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LETTERATURA: Remigio Coli – M. Giovanna Tonelli: “Dame e cicisbei a Lucca nel tardo settecento”, M.Pacini Fazzi, 2008

17 Maggio 2009

di Marisa Cecchetti  

Quando pensiamo alle famiglie potenti lucchesi del passato, che avevano in mano l’economia e la politica, e pensiamo allo scorrere dei secoli su questa città libera e prosperosa di commerci e di successive nobiltà terriere, non pensiamo alla vita privata, alle abitudini familiari dietro la facciata dei palazzi nobiliari e delle ville di campagna. Una città   aperta allora ai contatti con l’Europa, tuttavia città piccola   dove “bisogna rendere conto a troppa gente di ciò che si fa”.
 Remigio Coli e M. Giovanna Tonelli, attraverso un accurato lavoro di ricerca, sono scesi nei segreti di quelle famiglie. E’ il tardo settecento e a Lucca le aristocratiche – le sole donne di cui allora si potesse interessare la Storia – non vivono diversamente dalle donne francesi o spagnole. La ragazza di nobile famiglia destinata a nozze, era secolarizzata   in conventi più o meno vicini, poi   passava al matrimonio combinato, secondo regole comportamentali che non dovevano essere discusse.
E’ della aristocratica maritata che il libro si interessa, “una donna completamente libera, come non lo è mai stata” In questo periodo, il tardo settecento, anche a Lucca come altrove, accanto alla donna sposata compare la figura del cicisbeo o cavalier servente. Il marito sa, ma è assente, si defila, magari è intento a far da cicisbeo al un’altra donna.
Comunque tra cavalieri non regna la gelosia, come scrive, in quel periodo, il pittore tedesco Georg Christoph Martin nel suo diario “Un viaggio in Toscana”. Secondo lui non sono ben chiari i confini di questa assidua frequentazione, ma è evidente che il cicisbeo segue la donna ovunque, in carrozza, in chiesa, a teatro, alla passeggiata, in villa. Il cavalier servente fa la corte alla dama, sia pure con tutto rispetto, ma c’è da ritenere ” che con qualcuna questi cicisbei oltrepassino in pieno la misura”. Comportamento in qualche modo obbligato, che assimila le nostre dame alle loro contemporanee d’oltralpe, ma non passa inosservato e non è esente da critiche da parte dei benpensanti, tanto da far parlare Cesare Sardi (1905) di “un’immoralità quasi elevata alla dignità di sistema nella convivenza sociale”, che minava la santità del connubio, il decoro morale della famiglia, la dignità del focolare domestico.


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