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LETTERATURA: PITTURA: Ricordo di una mostra di Cézanne

2 Agosto 2010

di Nicola Dal Falco

Davanti all’entrata laterale del Grand Palais, i visitatori arrivano a gruppetti, affrettando il passo.
Sembra una prima teatrale, la lunga meditata attesa di un concerto o il ricevimento per il ballo dell’Infante di Spagna.  

Un’eccitazione salutare corre sotto pelle. La grotta della rivelazione ha una facciata neoclassica e appiccicato addosso l’ottimismo dell’Esposizione Universale, celebrata quasi un secolo fa.  

Sullo scalone molti aspettano con il cappello in mano, nonostante il cielo grigio e un’aria gelida. Vorrebbero essere già di fronte ai quadri di Paul Cézanne, ai colori-colori alle forme-forme del maestro che volle trasformare «l’impressionismo in qualcosa di solido. »  

I turisti e i parigini, duri come può essere dura questa città cosmopolita, non si sono fatti sfuggire l’occasione.  

La mostra di un grande che con il suo impegno intransigente ha aperto la strada al cubismo, alla modernità, chiede la presenza di tutti contro le minacce di alcuni.  

L’ingresso alla mostra è fissato per turni; mentre aspettiamo quello delle 12, le note pastose di un clarinetto, che ha scelto proprio il giardino oltre le transenne per esibirsi, svegliano un raggio di sole, sposando idealmente la struggente, meravigliosa verità della montagna Sainte-Victoire, dei cieli e pini di Provenza.  

Prima di venire alla mostra ho riletto le lettere che Rainer Maria Rilke scrisse a sua moglie, parlando di Cézanne.
Il poeta tedesco si sentiva profondamente coinvolto dal pittore, l’emozione che riceveva gli pareva il frutto di un’affinità elettiva.  

Ed è bello pensare che in un rapporto epistolare così speciale entri un terzo essere con la capacità di catalizzare le energie migliori, allargando il ventaglio dei sottintesi amorosi. Ecco cosa le dice, il 4 novembre mattina (1907) mentre viaggia sul treno Parigi-Breslavia: «…ancora un paesaggio d’un celeste aereo, mare celeste, tetti rossi che parlano tra loro sul verde, tutti presi dal loro intimo rapporto, pieni di cose da dirsi … »  

Un’altra volta è un’amica a precisare la pittura di Cézanne, le novità dei tratti geometrici, dei colpi quadrati e rettangolari di spatola dove è il colore a fare le cose. Rilke ne riporta le frasi in una lettera: «è rimasto seduto là come un cane, soltanto a guardare senza nervosismi nè altre intenzioni. »  

In quel “cane” c’è tutta la fedeltà immaginabile, la fissità e lo stupore animale. Nessuna estetica, nessun tic o sottigliezza si frappone e offusca la diretta, atemporale visione delle cose: le cipolle, le mele, l’albero, il tetto, la roccia, la brocca, pesate e rese nella loro essenza. Sapendo che a Cézanne occorrevano 100 sedute per realizzare una natura morta e almeno 150 per un ritratto, si può immaginare con che determinazione affrontasse lo studio del soggetto.  

I pochi amici e i modelli che l’hanno visto al lavoro sottolineano l’enorme concentrazione a cui si sottoponeva, la stretta spasmodica che  all’improvviso liberava la molla creativa.  

Allora scovato il motivo, il quadro nasceva tutto insieme, aggredito da ogni lato. I punti bianchi venivano affrontati successivamente, uno alla volta.  

Nell’incertezza, cercando il tocco giusto, Cézanne preferiva rimandare al giorno dopo o addirittura non finiva il quadro.  

Tale era il bisogno di equilibrio e di rigore. In questa ascetica ricerca di armonia, lo scarto sta tra la presunzione di chi giudica, mostrando la sua parziale verità e chi, invece, vuole soltanto dire.  
Ma per dire tutto occorre essere intransigenti verso se stessi e i propri mezzi.  

Le formidabili mele, spesso appoggiate su un piano inclinato, quasi che dovessero ruzzolare in bocca allo spettatore, dialogano con altre nature morte, che più morte non si può.  
Una di queste accoglie entro la cornice una pila di crani.  

È un tema ricorrente anche nei disegni e negli acquarelli, reso senza nessuna concessione al pathos.
Sono   orbite vuote, denti in bilico, fronti lisce e fredde, terribilmente familiari. In fondo, un’orologio che non sgarra un minuto è molto più inquietante.  

Con la stessa intima naturalezza, Cézanne ha dipinto il corpo femminile, ispirandosi al mondo classico dove l’incontro con gli dei avveniva spesso accanto ad una sorgente, con un sottofondo d’acqua viva.  

Tra le sue bagnanti corre un mistero, la luce batte sul dorso, i glutei e le cosce come su un tronco o una vena di marmo.  

La natura delle Grandes Baigneuses sconfina nel regno vegetale e minerale.
Sotto gli occhi si precisa una metamorfosi, un canto dove i corpi in primo piano e i tronchi che si toccano creano una volta gotica.


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1 commento

  1. Pingback by Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: PITTURA: Ricordo di una mostra … — 4 Agosto 2010 @ 23:27

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