LETTERATURA: SCRITTORI LUCCHESI: Marco Martinelli (una rivelazione): “Piccolo loto giapponese”19 Maggio 2019 di Bartolomeo Di Monaco È il romanzo di esordio di un giovane lucchese nato nel 1985 che di professione fa il commesso in un supermercato. L’ho aperto convinto di farne una lettura veloce, di assaggio, come si dice, ed invece mi son dovuto ricredere e mi sono messo, come faccio per metodo, a prendere appunti. Sin dall’inizio si avverte una scrittura composta e ricca di humus: “Guardai verso il cielo, la luna piena era velata da una sottile coltre biancastra e illuminava la prima domenica di dicembre, umida e fredda.”. Che ne dite? Ma ne troveremo altre: “Un’alba rossastra si svegliava all’orizzonte colorando le cime innevate, la tramontana che le lambiva portava a valle un freddo terribilmente pungente. Appoggiato al balcone fumavo pensoso e infreddolito. Guardavo giù in basso nel giardino quando la mia attenzione fu attratta da una vecchia quercia dal tronco scavato. Su un ramo contorto come la mano di una strega, stagliato contro la neve bianca, spiccava un bellissimo merlo nero. Mi fissava immobile”; “Da una grossa betulla proveniva il chiacchiericcio allegro di uno stormo di passeri che al nostro passaggio si alzarono in volo aprendosi in cielo come una rete nera. In lontananza il fioco abbaiare di un cane.”. O come questa, che riguarda Beth, una ragazza americana: “Era nuda ora, ma quella nudità non era altro che un meraviglioso vestito naturale, il suo corpo candido, fresco e sodo era come una statua di Fidia che improvvisamente aveva preso vita.”. Quando sarà a Istanbul troveremo un’altra bella descrizione della Cisterna Giustiniana, breve ma sufficiente a dare la coloritura ombrata di quel pozzo antico. Siamo a Firenze, e prossimi al Natale. Il protagonista è Renè Gini, che lavora presso un supermercato (come l’autore) con l’incarico di occuparsi dello “scarico merci, ordinazioni e controllo casse.”. La sua età? Troviamo “ero troppo vecchio per le sorprese.”. La mattina ha fatto un incontro strano con un tizio che sapeva il suo nome e da quel momento è diventato inquieto e insicuro. Gli ha lasciato una busta in cui trova un semplice numero di telefono, chiama e risponde una donna araba dalla voce suadente, che gli chiede un incontro presso il ristorante più “prestigioso” della città, raccomandandogli di indossare un abito elegante. S’incontrano; lei, Khyra, una bella donna, lo chiama Prometeo, il nome con cui era conosciuto quando faceva “il cacciatore di teste per una ricca famiglia giapponese, gli Omura.”. Ma lo chiama anche con il suo vero nome, Michelangelo. L’autore ci sta trascinando nella vita nascosta e sconosciuta del suo personaggio e lo fa intrigandoci con la presenza di una donna dall’aspetto sensuale, alla quale affida il ruolo di capo di una specie di Spectre, che lo strappa dall’oblio in cui si era rintanato per ricondurlo al presente: “I demoni del passato stavano tornando a trovarmi.”. Questa specie di organizzazione tipo Spectre vuole perfezionare un progetto di controllo della mente, ossia arrivare a poter leggere il pensiero altrui per prevenirne e controllarne le azioni, anche il pensiero futuro. Torna dunque a fare il vecchio mestiere: il cacciatore di uomini su commissione, e riallaccia le vecchie amicizie. Deve rintracciare uno scienziato utile al progetto e consegnarlo alla donna. Si è rifugiato in Francia. L’autore conduce la trama con un’abilità già matura, con asciuttezza di parole e senza spazi vuoti. Si avverte che è una storia che lo appassiona e vi mette tutta la sua fantasia creatrice, sicuramente educata da molte personali letture. Vengono in mente per primi i romanzi di Ian Fleming con il celebre protagonista James Bond. Ci sarà anche un vecchio amore da ricercare, poiché Khyra gli rivela che la sua ragazza è ancora viva, e gliela farà trovare solo se la sua missione avrà successo. Si chiama Mizuki, è lei il piccolo loto giapponese: “Esile, pantaloncini corti beige, t-shirt bianca con disegnata una margherita stilizzata e un paio di Superga rosse ai piedi.”; “le sue dita leggere sembravano un foulard di seta sulla mia pelle.”; “quell’eleganza se la portava addosso come un vestito o un delicato profumo.”. Ci racconterà come la conobbe in quel lembo di oriente, il Giappone, che ci descrive con una certa malia esotica, al punto che la fantasia del lettore è condotta, a volte, autonomamente e per suggestioni, a rievocare antiche leggende arabe come quelle che possiamo leggere ne “Le mille e una notte”. Dopo quella in Francia, compirà, infatti, una missione anche in Turchia: “Il destino mi aveva portato di nuovo in una terra magica dove culture e imperi si dividevano tra Oriente e Occidente.”. Siamo a Istanbul: “Trasportato da un fiume di persone dagli innumerevoli tratti somatici e colori, camminavo tra banchi di frutta, dolciumi tipici, vimini e tappeti i quali riempivano il mercato fino a farlo traboccare. Le donne velate si muovevano veloci e sagge tra quelle strette vie scegliendo tessuti colorati e riempiendo borse di provviste per i prossimi pasti.”. I dialoghi sono asciutti e ben condotti, senza sbavature. C’è da aspettarsi del buono da questo bravo esordiente, già scaltro nella costruzione della macchina narrativa e efficace nella scrittura. È certamente più che una promessa, un albero forte che darà ottimi frutti.
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