LETTERATURA: SCRITTORI LUCCHESI: Giampiero Della Nina: “Come grani di sabbia”
30 Luglio 2020
di Bartolomeo Di Monaco
Il suo paese, Porcari (nel romanzo con il nome Poggiocaro), come pure il circondario, fanno da sfondo ai lavori di questo autore lucchese, studioso del folklore di quei luoghi, oggetto specifico di altri suoi libri, ma in qualche modo sempre presente in tutte le sue opere. Come in questo romanzo ambientato a Porcari.
Ci troviamo di fronte ad una carrellata di personaggi e di avvenimenti da cui emergono riti e usanze del passato.
Della Nina ci fa sapere anche i soprannomi con cui alcuni di loro erano conosciuti, tali da configurarne l’aspetto e il carattere: Boccino, Cignalino, Baruffa, Chiodo, Cherubino, Secchiello, il Sartino, il Parigino, il Doge, il Redentore, la Volpina, la Beppa e così via.
Sono personaggi, come il Putrì (una specie di pettegolo ‘gazzettino’, “il bombarolo locale” lo chiama l’autore) e sono luoghi, come il punto di ritrovo detto “sotto la luce”, che abbiamo già incontrato in altre sue opere, a segno che vi è un mondo reale che domina nel romanzo, e la fantasia si avvale di esso poggiandovisi come sull’architrave di una cattedrale. Altri punti di ritrovo sono dal Sartino e presso la mescita di Serafina.
Sono presi in considerazione gli anni 1949, 1950 e 1951 che dividono il romanzo in tre parti.
A Boccino è caduta la dentiera nella fogna. Sgomento, riesce a recuperarla e “Quando fu sotto la luce, più che scendere, il suo, fu un precipitare dal barroccio; corse sotto la pompa che era in corte, sciacquò con tre rapidi passaggi la dentiera sotto il getto dell’acqua, se la pose in bocca e sorrise a tutti, con i suoi trenta e più denti scintillanti.”.
Ogni capitolo narra una storia in cui emergono le usanze del paese e i fatti ascrivibili alla ingenuità popolare. Una donna, Beppa, crede di vedere la Madonna che muove gli occhi e, stupefatta, cade svenuta, destando clamore. Solo un frate del locale Collegio Cavanis non crede al miracolo e la rispedisce a casa.
Naturalmente il fatto ebbe un seguito dopo che una donna, la signora Ausonia, si disse miracolata nel momento in cui aveva toccato una spalla della Beppa. Arrivano perfino i giornalisti e nei giorni seguenti ci fu un via vai di curiosi.
Anna partorisce, dopo aver pregato il Patrono del paese che il parto vada bene: “San Giusto, prima con la testa e poi con il busto.”. Molto spesso, come in questo caso, la levatrice era una semplice popolana, diventata esperta di queste cose, e alla quale si ricorreva con fiducia.
Al balbuziente Massarellino, un compaesano detto il Doge profetizza: “E tu, ti troverai a fare la guida turistica.”.
Della Nina partecipa alla credulità popolare e la sottolinea, anche con divertimento, come una caratteristica che ha un valore in sé quale rivelazione di un processo ancestrale che è riuscito a tramandarsi e a sopravvivere.
Sentite questa, che riguarda Tobia il quale frequenta la scuola serale che si tiene al Collegio Cavanis, presso il quale hanno praticamente studiato più generazioni di porcaresi. Da quando va a lezione dai frate lo si vede anche alla Santa Messa, che prima si guardava bene dal frequentare. Si era forse convertito?: “Il Putrì invece affermò con forza, che quella era autentica conversione, raccontando come lo avesse sentito bestemmiare una domenica mattina perché sua moglie, la Clelia, non lo aveva svegliato per tempo, ed avesse così perduto la santa Messa.”.
Dalla Beppa, diventata ormai una santona conosciuta nella zona (la chiamavano la “Miracolata”), cominciò ad andare tanta gente che soffriva di qualche malanno. Lei per i suoi consigli e rimedi non chiedeva alcuna ricompensa ma non c’era chi non le lasciasse qualche spicciolo: “Così la Beppa, sempre standosene seduta, incassava ed ingrassava ogni giorno di più.”.
Ovviamente, narrando storie degli anni Cinquanta del secolo scorso, non potevano mancare Bartali e Coppi, i due fuoriclasse del ciclismo che tutto il mondo ci invidiava e che avevano diviso gli appassionati in due focose schiere rivali. Anche nel paese, come in tante altre città, sui due piovono le scommesse e la parte perdente che tifava Bartali che a quel Giro d’Italia perse nei confronti di Coppi, toccò di dormire per più giorni dentro una stalla puzzolente in compagnia dell’altrettanto puzzolente asino di Boccino.
Come tessere di un mosaico a poco a poco si compone il ritratto di quel tempo, qui rievocato con il sorriso sulle labbra, ma anche con tanto amore e nostalgia.
Fatti che non accadono più soffocati da una modernità sterile e poco fantasiosa.
Chi tra i giovani ha conosciuto gli zampognari che per le festività natalizie scendevano con le loro zampogne dai monti della Garfagnana e passavano per i paesi suonando le più belle canzoni del Natale? Chiedevano un po’ di elemosina e alla fine delle feste tornavano alle loro case e nessuno li vedeva più fino all’anno prossimo.
Non so se ancora a Porcari, e in particolare nella parte del paese chiamata Pacconi, a cui appartengono tutti i personaggi, si usi ancora bere la vigilia di Natale il ponce al mandarino. Se ne parla nel capitolo XIV: “Non c’era una casa in tutta Poggiocaro, dove la notte di Natale, non si bevesse il ponce al mandarino: era questa una tradizione che si rispettava da anni ed anni, senza saper bene da cosa originasse.”. Nella bottega di Serafina si poteva trovare il miglior ponce al mandarino del mondo: “perché il ponce sapeva davvero di mandarino e non di acquetta appena colorata.”.
E dello spazzacamino chi si ricorda?: “Uno spazzacamino, con la corda nera che fuoriusciva in parte da un sacco tenuto sulle spalle, camminava a passo svelto diretto alla via Provinciale Lucchese. Dietro di lui quasi correva, un ragazzino, probabilmente il figlio di 10-11 anni, magro e con il viso sporco di caligine. Il padre, nel lavoro si portava dietro il figlio per insegnargli il mestiere e fargli conoscere quelle famiglie, che un giorno sarebbero diventate sue clienti; quando era necessario il ragazzino veniva impiegato per passare dalle cappe più strette o che presentavano particolari problemi di tiraggio.”.
Di presepi (le “capannelle”) ciascuno di noi ne ha visti tanti, ma non certo uno speciale come quello del Putrì che era stato in Brasile: “Nel Mato Grosso aveva raccolto tanti piccoli pezzi di legno dalle forme più strane: leoni, cammelli, orsi con le corna, pecore, pozzi, capanne, casette, carri, serpenti; tanti pezzi, da poter allestire presepi, che i ragazzi contemplavano a bocca aperta. Intanto c’era un Gesù Bambino di pelle scura come un nigeriano, figlio di Maria e Giuseppe, bianchi come la neve. E la capanna, e le strade sassose ed i laghetti che pendevano a metà dei monti, sulle sponde dei quali vigilavano terribili coccodrilli. E se un bambino chiedeva, perché i pastori portassero dietro rinoceronti e tigri anziché pecorelle, il Putrì coglieva l’occasione per dilungarsi in storie che incantavano grandi e piccini. E i Re Magi arrivavano poi, a bordo di carrozze trainate da una dozzina di maialini.”.
La sapevate questa usanza nella notte di Natale?: “Chi aveva animali nella stalla, prima di andare a Messa doveva riempire le mangiatoie, perché si diceva che a mezzanotte in punto, gli animali parlassero fra loro e non dovevano dire che il padrone era un tirchiaccio di lucchese.”.
Già scrivendo di altri suoi libri abbiamo sottolineato la bella scrittura di Della Nina. Leggete qui con quanta efficace stringatezza ci dà l’immagine della zia Savina (“nata Sabina”): “sorrideva ai nipoti ed ai pronipoti, con le labbra che tendevano ad entrare all’interno della bocca, del tutto priva di denti.”.
Chi sa se sia vero, ma la storia è raccontata e dunque la diamo per buona. Si tratta di questo: un giorno il Re Vittorio Emanuele III, in visita a Lucca, prende alloggio in città, presso il noto Albergo Universo. Il padrone gli si fa incontro e si presenta: “Maestà, mi chiamo Armando Nieri e sono il padrone dell’Universo.”. E il Re, di rimando: “Che fortuna fare la sua conoscenza perché io sono soltanto il Re d’Italia.”.
Minuzie che segnano un’epoca.
Noemi compare nel capitolo XIX. Rimasta vedova con un figlio piccolo nel corso della guerra, e precisamente il 28 febbraio 1943, si rimboccò le maniche e tirò avanti la bottega da sola, con energie e capacità da far invidia ad un uomo. Per giunta, si candidò alle lezioni comunali nel 1946 nelle liste del partito comunista, ma anche come consigliera si mostrò tutta d’un pezzo, votando secondo la sua volontà e non secondo quella del suo partito, al quale rispondeva che ad eleggerla erano stati i poggiocarini e solo a loro doveva rendere conto.
Un’anticipatrice del femminismo?
Ogni anno, il 24 agosto, per San Bartolomeo, si fa festa in una delle località collinari più conosciute dai Lucchesi, le Pizzorne. Una tradizione vuole che assistendo alla santa Messa nella chiesetta intitolata al Santo un giovane possa trovare la sua ragazza e viceversa. Da ciò l’accorrervi di numerosa gioventù. Ci prova anche Polo detto Cignalino, basso di statura e con qualche difetto fisico. Abborda qualche ragazza nella speranza che si realizzi il suo sogno di trovare una sposa adatta a lui.
Il lettore si divertirà a leggere che cosa gli accadde.
A poco a poco i personaggi, già in movimento all’interno della catena di amicizia instauratasi nel paese, offrono la loro fisionomia in fatti personali che li hanno coinvolti, perfezionando la loro personalità.
L’autore ce li presenta e poi ad uno ad uno ce li fa conoscere intimamente. Come personaggi di una commedia umana.
E il Redentore, nato Moreno, gran bestemmiatore, che fa la parte di Cristo nella processione dell’8 settembre, ce la farà a percorrere tutto il tragitto senza prendersela col Signore, la Madonna e i Santi? Il proposto ne dubita e si raccomanda. Ä– anche l’anno in cui si è realizzato il piano di costruzioni voluto da Amintore Fanfani e anche a Poggiocaro devono essere assegnati due blocchi di alloggi popolari, con tutte le comodità e ad affitto modesto.
Non sarà facile convincere i paesani ad accettare di vivere in un appartamento anziché nella tradizionale casa di corte.
Una rivoluzione del modo di vivere a cui la campagna non era ancora preparata.
Nelle storie si segue la lenta evoluzione della società agricola, in cui ai sacrifici di una vita dura e insicura (se ne ha un’idea nel colloquio esemplare tra il mezzadro Moreno detto Redentore e il suo padrone nel capitolo, tra i migliori, XXIII) si cominciano a preferire una vita più comoda ed un lavoro meno ostico e con la paga certa.
Il libro contiene anche una bella storia d’amore, quella tra il medico Valentino e la giovane vedova di suo fratello, Rosalba. Il lettore la gusterà assaporando le consuetudini del tempo, così diverse da quelle di oggi.
Come pure nel capitolo XXIV conosciamo l’usanza detta del “Capo Pècoro”, che si praticava ogni anno per San Martino, l’11 novembre. Prima di fare baldoria a colpi di cibarie e ottimo vino, si votava per scegliere il cornuto del paese, e per ben due anni era uscito vincitore il Bestio, nato Filippo, che non era del posto, ma lì ci si era accasato sposando la vedova di guerra Gigliola, rispetto alla quale, lei trentaseienne, aveva il doppio di età. L’aveva sposata assicurandole di lasciarla libera come lo era al momento che la chiedeva in sposa, e la bella Gigliola ne approfittava con tutti coloro che andavano dai 20 ai 30 anni, e qualche volta faceva pure un’eccezione.
Di tutt’altra natura è l’atmosfera cupa e di terrore che avvolge una storia di spiritismo. Ci penserà il proposto alla Messa della domenica a far passare la voglia a quei peccatori che non hanno timore di invocare Satana per i loro intrighi. La Chiesa non scherza ed è molto severa comminando addirittura la scomunica. I tre irresponsabili sono bell’e avvertiti.
È da sottolineare come i dialoghi siano perfettamente resi in grazia quasi sicuramente dell’esperienza maturata con le numerose opere teatrali scritte da Della Nina, con le quali ha anche vinto dei premi specifici.
La struttura del romanzo, inoltre, è tale che alcuni episodi che seguono ad altri già narrati, si ricollegano tra di loro con estrema facilità, aiutando a comporre un mosaico di vita paesana facilmente visibile.
C’è tempo anche per ricordare quando si poteva andare in carrozza da Viareggio a Lucca e fare una sosta in cima al Monte di Quiesa per osservare il panorama e la veduta del mare, che sembrava potersi toccare con una mano: “Soddisfatto per la pensata, Tobia disse alla moglie di aspettarlo lì seduta, comoda, che lui sarebbe andato ad acquistare i biglietti del ritorno. Accanto alla carrozza da sei posti, c’era un uomo anziano, alto, e non sembrava neanche il vetturino tanto era ben vestito e portava un cappello a cilindro quasi nuovo.”.
Gli ultimi capitoli sono dedicati ad uno dei personaggi del gruppo dei pacconami, colpito da una malattia spietata, la leucemia mieloide acuta.
Vi traspare una delle caratteristiche della vita di corte di una volta: la solidarietà umana. Lasciamo al lettore di scoprire il nome di questo personaggio sfortunato, ma diciamo anche che un altro dei protagonisti esce fuori proprio in queste pagine conclusive: la solidarietà. L’amore verso il prossimo. E ci accorgiamo anche che per tutto il romanzo l’autore ci ha dato di questi segnali, e forse non ce ne siamo accorti. Uno di questi è il cane Bobi, che mai ha abbandonato il suo padrone, sempre vicino a lui come fosse il suo angelo custode.
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