Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Rovistando in soffitta

23 Giugno 2008

di Gian Gabriele Benedetti

[Oltre a numerosi libri di poesia, ha pubblicato la raccolta di racconti “Paese”, Lalli Editore, 1986]

Era da tanto che non tornavo in soffitta a rovistare fra le cose vecchie accantonate. Lì si è ammucchiata via via una grande fetta del cammino della nostra vita, caratterizzato da oggetti che ne hanno segnato il passo. E ritornare su quel mondo, che ci è appartenuto, e spazzarne la patina polverosa che lo ricopre è stato un po’ rivivere tutto un passato e ridare spinta e consistenza alla stanchezza dei nostri giorni, perché, come diceva Giorgio Pasquali: “Chi non ricorda non vive”.
                      Lassù, dunque, nello stretto spazio del luogo, dove difficile è districarsi a causa di una sistemazione assai confusa degli oggetti, ho raspato per riportare a galla ciò che considero ancora (e forse più di prima) un bene superstite, un patrimonio, al quale attingere ogni momento per una nostra maggior consapevolezza ed una più decisa identità. E ricordare, infatti, per chi lo può, specie per gli anziani come me, è come possedere qualcosa di prezioso, che nessuno ti toglierà. Jean Paul sosteneva, a tal proposito, che il ricordo era l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati, mentre il poeta Tu Fu scriveva: “Una canzone, laggiù… È un mendicante. Se lui canta, quel vecchio che non ha mai posseduto nulla, perché piangi tu, che hai così bei ricordi?”.
                      Così ho raspato e raspato ancora, e pezzi della mia esistenza, sbrogliati dal mucchio, hanno preso a danzare sull’album fotografico della mente. Tutto un universo fatto di piccole e grandi emozioni saltava fuori ogni qualvolta mi ritrovavo tra le dita un giocattolo squinternato, un quaderno dalla copertina nera come il carbone, pieno di traduzioni latine (“Consilia qui dant prava cautis hominibus / Et perdunt operam et deridentur turpiter”, ho letto, aprendo a caso una pagina, questa frase di Fedro) ed ancora un soprammobile, capace di ridisegnarmi una stanza, uno scialle ricamato a mano o un attrezzo da lavoro col potere magico di riportarmi un volto, una voce, un gesto o di ripercorrere tracce e di avvertire miracolosamente odori e sapori di un tempo… È stato come ricercare e ritrovare un’antica luce, sbucata da una porta socchiusa a ridonarmi un sogno, un abbraccio dolcissimo e nostalgico, che sorrideva e piangeva ad un tempo.
                      Poi… Poi, all’improvviso, inaspettata, è apparsa “lei”: sotto un panno scuro si celava la mia vecchia macchina da scrivere: una “Olivetti Lettera 32”. L’avevo completamente dimenticata, dopo averla messa in pensione, con l’avvento del computer e delle mille e una sue prestazioni, quasi “diavolerie”, per me, che non sono tuttora, a distanza di anni, riuscito a “svelare” del tutto e ad appropriarmene.
                      La sua apparizione mi ha tolto per un attimo dalla struggente malinconia che calava dentro. Ed ho ripensato a quante pagine bianche ho riempito e a quante nottate passate al suo ticchettio amico, quasi un suono, per buttar giù tutte le mie osservazioni, le mie considerazioni sulla realtà e sulla vita, i miei pensieri, le mie emozioni, i miei entusiasmi, le mie delusioni, i miei progetti, i miei affetti, i più profondi trasalimenti, il frutto della fantasia, insomma tutto quello che urgeva nell’animo e nella mente. Nascevano racconti e poesie (così li definivo e li definisco con una certa presunzione e faccia tosta!), che mettevano a nudo tutto me stesso ed il mio sentire intimo. Eravamo io e la mia macchina da scrivere nella stanza silenziosa, che s’apriva, perché insieme volassimo fuori leggeri verso orizzonti senza confine. E mi sentivo più vivo e più vero. A volte anche orgoglioso e un tantino felice, anche se il frutto di quel lavoro rare volte usciva dal chiuso della casa.
                      Ora questa mia amica era lì inutilizzata, abbandonata, dimenticata, sostituita da un software, da un hard disk, da un floppy disk, da una miriade di gigabite, dal linguaggio cobol, da una stampante, da respiri freddi e metallici, in conclusione. Il progresso, che miete veloce le sue “vittime”, le aveva giocato un brutto tiro: le aveva tolto il suo ruolo importante, la sua funzione molto dignitosa ed utile; l’aveva superata, soppiantata, annientata. Il progresso, infatti, è come un’enorme ameba, che inghiotte i passi ed i gesti del mondo e li rinserra nel suo ventre insaziabile. Il progresso corre, corre, corre pazzamente. E tutto sorpassa e travolge. Ma il tempo non può tornare indietro, neppure Dio può farlo. Solo un piccolo lume di memorie ce lo può far ritrovare. Così avviene anche per noi esseri umani:   con l’andare incessante, lungo, del tempo, siamo man mano scavalcati e più o meno messi da parte, come oggetti pressoché inutili. Ci rimane solo una marginale possibilità, non so quanto apprezzata: quella di portare a chi ci segue il ricordo di quanto vissuto, con la speranza minima che serva a farci un po’ scampare alla fine e ad aiutare gli altri a non commettere gli stessi nostri errori ed a seguire quel piccolo bene che possiamo aver realizzato nell’avventura di tanti e tanti giorni, che già pesano, e non poco, sulle nostre spalle.
                      Col panno scuro ho ricoperto la macchina da scrivere e, con essa, la fiamma della malinconia, che si ravvivava prepotente a strapazzarmi.

 


Letto 5599 volte.


1 commento

  1. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: Rovistando in soffitta - Il blog degli studenti. — 23 Giugno 2008 @ 08:04

    […] help@unive.it (Help): […]

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart