la bara per entrambi. Giuseppe risponde: “L’ultima volta che l’ho veduto aveva ancora quel grande mulo nero. Una bestia di mestiere: arrampicarsi fin qui con una cassa da morto di traverso al basto non è facile. Sesto gli sta dietro, aggrappato alla coda.”. Pardini evita di proposito il vernacolo lucchese, visto lo scopo del radiogramma. È un italiano pulito, semplice. A vivere in quelle condizioni di isolamento ci si deve adattare, e non è facile. Giuseppe: “La posta arriva una volta la settimana insieme ai viveri. Il resto dobbiamo fare come sempre: ordinarlo appunto alla guardia che ci porta da mangiare. È un bravo ragazzo, credimi. Non passa volta che non mi chieda di te.”. Erminia, estremamente religiosa, gli rimprovera di fare sedute spiritiche, e Giuseppe, arrabbiato, le risponde: “Dunque, se io ho fatto sedute spiritiche è perché dovevo farle. Durante la prima guerra, tra una pausa e l’altra della battaglia, in un paese vicino al Carso abitava un medium. Molti soldati vi andavano per avere notizie dei familiari, i più coraggiosi per sapere se sarebbero morti o sopravvissuti: ogni volta che la battaglia riprendeva tanti di noi cadevano. Scontro finito, arrivava la carretta della morte: un barroccio trainato da muli o cavalli il quale veniva stivato di cadaveri. Ne risento il cigolio delle ruote nel fango o sui sassi. Il mago, accostata la penna a un foglio, chiese all’entità quale sarebbe stata la mia sorte. A chiare lettere lo spirito rispose che sarei vissuto a lungo, ma tra non poche tribolazioni. Un giorno il mago mi disse che pure io avrei avuto disposizione a evocare i morti. Cominciai così.”. Il filo della solitudine che ispira tutto il dramma, conduce l’uomo a ricercare altrove speranza e consolazione. Erminia, contrariamente a quando era giovane, ora che non può, causa l’infermità, vorrebbe viaggiare, allontanarsi dalla morte: “adesso la morte la sento vicina come abitasse nella casa accanto. Ecco perché vorrei viaggiare.”. C’è Henrik Ibsen dentro questa amara solitudine. Non dimentichiamoci che fuori sibila il vento, e la natura pare in rivolta: “Il vento investe i vetri delle finestre, ne fa tremare i telai; sibila nella cappa del caminetto.”. Aquile e lupi sono tornati. Nei due vecchi si concentra la malinconia di chi presto deve abbandonare la vita. Erminia: “Non chiacchierassimo sembrerebbe che il mondo fosse finito, non è vero Giuseppe?”. Chiamato da Giuseppe, anche un maestro in pensione, Lorenzo, novantenne e vedovo pure lui, si reca a far visita a Erminia. Tornano le rievocazioni del passato, i ricordi. Lorenzo: “Quando incontro i miei ex allievi vedo son vecchi pure loro. Molti sono addirittura morti. Allora mi vien fatto di pensare che sono un uomo fortunato o un superstite.”. E Giuseppe, di rimando: “Io, invece, mi sento un condannato. Raggiunta l’età in cui si dovrebbe morire, ogni giorno che passa altro non fa che allungarne l’attesa.”. Il fiato della morte è onnipresente. C’è un altro vecchio amico, Carlo, che ha fatto il pastore, ma Erminia si rifiuta di ospitarlo, poiché reca sempre con sé il suo cane Giobbe che, per l’avanzata età, è puzzolente. Ma lui gli è affezionato, l’ha visto crescere e da grande badare al gregge. Non vuole disfarsene. Entrambi attendono, insieme, che giunga la morte. Come ne “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman, la morte incombe. Come pure la natura, con la sua forza. Giuseppe: “Liberi, gli animali selvatici sono tutt’uno con la natura, vivono dentro il loro mistero.”; e Lorenzo: “È vero. Guarda volpi, cinghiali, tassi: ad armi pari non li cattureremmo mai. Sono più forti di noi.”. Sotto la loro finestra passa Sesto con il suo mulo che porta sul basto due bare. È chiamato “Il mulattiere dell’Apocalisse”. Erminia: “Allora è morto qualcuno.”. Lo invitano a salire in casa per sapere chi è morto. Il padre di lui, Filippo, costruiva bare. Sesto si è arricchito trasportando merce coi muli da mattina presto a notte inoltrata. Sesto tira dritto, non vuol saperne di fermarsi. Pare imbronciato. I temi di Pardini, tra natura, morte e progresso, sono tutti nel radiodramma. Erminia: “Mi piace guardare il tramonto disperdersi dietro le cime dei monti. È il medesimo delle sere in cui mia madre, mia nonna e le zie facevano andare la filanda. Giravano i fusi e i filamenti di lana e di iuta, li avvolgevano tra sentore di corda e di polvere; tanta polvere: al punto che i vetri delle finestre erano appannati.”. Il progresso sta distruggendo la sana vita di una volta, in cui i protagonisti sono vissuti. Brutte le previsioni sul futuro di una società che ama autodistruggersi. Lorenzo: “Le famiglie moderne odiano i vecchi. Sono di ingombro. Li scaricano.”. È un pessimismo, tuttavia, che non rinnega mai la speranza, qui, ad esempio, racchiusa nella religiosità, seppure arcaica, di Erminia: “Riuscirò perfino a immaginare il volto di Gesù che suda mentre cammina sotto il sole di Palestina.”. Al ritorno, Sesto non si ferma nemmeno questa volta all’invito di Erminia, che si è fatta portare alla finestra, e lo chiama. Lui non risponde e prosegue in silenzio. Somiglia sempre di più alla morte. Erminia: “Cosa dici, Giuseppe, ce la farò a rivedere le rose di maggio?”. Dirà più tardi, coricatasi a letto: “È addirittura arrivato Sesto, Il mulattiere dell’Apocalisse. Quando viene lui è brutto segno: ci sono disgrazie come quella dei due stranieri di Norceto.”. Infatti, le due bare portate da Sesto sono per i due stranieri che, unici rimasti, vivevano nel paese vicino, Norceto. Qualcuno ha sparato loro con una fucilata alla fronte. La notizia la dà Carlo, che passa sotto la finestra della casa di Erminia. Nevicherà nella notte e alla mattina: ci sarà un metro di neve. Erminia: “La vedo! La vedo! Vien giù fitta e densa come si fosse aperto il cielo.”. La casa ci appare come una nicchia sospesa nel tempo, intorno alla quale si muove, espressione di luce e di felicità, la natura. Pare volersi allontanare il pensiero della morte. Due spari si sentono in lontananza. Arriva Lorenzo, tutto trafelato per aver dovuto correre sulla neve alta. Qualcuno, forse lo stesso che ha ucciso a Norceto, ha sparato a Carlo e al suo cane Giobbe. Giacciono sulla neve colorata del loro sangue. Erminia ne è sconvolta, si sente male: “Non ho nemmeno più freddo e mi sembra di sentire Sesto, Il mulattiere dell’Apocalisse. Avanza tra la tormenta, la tormenta.”. Sono le sue ultime parole. Dirà Giuseppe: “Noi eravamo morti assai prima di Erminia, solo che non ce ne eravamo accorti. Abbiamo continuato a vivere con rassegnazione le cose di ogni giorno, senza far nulla, dire nulla. Lei invece avrebbe voluto compiere quei viaggi che non aveva mai fatto. Poi pregava, pregava tanto, fino a vivere e immaginare quello che a noi pare essere precluso: la visione dell’altro mondo.”. È la scintilla della speranza che non abbandona mai il mondo e la vita. Trovo in calce al libro la data della mia prima lettura, terminata alle ore 17,33 del 1 agosto 1997. Ora, invece, è il 30 gennaio 2021 e sono le ore 14,56. (Per acquistare il libro, qui)
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